Vera mi prese per mano e, di tanto in tanto, mi lanciò delle rapide occhiate. Era strano non parlare, ma era ciò che sentivo più giusto: non avvertivo la necessità di riempire l'aria con discorsi inutili. La sua vicinanza mi rassicurava e in qualche maniera mi rendeva consapevole del fatto che anche per lei era lo stesso, che andava bene stare zitti, perché i nostri fantasmi avevano forme diverse ma lo stesso colore.
Arrivati da lei cercò le chiavi in borsa senza mai staccarsi dalla mia mano. Uno sguardo e un sorriso mi fecero capire che non dovevo lasciarla. Aprì il cancelletto e mi trascinò dentro, lungo il vialetto tra le siepi e davanti alla porta sembrò concentrarsi per non fare troppo rumore. Un suo piccolo gesto con la mano mi disciplinò all'attenzione mentre entravamo e mi fece segno di togliere le scarpe.
Quando la massiccia porta si chiuse dietro di noi, Vera iniziò ad illuminare la strada con la torcia del cellulare e restai affascinato dalle grandi piastrelle di ceramica su cui camminavamo. Il resto della casa restava troppo buio perché potessi intuirne l'arredamento ma, in ogni caso, lei che mi conduceva sulle scale era decisamente più interessante. Giunti in cima, in fondo ad un breve corridoio, aprì la porta in cui mi sgattaiolammo. In balia di lei, come un cieco venni spostato a piacimento, sentii una chiavistello slittare alle mie spalle e il rumore di un interruttore mi ridiede la vista.
Una serie di lampade di sale sparpagliate per la stanza si illuminarono tutte insieme ed io realizzai di essere al centro della sua camera da letto.
D'istinto mi guardai attorno, prima di notare che Vera stava fissando me e i punti su cui i miei occhi si appoggiavano.
Dopo così tanto tempo in silenzio, parlare sembrava dannatamente superfluo.
Mi avvicinai a lei, sfruttando quella mano che non aveva mai lasciato "..è bello.." sussurrai.
"..grazie... le lampade sono di mio zio..." bisbigliò lei, sorridendo.
Ridemmo insieme di quelle parole. Sapevo che anche lei sentiva l'inutilità delle parole, che anche lei preferiva il silenzio.
E Vera sapeva che ero come lei.
Le lasciai la mano per prenderle i fianchi, le sue dita tra i miei capelli, il naso che ne memorizzava il profumo e la mia bocca che voleva darle una scusa per non spiegarsi.
Mi allontanai un secondo "Più avanti..." annuivo come un'idiota "...più avanti finiamo tutti i discorsi." e anche lei annuiva, con gli occhi semichiusi, bellissima.
"...ti racconto tutto..." e mi baciava "...e tu vorrai andartene..."
"...io non me ne vado..." e la baciavo "...perché..." continuavo a baciarla "...perché di no."
"...va bene."
"...va bene."
"...scusa per prima..."
"...mi spiegherai tutto?"
"...sì, promesso..."
"...allora va tutto bene."
Si staccò, solo un momento, solo per prendermi la maglia, e mi travolse con passione.
Mi condusse al letto, in un angolo della stanza, dove i baci diventarono assaggi dei nostri corpi, che esplorammo senza toglierci ogni mistero.
Avevo perso in ogni modo la concezione del tempo e non avrei mai voluto riprenderla ma il senso del dovere aveva iniziato ad accendere l'allarme.
"...devo andare a casa..." mi sentivo inebriato da lei.
"...devi devi?" chiese, con quel tono di chi sa la risposta e la odia "Non ho voglia di portarti giù..."
La guardai e mi venne da ridere.
"Ci vediamo domani sera?" sentii una vocina che mi sgridava, perché era passata la mezzanotte ormai da un pezzo e in teoria era già l'indomani.
Lei annuì "Domani però ti presento lo zio e tu non sei mai stato qui."
"Stato dove?" la guardai con caricaturato stupore.
"Scemo..." era splendida con i capelli spettinati sul letto.
"Quando ci sei..." mi bloccai, lei strabuzzò gli occhi.
"Cosa?" sembrava essersi svegliata dalla trance.
"Niente!" mi sentii un idiota e mi allontanai d'istinto.
"Cosa?!" si sedette sul letto, lo sguardo preoccupato.
"No no... scusa scusa!" lo sapevo che ero deficiente, ma ora Vera si stava agitando pensando chissà cosa "Stavo dicendo solo che..." Dio, che imbarazzo "...quando ci sei tu..." ma dovevo rassicurarla "...mi sento come se prendessi aria dopo anni chiuso nella stessa stanza."
Il respiro si fermò, il suo viso si rilassò e le labbra la tradirono con un sorriso commosso.
"Non dirmi queste cose, dai..." si prese le spalle tra le braccia e iniziò a guardarsi intorno, ma conosceva la stanza a memoria.
Sentivo il petto gonfiarsi a vederla così, timida, cercare di sfuggire ad un complimento.
Mi avvicinai e le presi il viso tra le mani, perché se hai la consapevolezza dell'ultimo momento, vivi con maggiore intensità.
Scoprii con lei che i baci d'addio non erano poi così male.
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Parlami ancora dei fiori d'arancio
RomanceI dettagli celano la verità e i cocci tagliano i piedi nudi. Solo scoprirsi e rendersi vulnerabili potrà avvicinare davvero due ragazzi. Tra le vie di una città, dietro ad un bancone e nel silenzio della notte si trova la tenerezza. L'energia che sp...