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"Vera..."

"Sì?"

"Sono felice di essere qua con te."

"Anche io."

In quel frangente esistevamo solo io e lei.

"Adesso devo rientrare." mi avvisò con voce flebile.

"Va bene. Buonanotte."

"Buonanotte."

Le lasciai un bacio sulla fronte e mi diressi a casa.

Era tardi, ma ne era valsa la pena.

A letto continuai a pensare a lei: fu il mio ultimo pensiero quella notte e il primo della mattina dopo e senza pensarci troppo, le scrissi.

"Buongiorno, come stai?"

Mi avviai al lavoro e la giornata corse veloce, ma lei non si fece vedere e a fine turno non aveva ancora risposto al mio messaggio.

Un po' scoraggiato tornai a casa a prendere un cambio d'abiti e i regali per Iris e Viola, per poi prendere l'autobus.

Il viaggio per tornare durava circa venti minuti.

Mi rendevo conto di stare male per quella risposta mai arrivata.

Pensavo che, almeno per me, la sera prima era stata qualcosa di importante: la sua poesia, il nostro incontro a notte fonda. Se perdevo contatto con la realtà mi sembrava ancora di riuscire a sentirla tra le mie braccia e quel suo silenzio faceva ancora più male. Mi sentivo vuoto, un illuso per aver creduto che da un giorno all'altro sarebbe potuto cambiare tutto, eppure c'era un qualcosa in quella situazione che mi fece pensare chiaramente: "Non correre".

La fretta non mi sarebbe stata di alcun aiuto, come non convincermi da solo che per lei non significava nulla: Vera diversa.

Dovevo smettere di pensare che potevo averla nella mia vita solo volendola, non sarebbe arrivata solo aspettandola e non se ne sarebbe andata senza rispondere ad un messaggio. Era così lei, anche quando non era uscita con me la prima volta: me l'aveva detto.

Scesi dal bus con le borse in mano e misi su il miglior sorriso per mia madre e le mie sorelle. Mi guardavo intorno, riconoscendo il luogo dove ero cresciuto. Le strade asfaltate troppi anni fa, i marciapiedi in vecchi mattoni, completamente spostati dalle radici dei grandi alberi che rinfrescavano le strade. Quelle case che, nel tempo, avevano cambiato colore ma non forma; la signora Celestina che vecchia com'era non si poteva più permettere di sistemare il giardino e che stava alla finestra a guardare i passanti e i passeri. La salutai alzando la mano più libera che avevo ma probabilmente non mi riconobbe. Arrivato al condominio suonai al campanello e sentii mia madre al citofono "Sì?".

"Mamma, sono Mattia!" le risposi ridendo.

"Oddio amore sei arrivato!" il familiare suono della porta che si apriva "Sali sali!!".

Mi aprii la porta spingendola con la schiena e iniziai a salire le scale due scalini alla volta fino al terzo piano.

La porta aperta, quel solito vecchio zerbino con la scritta "Welcome" ormai sbiadita e la mamma che mi aspettava.

"Tesoro sei arrivato!" mi accolse con un abbraccio.

"Mattia!! È arrivato Mattia, Iris è arrivato Mattia!!" sentii Viola gridare.

Sbucò dalla camera in fondo al corridoio e mi corse incontro saltandomi addosso: non avevo avuto nemmeno il tempo di appoggiare le borse.

"Haha! Viola!! Ma puzzi oggi?!" scherzai.

"Mattia! Maleducato! Vieni a casa solo per prendermi in giro!" fece lei con un gridolino offeso.

"Ma cosa dici?" lasciai le cose che avevo in mano vicino alla porta della cucina e andai a sollevare mia sorella.

"Vengo qua anche per farti i dispetti!!" la strinsi a me.

"Guarda che se fai così non la troverai mai una ragazza che ti vuole!" mi rimbeccò lei.

La misi a terra e le sussurrai "E chi te lo dice che alla mia ragazza non piaccia così come sono?" Viola strabuzzò gli occhi "Non ci credo!! Non è vero!!".

"Oh sì invece, è ancora più contenta quando le racconto tutti i dispetti che ti faccio!" le feci una linguaccia a cui rispose con una smorfia e corse via "Iris! Iris svegliati che è arrivato Mattia!".

Ridendo raggiunsi mia madre in cucina.

"Mamma come stai?" chiesi mentre finiva di mettere giù i piatti asciutti.

In cucina c'era profumo di menta, l'unica spezia che mia madre teneva viva e in casa e si impegnava a usare quando cucinava. La pianta era in un angolo, sul piano della cucina perché, insieme ai mestoli rossi e alla presine di pezze abbandonate in giro, citando mia madre "Dà quel tocco che ci serve!".

"Va tutto bene, si riesce a tirare avanti! Ma tu? Come procede in appartamento? E il lavoro?" si lavò le mani e iniziò a preparare la moka.

Iniziai a prendere le tazzine e i cucchiaini.

"Va tutto bene, è diverso dal bar della scorsa estate perché adesso le mance non esistono... ma gli orari sono molto più sostenibili e riesco anche a studiare." spiegai.

Mia madre si incupì un poco "Mattia, ma riesci davvero a lavorare e andare anche avanti con l'università? Guarda che se ti serve una mano con le rette posso aiutare..." mi guardò con una ferita negli occhi.

"Mamma, te l'ho già detto: va bene così." e andai ad abbracciarla.

"Hai già fatto fin troppo." mi accarezzò la schiena.

"Non lo so Mattia... hai fatto così tanto da solo. Mi sembra davvero di averti lasciato troppe responsabilità."

La strinsi a me, sapendo perfettamente quanto mia madre si sentisse in colpa, "No mamma, non hai scelto tu." le lasciai un bacio sulla guancia.

"Beviamo il caffè?" le sorrisi.

Annuì e accese il fornello.

"Quindi, raccontami, cos'è successo ultimamente? Hai novità?" mi lanciò una di quelle occhiate da cena con i parenti, dove tutti chiedono "e la fidanzatina?".

"Nulla di che, però c'è una ragazza..."

"Una ragazza!" esclamò.

"...mamma!" la rimproverai.

"Scusa, scusa, racconta, racconta." si sedette con la faccia tra le mani.

"Niente dai, è una cliente abituale, ma abbiamo iniziato a chiacchierare e sembra..." ripensai a tutto quello che era successo "...una ragazza interessante."

Riconobbi che era più corretto omettere i dettagli sensibili.

"Oh, e come si chiama?" mia madre aveva gli occhi che le brillavano.

"Vera. Lavora in uno studio con lo zio, anche se sinceramente non ho ancora ben capito di cosa si occupa." confessai.

"Ma che bel nome!" la moka iniziò a borbottare e mi alzai bloccando mia madre "Faccio io, tranquilla." mi sorrise con un velo di commozione.

"Grazie amore." sospirò "Ma Iris non è ancora venuta a salutarti?".

"No, penso... latte?" mentre versavo il caffè.

"Sì, grazie, è in frigo, aprine uno nuovo che l'ultimo l'ho finito facendo il purè a pranzo!"

"Dicevo, penso stia dormendo Iris." appoggiai il latte sul tavolo e presi lo zucchero.

"Sì sì, oggi è tornata a casa da scuola stanchissima, in maniera inverosimile... temo le verrà la febbre." aveva un tono un po' preoccupato.

"Aspettami che vado a vedere..." le dissi e, prima che potesse ribattere andai in camera delle mie sorelle.

Parlami ancora dei fiori d'arancioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora