Il campo da basket era davanti a noi, più piccolo di quello che mi ricordavo, ma vuoto e rovinato come sempre.
Tutto attorno era protetto da una corona di alberi e, a troneggiare sul lato lungo, la gradinata per gli spettatori: sembrava un unico blocco di cemento.
Non saprei se per l'intimità che ispirava il posto, ci avvicinammo in silenzio, limitandoci a lanciare un paio di occhiate furtive.
"Beh, questo è il posto..." dissi, tenendo la voce bassa, come per paura che qualcuno potesse sentirci.
"È molto suggestivo..." sospirò lei.
"Andiamo a sederci in alto?" proposi.
Mi fece un cenno di assenso, così iniziai a salire gli scalini. Ero quasi arrivato, quando mi girai e mi accorsi che si era fermata a bere da una borraccia prima di iniziare a salire.
La guardai sorridendo, mentre armeggiava per sistemare tutto nella borsa e mi raggiunse.
"È incredibile non conoscere un posto del genere, così vicino a dove abito..." sospirò "...sai, a casa mia, cioè, a casa dei miei genitori..." pensò un secondo "...nel paese in realtà, ecco, conoscevo tutti i posti strani, mi ricordavo dov'erano le panchine in giro e in un certo senso era un po' tutto più mio." Mi guardò fisso. "Sai, quando si dice di conoscere qualcosa come le proprie tasche... questa città mi piace ma sembra davvero, non lo so, come un vestito che ti hanno prestato. Non la conosco e non riesco a sentirla mia."
La stavo ascoltando attentamente. Io non avevo sempre vissuto in città città, ma giravo per le sue strade da quando ero alle medie.
"Penso che non sia mai particolarmente facile abituarsi ad un posto nuovo, soprattutto se cambi da città a paese o viceversa." Ragionai "Se uno di città andasse al tuo paese probabilmente non sarebbe abituato ad esempio al rapporto familiare che c'è con i negozianti o alle banche che hanno orari limitati..." aveva lo sguardo un po' perso "...questo per dire che è normale se non hai ancora preso confidenza con i posti. E tranquilla che qua non tutti sanno tutto!" Le feci un sorriso a trentadue denti, ne fece mezzo.
"Forse hai ragione. Tu questo posto com'è che lo conosci?" chiese con tono curioso mentre recuperava la borraccia.
"Avevo un amico, i primi anni delle superiori, che aveva una passione per le foto. Non che fosse molto bravo eh, ma aveva il chiodo fisso di posti abbandonati o lasciati un po' a se stessi." Vera mi guardava attenta mentre beveva. "Si era fatto portare da amici e amici di amici in parchi, case e cose così. E visto che eravamo tanto amici le foto me le mostrava e in quegli anni lo seguivo anche. Era venuto anche qui."
"Mmh!" Si asciugò la bocca. "Penso di non aver mai conosciuto un ragazzo o una ragazza con la passione per le foto. Ho sempre solo visto i fotografi di una certa età ai matrimoni o negli studi a fare le foto per le carte d'identità." Rise. "Mi chiedo proprio com'è che sono arrivata a non saperne di nulla..."
"In che senso?" Ero preoccupato.
"Nel senso che adesso sono qua..." aveva la testa appoggiata alla mano, mi guardava un po' di sbieco "...ma mi sembra di essere... fuori dal mondo, tagliata fuori. Come se tutti... fossero su una pista e corrono e io riesco solo... boh... a guardarli senza iniziare a entrare..." Notai che le si stavano chiudendo un po' gli occhi.
"Sei stanca?"
"No no.. è che..." si strofinò la faccia.
"...che?" Tentai.
"È che dovevamo parlare." Fece lei, tornando dritta con un movimento fluido.
"Hai ragione.." mi sembrava che ci fosse qualcosa di strano in lei, ma non capivo cosa fosse. "Di cosa volevi parlare?"
"Di te."
"Come?"
"Di te."
"In che senso?"
"Perché mi hai parlato?"
"Eh?"
"Quando sono entrata al bar."
"Quando?"
"La prima volta!" Alzò la voce.
"Mi stai chiedendo perché ti ho parlato?" Ero confuso.
"Sì, perché!" Tremava un pochino le mani o era solo una mia impressione?
"Ma perché è il mio lavoro no?!" Cosa voleva sapere da me?
"No, non è vero, non è il tuo lavoro!" Si alzò di scatto.
Perse l'equilibrio.
Scattai e la presi al volo con un braccio.
Fu in quel momento, un fulmine a ciel sereno, mi paralizzò. Il suo fiato.
"Vera" noi due ormai in piedi, lei ad un passo da me "cosa c'era nella borraccia?"
Guardò me, poi i suoi piedi e poi la sua borsa.
"Mi rispondi?" Perché questo?
Prese le sue cose e iniziò, con passo incerto, a scendere un paio di gradini.
Io non riuscivo a muovermi.
Dopo poco si fermò e si sedette "Non sono affari tuoi."
Aveva ragione. Non erano affari miei. Io ero solo un barista e lei una cliente abituale.
Ma ero stufo di questa storia. Ero stufo di non poter fare niente.
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Parlami ancora dei fiori d'arancio
RomanceI dettagli celano la verità e i cocci tagliano i piedi nudi. Solo scoprirsi e rendersi vulnerabili potrà avvicinare davvero due ragazzi. Tra le vie di una città, dietro ad un bancone e nel silenzio della notte si trova la tenerezza. L'energia che sp...