Sarei rimasto con i miei dubbi, affamato di risposte anche dopo la cena. Andai a letto e realizzai di desiderarla tra le mie braccia. Non c'era nulla di sporco nei miei sogni e non immaginavo un prima, né un dopo.
Sentivo solo la voglia di averla in quel preciso momento, di respirare vicino ai suoi capelli per sentirne l'odore e tenerla stretta a me, saperla in un posto sicuro, in un posto dove nessuno poteva farle male. Mi strinsi nelle mie spalle, sentendomi ridicolo nella mia presunzione di potermi definire come un luogo sicuro per lei.
Nella notte continuai a rigirarmi nel letto, mentre nella mia testa i discorsi che volevo farle si alternavano a ricordi di casa di mamma e papà, a quelli dei professori e, come un film, rivedevo errori del passato, immaginavo di chiedere scusa alle persone che avevo ferito.
Mi addormentai per quelli che mi sembrarono dieci miseri minuti e mi svegliai stanco, con un peso addosso come se tutto ciò che avevo pensato la sera prima si fosse trasformato in un dolore fisico. Andai al lavoro con difficoltà e, una volta arrivato, Ivan mi chiese se stavo bene perché, a suo dire, "avevo l'aspetto di uno che aveva vomitato di prima mattina". Lo rassicurai spiegando che avevo dormito male e con un sorriso mi consigliò un caffè doppio e bello lungo.
"Maddai, se bevo tutto quel caffè va a finire che mi porti in ospedale con i tic!" risi.
"Oh dai, almeno ho una scusa per staccare prima, no?!" mi rimbeccò.
"Sì, certo, poi lo spieghi tu a Silvano che abbiamo chiuso perché mi sono strafatto di caffè!" gli diedi un pugno scherzoso sulla spalla.
"Ma sì, tanto lo sai che Silvano ha un debole per me, se glielo spiego facendogli gli occhioni dolci non può dirmi nulla!" mi fece una smorfia da gatta morta e ci aprimmo le serrande.
Mi tirò su il morale chiacchierare con Ivan, era simpatico e sapeva scherzare senza superare i confini della professionalità; mi dispiaceva un po' non frequentarlo fuori dal lavoro ma mi spaventava l'idea che se glielo avessi chiesto mi avrebbe liquidato e temevo potesse rovinare il clima quando eravamo insieme di turno.
Mentre valutavo l'ipotesi di chiedere a Ivan di uscire assieme a bere qualcosa dopo lavoro, entrò Vera.
Non me ne accorsi subito, confuso com'ero dalla stanchezza, e quando incrociai il suo sguardo la trovai preoccupata.
"Mattia? Stai bene?" aveva gli occhi spalancati e la bocca dritta.
"Ehi ciao Vera... sì sì, tutto a posto, cosa ti porto?" mentii, ma non avevo la forza di metterla sul personale.
"No." rispose di scatto, rigida, sempre con quegli occhi spalancati, chiari, faceva quasi impressione.
"Davvero, tranquilla, sto bene, stavo solo pensando." le feci un sorriso, sperando di farla franca.
Aveva il collo teso e notai che faceva respiri profondi dal naso.
"Solo il caffè, per favore." e spostò lo sguardo sul bancone. Smise di parlare, bevve in fretta e lasciò i soldi giusti vicino alla tazzina vuota, uscendo di corsa appena mi girai.
Mentre prendevo le monete, comparì Ivan vicino a me.
"Allora, il bar è vuoto e, a giudicare dal tempo incerto, credo che sarà una mattinata tranquilla..." alzai lo sguardo e notai i tavolini al coperto senza clienti "...quindi puoi spiegarmi una cosa?"
Lo guardai con aria interrogativa.
Indicò con la testa la porta "C'è qualcosa tra te e quella ragazza?".
"Cosa?!" alzai la voce, ma non aspettavo di certo quella domanda.
"Ma sì, dai. Tu il martedì non lavori, ecco, io da quando viene qua, dopo il primo martedì che non c'eri tu e l'ha servita Rita, non si è più presentata di martedì." si bloccò, leggermente in difficoltà "E vedi, resta sempre al bancone dove servi tu e non si siede ai tavoli, dove invece sono io che prendo gli ordini."
Lo fissavo, chiedendo in silenzio di andare avanti.
"Mi hai chiesto tu una volta di farle il conto e mentre lo facevo o lanciava occhiate a te o teneva gli occhi bassi... poi ho notato che vi parlate, no?" incrociò le braccia.
Abbastanza equo, pensai, dargli risposte dopo che aveva vuotato completamente il sacco.
"Beh, ecco..." mi grattai il collo, nervoso "...sì, abbiamo preso un po' di confidenza dopo la prima volta che è venuta qua."
Valutai quanto potevo raccontargli, mentre era lui che adesso aspettava gli dicessi tutto.
"Ci siamo visti un paio di volte fuori da qua, ma nulla di che, una volta le ho chiesto se voleva uscire assieme e mi ha detto di no, e una sera l'ho riaccompagnata a casa perché si era persa." sospirai.
"Uh oh, aspetta un attimo!" Ivan aprì le mani al cielo.
"Com'è che non siete usciti ma poi l'hai riaccompagnata a casa?" era palesemente confuso.
"Perché mi ha lasciato il numero e per messaggio mi ha detto che non sarebbe uscita con me e, sempre per messaggio, mi ha chiesto aiuto a tornare a casa." sentirmi spiegare la situazione ad alta voce mi fece sentire meno sveglio di quello speravo.
"Ah, capito..." Ivan si bloccò. Prese un bicchiere e lo riempì d'acqua alla spina. Diede un sorso. Meditò ancora un po'.
"Che c'è?" chiesi, leggermente preoccupato dal vederlo pensieroso.
"Ma lei... ti piace?" non mi guardò in faccia.
Mi girai verso la cassa "Credo che potrebbe piacermi, ma non la conosco abbastanza." Era vero, anche se, nel mio cuore, la situazione era più complicata.
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Parlami ancora dei fiori d'arancio
Любовные романыI dettagli celano la verità e i cocci tagliano i piedi nudi. Solo scoprirsi e rendersi vulnerabili potrà avvicinare davvero due ragazzi. Tra le vie di una città, dietro ad un bancone e nel silenzio della notte si trova la tenerezza. L'energia che sp...