4 - La pace dopo la tempesta

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Sanem

                 Un altro giorno volgeva al termine e non potevo rinunciare al mio piccolo rituale serale, un momento tutto per me che cercavo di ricavarmi tutte le sere prima di cena semplicemente per stare lì a fissare il sole sparire dietro le colline sull'altra sponda del Bosforo. Questo luogo mi aveva trasmesso, da subito, un senso di pace che la mia vita aveva perso ormai da mesi dopo la fatidica notte in cui lui mi aveva lasciato.
                Erano stati giorni terribili quelli successivi alla sua partenza, in cui avevo dovuto fare i conti con una vita caduta in mille pezzi, avevo  dovuto accettare il fatto che al suo numero, che avevo chiamato milioni di volte nei primi momenti disperati, non avrebbe mai risposto nessuno.
Avevo lasciato che i miei giorni scorressero così, uno dietro l'altro, senza niente che potesse riempirli,  era stato impossibile pensare razionalmente, dare un senso a quello che era successo ed avere una speranza per il domani.
                Il rifiuto per il mondo e per la vita era cominciato da subito con le dimissioni dall'agenzia di Yigit. Non potevo pensare di tornare in quell'ufficio, in quel palazzo ma soprattutto non potevo pensare di tornare a lavorare con lui, di avere contatti con Polen e, peggio ancora, di incontrare Huma. Tutti avevano avuto la loro parte nel separarci, avevano odiato la nostra felicità ed avevano cercato di cancellarla e, alla fine, ci erano riusciti.
              Con il senno del poi ero riuscita a guardare al comportamento di Yigit con occhi più realistici ed avevo capito che Can aveva ragione, il suo atteggiamento nei miei confronti non era sincero. C'era qualche scopo recondito dietro alle sue azioni, aveva cercato in tutti i modi di portarmi via da Can e con l'aiuto di Huma, che aveva sfidato il mio orgoglio dicendo che non sarei stata capace di realizzare niente da sola nella vita, alla fine ci era riuscito.
                   I primi momenti erano stati veramente duri, niente e nessuno riusciva a risvegliarmi da un torpore costante che m'impediva di mangiare, dormire, pensare. Il mio sguardo perennemente perso nel vuoto non riusciva a focalizzarsi sul viso delle persone care che cercavano di scuotermi, mi toccavano, mi parlavano, cercavano di farmi tornare in vita. La mia mente era altrove, era su un'amaca sotto un cielo trapuntato di stelle in riva al mare, era sugli scogli di fronte alla Maden's Tower, era nel bosco vicino ad una tenda da campo, era in una rumorosa e variopinta agenzia dove il nostro amore era nato e cresciuto. Vivevo e rivivevo nella mia mente ogni minuto, ogni sorriso, ogni sfiorarsi di mani, ogni singolo abbraccio, era solo quello che mi teneva in vita, i ricordi.
          Un giorno, all'improvviso, un terremoto aveva scosso la mia anima nel profondo e, dopo i primi momenti in cui il mio mondo si era completamente capovolto facendomi sentire la disperazione di una situazione senza uscita, come un fulmine a ciel sereno, la consapevolezza.    
            Potevo e doveva farcela!
Il dolce erkenci kuş entusiasta della vita, fiduciosa nel futuro ed aperta a tutto e tutti era sparita, al suo posto, dalle sue ceneri, una fenice doveva risorgere e ricostruire la sua vita a tutti i costi. Non potevo dare ragione a Huma,  dovevo trovare la mia strada, con  quel che rimaneva dei miei sogni,  e ricominciare a vivere.
            Cominciai a scrivere in maniera compulsiva, anche per giorni e giorni, senza quasi dormire nè mangiare,  trovai nella scrittura la valvola di sfogo alla mia disperazione. Riga dopo riga, parola dopo parola, il mio animo straziato aveva  iniziato ad essere rammendato, il sollievo per riuscire a mettere nero su bianco tutto il mio amore per lui mi stava progressivamente riportando alla vita presente e al pensiero di poter avere un futuro.
            Dopo giorni e giorni di scrittura quasi maniacale misi la parola fine ad un romanzo che altro non era che la mia anima messa a nudo, era qualcosa che era venuto al mondo e che mi aveva fatto rinascere. Inviai immeditamente una copia a tutte le case editrici che riuscii a scovare facendo approfondite ricerche online e fui incredibilmente sorpresa dal fatto che non una ma diverse aziende mi contattarono. Era giunto il momento di tornare alla vita, di rinascere dalle ceneri e guardare al mondo che mi aspettava, fuori dalla mia camera con il poster degli albatross che dagli anni dell'adoloscenza mi teneva compagnia ogni giorno e che ora era solo lì a rammentarmi cosa non era più mio.
               Feci diversi colloqui e scoprii che, non solo avevo una possibilità di realizzare i miei sogni, ma potevo permettermi anche il lusso di scegliere come e con chi farlo. Seguirono giorni frenetici in cui dovetti prendere tante decisioni, molte delle quali estremamente dolorose.
Ero  tormentata dai dubbi quando, un pomeriggio,  mi diressi inquieta verso la costa. Sedendomi su una panchina osservai la gente salire su un battello e, d'impulso, decisi di prenderlo e farmi portare ovunque purchè fosse  lontano dai miei pensieri.
              Quel viaggio improvviso mi fece  conoscere un tratto di costa, non lontano dal centro di Istanbul, a me sconosciuto fino a quel momento e del quale non ho  potuto fare a meno di innamorarmi irrimediabilmente. Sentivo che in quei luoghi avrei potuto trovare quel minimo di pace che la vita poteva ancora regalarmi.
              Eccomi qui, diversi mesi dopo, con il mio libro pubblicato in diversi paesi del mondo con lo pseudonimo di Phoenix, Fenice, con l'indipendenza economica di cui tanto avevo bisogno e finalmente relativamente in pace con me stessa e con il mondo in questo angolo di  paradiso.
               Il sole era ormai scomparso, cominciai a sentire sulla pelle la brezza fresca che il mare portava da lontano, sentii un brivido sconosciuto scuotermi, mi abbracciai per riscaldare le braccia scoperte e tornai sui miei passi verso il piccolo cottage che era diventato il mio rifugio ed il mio nido nascosto al mondo.

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Un amore rinato dalle ceneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora