La chiamai mentre mettevo su le scarpe e il cappotto, quando mi rispose stavo già uscendo.
"Pronto? Mattia?" bisbigliò.
"Vera? Ehi, ciao, ho visto ora il telefono, dove sei?" stavo facendo le scale.
"Scusa, scusa davvero, non volevo disturbarti, volevo.. volevo chiederti come arrivo in.. in piazza Marconi, da lì so come arrivare a casa."
"Ok, allora, ascoltami, via Vittorio Veneto è lunga, devo capire a che altezza sei..." ero arrivato all'ingresso "mi puoi dire cosa vedi o se hai vicino qualche negozio?" uscii dal condominio e aspettai sul marciapiede.
"Adesso mi sono seduta.." probabilmente si guardò attorno "sono vicino ad un negozio di scarpe e di fronte c'è la banca." iniziai a camminare verso destra.
"Allora Vera, ascoltami. Attraversa la strada e vai vicino alla banca" il mio passo sempre più veloce "ti richiamo tra due minuti, promesso." chiusi la chiamata ed iniziai a correre.
Non era lontana, ma camminando ci avrei messo troppo tempo, ed erano già le nove e mezza. Mi contrai su tutte le scorciatoie che conoscevo con la memoria di un randagio e, con i polmoni che mi esplodevano, arrivai nella laterale che cercavo. Sbucai in Vittorio Veneto e corsi verso sinistra, schivando le persone che passeggiavano.
Vera era davanti alla banca, le braccia conserte, guardava in alto il cartello della via, ma si girò, probabilmente sentendo il rumore dei passi.
Mi bloccai e vidi in lontananza che si copriva il viso con le mani.
Avevo difficoltà a respirare ma mi avvicinai con una corsetta.
"Tutto ok?" sussurrai sfiorandole la spalla.
"No, non è tutto ok, non volevo disturbarti.. scusa, scusami davvero.." mi guardò, tormentandosi le mani ed ebbi l'impressione che stesse piangendo senza versare lacrime. Intorno a noi c'era chi passava e ci lanciava uno sguardo, ma i più ci ignoravano.
"Tranquilla." respirai a fondo, ancora stordito "Scusami tu se sono venuto ma.." il fiato era ancora troppo corto "non mi fidavo a farti tornare a casa da sola."
"..grazie." sussurrò.
Restammo in silenzio per un po', mentre sentivo il cuore tornare pian piano al suo normale ritmo.
"Andiamo allora." parlai a bassa voce, come avessi paura che qualcuno mi sentisse.
Lei fece un cenno di assenso col capo e le feci strada in silenzio. Non sapevo bene cosa potevo dire e mi sentivo fuori luogo, nonostante fosse la mia città e fossi lì perché lei mi aveva chiamato. Non riuscivo a guardarla e, se avessi potuto, le avrei lasciato le indicazioni e me ne sarei andato, ma avevo un lucchetto in gola. Muovevo gli occhi in giro per non guardarla direttamente e metterla in imbarazzo, ma avevo notato che teneva le mani strette, molto strette, alla tracolla della borsa e, sotto i ciuffi della frangia mi sembrava di vederle gli occhi ancora lucidi. Mentalmente stavo impazzendo nella ricerca di qualcosa da dire o da fare, se spiegare la strada, chiedere qualcosa, indicare alcuni luoghi utili, ma non sapevo, nulla mi convinceva e nulla... nulla? Lei? Così, all'improvviso. Si bloccò con la testa china. Tremava.
Mi guardai intorno, eravamo nel mezzo di nessuno.
"Scusa, deve essere imbarazzante." bisbigliò.
Presi un colpo al cuore.
"Come scusa?" non capivo.
"Deve essere imbarazzante girare con me, ma non c'è nessuno qui, quindi tranquillo, nessuno ti vede..." le tremavano le mani mentre parlava.
"..Vera?" mi avvicinai.
Sembrò chiudersi tra le spalle.
Perché era così certa che fossi in imbarazzo? E perché credeva di essere lei il motivo dell'imbarazzo? Ero un po' in bilico perché non sapevo come comportarmi.
Lei mi piaceva, ovviamente, non la conoscevo e nonostante questo mi aveva chiesto aiuto perché tra tutti gli sconosciuti ero l'unica persona che aveva. Mi turbava che fosse sola, sola al punto che la persona più vicina a lei ero io, un ragazzo con cui non aveva mai parlato più di dieci minuti fuori dal bar.
Forse fu realizzare quanto potesse sentirsi sola, o pensare che credesse di essere fonte di imbarazzo che mi spinse a toccarla.
Non un abbraccio, non un bacio: non potevo permettermelo. Effettivamente non la conoscevo neanche abbastanza per pensare che potesse piacermi seriamente.
Le toccai il braccio, con una leggera pressione su tutto il palmo e rimasi lì.
"Tranquilla, hai bisogno di riposare." dissi, con un tono involontariamente dolce.
"Adesso andiamo a casa, bevi qualcosa di caldo e vai a dormire, domani starai meglio e tutto sarà solo un brutto ricordo." una vocina si chiese da quando ero in grado di dare buoni consigli.
"Va bene" bisbigliò lei "andrò a riposare."
Alzai gli occhi al cielo per trovare la forza di dire qualcosa che la facesse sorridere.
"Dai! Domani quando passi in bar ti offro io un caffè! Vedrai, andrà tutto bene!" lo sapevo di suonare idiota ma già all'inizio avevo poca fantasia, figurarsi adesso.
Alzò la testa e mi fece mezza, effimera risata con gli occhi rossi.
"Andiamo?" aveva un tono più leggero.
Lei sembrava più leggera.
Ma era la leggerezza con cui un pesce morto giace in acqua.
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Parlami ancora dei fiori d'arancio
RomanceI dettagli celano la verità e i cocci tagliano i piedi nudi. Solo scoprirsi e rendersi vulnerabili potrà avvicinare davvero due ragazzi. Tra le vie di una città, dietro ad un bancone e nel silenzio della notte si trova la tenerezza. L'energia che sp...