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Restai da solo nel silenzio del soggiorno.

Presi il cellulare e decisi di chiedere a Vera quando voleva che la chiamassi.

"Ehi" amore "quando vuoi che ti chiami?".

Erano quasi le dieci, ero steso sul divano, il telefono appoggiato al petto.

Mi ritrovai a guardare la stanza, nella flebile luce della luna che entrava dalla finestra.

I mobili erano gli stessi dalla mia infanzia e ricordavo alcuni punti rovinati, sebbene non si vedessero. In quella stanza, mamma e papà, mi avevano detto che si sarebbero separati, dopo un anno in cui mio padre non si faceva vedere quasi mai.

Viola aveva appena sei anni e Iris ne aveva quattro. Allora c'erano un letto a castello per loro due e un singolo per me, nella loro stanza. Io stavo finendo la terza superiore a stenti, perché quello che vedevo a casa mi rendeva impossibile pensare a qualcosa come la scuola. Mia madre di notte si nascondeva in bagno e piangeva sommessa per non farsi sentire da noi, mentre di giorno io accompagnavo Viola a scuola mentre lei portava Iris in asilo, così poteva iniziare a lavorare. Mio padre invece...

Bzz.

"Ehi, scusa se ti rispondo solo ora. Tra poco ti chiamo io, va bene?"

"Okay"

Mio padre era tornato a casa dai miei nonni, ma nemmeno per lui fu facile. Era seduto sul tavolo in cucina, io ero appena tornato a casa. Mia madre si stava tenendo la testa tra le mani e lui aveva davanti un bicchiere, ancora pieno d'acqua.

Bzz-bzz.

"Pronto? Ciao..." sussurrai al telefono, mentre mi alzavo per andare in cucina, dove nessuno mi avrebbe sentito.

"Ehi ciao..." sentivo che anche lei stava tenendo la voce bassa.

"Anche tu hai paura di svegliare qualcuno?" le chiesi.

"Sì, mio zio è andato a letto un'oretta fa, io ero rimasta in piedi a pulire la cucina..." spiegò.

"Tu invece? Alla fine... oggi andavi dalla tua mamma, no?" che strano modo, "dalla tua mamma".

"Sì, sì, infatti... Vedi, è che oltre a mia madre ho due sorelle piccole e devo stare attento a non svegliare nessuno."

"Davvero hai due sorelle? Non avrei detto..." sembrava davvero stupita.

"E tu Vera? Hai fratelli?" provai a chiedere.

"No no... sono figlia unica, purtroppo..." sospirò "Mi sarebbe piaciuto però avere un fratello o una sorella. L'unico parente della mia età circa è il figlio di mio zio, ma se n'è andato all'estero a lavorare da un paio d'anni." sembrava tranquilla e mi resi conto che davvero mi piaceva il tono che usava per raccontare le cose "Come si chiamano le tue sorelle?"

"Iris e Viola. I nomi li ha scelti mia madre, sai... sono due fiori che ama per il colore."

"Tuo papà non ha avuto voce in capitolo? Sai, anche il mio nome l'ha scelto mia madre e mio padre non ha potuto neanche proporre un'alternativa." avevo già sentito parlare di queste strane coincidenze: se pensi a qualcosa la vita te la ripresenta.

"Mio padre ha scelto il mio nome e ne era innamorato, per cui quella volta mia madre accettò, a patto che lui non dicesse nulla per gli altri figli." raccontai

"E lui accettò, anche se di fatto tutti e tre i nostri nomi piacevano ad entrambi."

"Che storia carina... beh, ma a parte questo... tu come stai?" domandò dolcemente.

Esitai per un attimo. Una parte di me voleva raccontarle i miei ultimi pensieri, ma non volevo trasformare quel momento tra noi due in occhio di bue acceso su di me.

Soprattutto, non volevo farla stare male con discorsi tristi.

"Mattia?"

"Sì, scusa... è che sono un po' pensieroso, ma nulla di che..." risolsi.

"...posso chiederti a cosa stai pensando?" forse mi diede fastidio.

"Scusa Vera, è che sono sono... sono cose di cui non vorrei parlare... e non voglio inventare bugie." ammisi.

"Oh... mi dispiace, non volevo suonare invadente..." si ammutolì.

Presi coraggio.

"Vorrei parlartene, un giorno, ma magari... quando ci vediamo, va bene?" cercai di spiegarmi.

"Sì, capisco. In effetti anche io ho cose che vorrei raccontarti, ma avendoti vicino... quindi sì, tranquillo." sembrava calma.

"Grazie, significa molto per me."

"Credo che non si dovrebbe forzare nessuno a parlare se non si sente pronto. A me è capitato che tirassero fuori a forza ciò che pensavo... e non è mai andata a finire molto bene."

Silenzio. Trattenni la volontà di fare ulteriori domande.

"Capisco... senti, scusa se cambio discorso..." iniziai a dire "...domani io... ecco, domani io non lavoro. Tornerò in città in mattinata... non è che ci sarebbe un momento in cui potremmo vederci?"

"Domani devo seguire mio zio in un paio di uffici... nel pomeriggio, sul tardi, tipo verso le sei... potrebbe andare bene?"

"Sì, assolutamente, sai..." a costo di pentirmene "...ho voglia di rivederti."

Poteva già mancarmi, se di fatto c'eravamo visti il giorno prima?

"Anch'io. Tra poco però vado a dormire, si è fatto tardi." disse con un tono più acuto, come se stesse sorridendo dall'altra capo del telefono.

"Va bene. Allora ci vediamo domani?"

"Sì!"

"Buonanotte Vera..."

"Buonanotte Mattia..."

Ti amo.

Spensi il cellulare e lo appoggiai per terra.

Mi accoccolai sul divano, avvolgendomi nella coperta fino a coprirmi la nuca e restai sveglio per un po' a sentire lo stomaco stretto e un nodo alla gola. Quel subbuglio che provavo mi infuocava il petto, ma lo sentivo giusto: era come un dolore, ma piacevole.

Tuttavia era una sensazione che non mi spiegavo e, cercando delle risposte, richiamai alla memoria gli ultimi anni delle superiori, quando stavo con Debora.

Non ricordavo il suo volto ma potevo concentrarmi su alcuni momenti con lei che erano impressi nei miei ricordi. Se mi concentravo potevo rivederla ridere in riva al fiume o mentre stava appoggiata alla porta d'ingresso, ma quello che avevo dentro non l'avevo provato per lei. Erano passati anni e, sebbene ai tempi avessi sofferto molto la nostra separazione, quella sera pensai con chiarezza che la mia personalità si era fatta sempre più incompatibile con la sua.

Avevo trovato la mia strada nella solitudine e, ora, una persona con cui avrei desiderato condividerla. Non avevo dato la possibilità a nessuno di entrare davvero nei miei problemi e nascondevo le mie debolezze: era molto più facile sorridere e guardare il lato positivo che lasciarmi sopraffare dalla tristezza.

All'inizio mi ero sentito ipocrita all'idea di ascoltare Vera, senza essere disposto ad aprirmi ma avevo realizzato che, in fin dei conti, se fosse stata lei a chiedermelo, sarei stato disposto a farlo.

Chiudendo gli occhi, pensando che il giorno dopo avrei visto Vera.

Parlami ancora dei fiori d'arancioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora