CAPITOLO 23

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È mattina e per evitare di passare altro tempo dentro, quella che più una casa è diventata una prigione esco fuori a fare una passeggiata. Penso a tutte quelle persone che sono fortunate ad avere genitori che li appoggiano e li sostengono in tutto ciò che fanno e in tutto ciò che vorrebbero fare. Mentre io ho come la sensazione di non sentirmi più a casa in quella che è la mia dimora, mi sento non compresa e sbagliata come se quello che voglio non contasse nulla, come se quello che voglio è sbagliato e non è ciò che fa veramente per me.
Dovrebbe contare ciò che uno sente dentro, io ho sempre creduto in ciò che faccio e ciò che mi piacerebbe fare ma se è tuo padre, una delle persone più importanti, a non credere in te, a ritenere che la strada che stai percorrendo è quella sbagliata, a non cercare di vedere neanche il tuo potenziale, a non volerti capire o ascoltare...tutta la sicurezza che si ha dentro svanisce piano piano, trasformandosi in dubbio e poi in completa certezza o autoconvinzione che ciò che una volta si voleva veramente, in realtà, è sbagliato o confuso.
Cerco di aggrapparmi con tutte le mie forze per riuscire a non cedere del tutto, ma è difficile e vorrei solo una persona che mi sostenesse e aiutasse, credendo in ciò che faccio.
Giro per l'isolato almeno una decina di volte senza alzare lo sguardo da terra,  senza osservare attentamente  a ciò che ho attorno. Una sola cosa è in grado di portarmi alla realtà: la vista di un ragazzo, davanti a me, con la felpa nera e il cappuccio alzato.
< Non ci posso credere! > dico a denti stretti, lo raggiungo a passo svelto, con tutta la rabbia che comincia a ribollirmi dentro. < Tu! > lo strattono violentemente costringendolo a guardarmi dritto negli occhi.
Non sembra esser cambiato per niente dall'ultima volta, i suoi grossi occhi marroni, contornati da quelle lunghe ciglia, sembrano trafiggermi.
< Ancora tu! > corruga la fronte, sprigionando, attraverso il suo sguardo, tutta la rabbia che sembra provare in questo momento.
< Sei tu che mi stai seguendo! > urlo irritata
< A me non sembra, sei tu quella che mi sta addosso...la devi smettere o chiamo la polizia > si volta per proseguire avanti, infilando le mani nelle tasche.
< Io la chiamo la polizia! Non tu! > dico a denti stretti
< Che cosa vuoi da me? > in tono rassegnato
< Parlare...>
< Ok..ma di cosa io e te non ci conosciamo neanche, vuoi uscire con me per caso? Ti interesso? > mi mostra un mezzo sorriso sulla faccia
< Cosa? No! > dico irritata
< E allora di cosa vorresti parlare, io e te non abbiamo niente in comune >
< Si invece! > ho paura. Paura che lui sia bravo a mentire e che mi stia facendo passare per una stalker facendomi credere pazza, in modo che io non possa più sospettare di lui. Ma ho bisogno di andare a fondo in questa storia, prima ancora di mettere di mezzo la polizia e i miei genitori e peggiorare solo le cose. < Ti prego...dieci minuti > sospiro esasperata
Lui si guarda attorno come se stesse cercando una via d'uscita, o una scusa abbastanza plausibile per lasciarmi e andarsene, sbuffando e dondolandosi freneticamente sui piedi sbotta:
< E va bene! Ma dieci minuti, non di più >
 
Siamo seduti in una delle tante panchine sparse in giro per il quartiere, lui sembra non vedere l'ora di andarsene ed è parecchio nervoso.
< Ho bisogno che tu mi risponda sinceramente > dico osservando il suo sguardo magnetico e le sue labbra, morbide e carnose.
Si strofina la faccia nervosamente e mi osserva con rabbia < Io non sono tenuto a dirti un bel niente, chi sei tu per farmi domande...>
< So che ti piace fotografare...>
< Ah si? > si mette a ridere < E come lo sai eh? Mi hai seguito? Mi stai spiando per caso? > alza il tono della voce
< Tu menti...> corruga la fronte < sei nervoso, ti vedo, non fai altro che guardarti intorno alla ricerca di una via d'uscita, non vuoi rispondermi ma io lo so che sai chi sono, so che mi stai seguendo e ti stai inventando stupide scuse per farmi credere di essere io la stalker, ma non è così! > sbotto, e la reazione che ottengo è quella di una fragorosa risata.
< Tu sei pazza! > si alza in piedi < Accidenti lo sei per davvero > continua a ridere
< Non sono ancora finiti i dieci minuti > lo fisso insistente < perciò siediti e fammi parlare > si siede nervosamente e mi fissa incitandomi a incominciare
< Frequento l' università fotografica...mi piace andare in giro a fotografare cose e persone > mi fermo qualche secondo in attesa di una sua reazione
< Buon per te > scrolla le spalle con menefreghismo
< Ho iniziato a notare in alcune delle mie foto...te > mi fermo < o meglio la tua felpa nera >
< Wow...impressionante, no ti prego va avanti > mi esorta con la mano, come se fosse realmente interessato
< Quello che voglio dire è, che ti vedo ovunque >
< E hai mai pensato che non si trattasse di me, ma di più persone? > domanda accigliato
< Si, ma non ho mai visto, più volte, un ragazzo con la felpa e cappuccio nero nei miei dintorni e con la macchina fotografica in mano... e tu mi hai praticamente fatto capire che ti piace fotografare perciò...>
< Sarei io > ride
< Si, sei tu >
< Ok...e hai mai pensato, che magari, vivendo vicini e con la tua ossessione nei miei confronti, tu possa esserti semplicemente accorta adesso della mia presenza ma che magari prima non notavi perché non eri ossessionata da me....insomma, ti sei fatta un bel film >
< Io non sono ossessionata da te! Tu mi stai seguendo >
< No affatto > si alza in piedi
< C'è un ultima cosa...> esordisco < hai mostrato una tua foto ad una mostra non è vero? > sono sicura che sia sempre stato lui il ragazzo dalla felpa nera e cappuccio alzato, fin dalla prima volta in cui lo vidi nella mia foto, puntare la sua macchina fotografica su di me.
< No, mi dispiace ma non so di cosa tu stia parlando > si volta intento ad andarsene il più lontano da me
< Sono io > dico di botto
< Cosa? > si volta accigliato
< La ragazza che hai fotografato, con il viso coperto dalla macchina fotografica puntata nella tua stessa direzione...sono io >

L'ARTE DI UNA PROMESSA (Completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora