13 - Nihat

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Sanem

Denise non aveva chiesto, aveva capito che stava succedendo qualcosa di importante, mi aveva guardato attentantamente negli occhi e mi aveva abbracciata forte per poi lasciarmi sola con i miei pensieri.

Le mie mani continuavano a tremare, com'era successo? Come aveva fatto a trovarmi? Ero stata attenta a non lasciare tracce. Solo Layla sapeva che ero ancora ad Istanbul ma non sapeva dell'esistenza del piccolo Nihat, nè dove abitavo. Ci incontravamo da qualche mese, dopo la nascita del bambino, in un caffè sulla costa. Non potevo rivelare la presenza di mio figlio neanche a lei, non potevo rischiare che lo dicesse ai miei genitori o, peggio ancora, ad Emre.

La mia nuova esistenza ormai era senza tutti loro, i miei genitori sapevano che lavoravo in una azienda lontana da Istanbul, erano stati sconvolti dalla mia partenza e per mesi le nostre telefonate erano state tese, sentivo la disapprovazione nella loro voce, ma questo era niente in confronto alla vergogna ed il disonore che sarebbero caduti loro addosso se si fosse venuta a sapere la verità.

Mi era dispiaciuto non poter condividere con la mia famiglia la gioia per il successo del mio libro, nessuno sapeva che io ero il fantomatico autore del bestseller internazionale del momento.
Ne sarebbero stati orgogliosi se lo avessero saputo, ne sono sicura, ma non volevo che i miei genitori apprendessero dal romanzo le cose che avevo fatto e che avevo vissuto. Non volevo che perdessero il loro amore per Can, lo avevano sempre amato come il figlio maschio che non avevano avuto e non volevo che capissero che me ne ero andata a causa sua.
Non glielo avrebbero perdonato.
Solo Metin sapeva che ero io l'autore di quel romanzo, ero Phoenix, lo avevo assunto per seguire tutte le pratiche legate al contratto con la casa editrice ma era vincolato al segreto professionale, non poteva dirlo a nessuno.

Sospirai, tornai al presente guardando il piccolo Nihat che, ignaro della tempesta che imperversava intorno a lui, sorrideva e sgambettava beato nella sua culla. Com'era bello! Era la parte migliore della mia vita e mai avrei rimpianto tutti i tormenti che avevo vissuto se tutto questo mi aveva permesso poi di avere il mio piccolo angelo. Lo guardai con le lacrime agli occhi ripensando allo di sguardo di Can quando lo aveva visto.

Aveva scosso la testa come per negare che potesse essere suo figlio, come se non riuscisse ad accettare la sua presenza. Quanto mi aveva fatto male! Poteva aver rifiutato il mio amore ma come poteva rifiutare suo figlio?
Da quando avevo scoperto di aspettare un bambino mi straziava il pensiero di un piccolo che sarebbe cresciuto senza l'affetto di un papà, che un giorno avrebbe chiesto perchè lui non aveva un padre come i suoi amici.
Il mio cuore era devastato al solo pensiero ma in questo momento esisteva per me solo il dubbio di quello che sarebbe successo.

Cosa avrebbe fatto Can? Sarebbe salito di nuovo sulla sua bella barca e sarebbe fuggito? Non ne sarei rimasta stupita. Era la sua specialità, non affrontare le difficoltà e fuggire a gambe levate, aveva sempre fatto così, sin dall'inizio del nostro rapporto. Lui era un albatross che non poteva fermarsi in un luogo, doveva essere libero.
Mentre ero immersa in questi pensieri percepii una presenza sulla porta lasciata aperta da Denise. Alzai di scatto lo sguardo sul suo viso incerto, timoroso dell'accoglienza che avrebbe ricevuto.
Bussò leggermente sullo stipide della porta e chiese mestamente il permesso di entrare, non potei fare altro che annuire.
Era inutile temporeggiare, tanto valeva avere subito questo confronto, anche se doloroso, per poi tornare alla nostra vita solitaria una volta che lui se ne fosse andato.
Can tolse rispettosamente le scarpe, entrò in casa con le mani giunte in evidente imbarazzo, prese fiato come per parlare quando il movimento di braccia e piedi che spuntavano dalla culla attirarono la sua attenzione. Lo vidi deglutire, passarsi nervosamente le mani tra i capelli sciolti, per poi dirigersi risolutamente verso il bambino come in trance.

Abbassò lo sguardo sul piccolo, sembrò trattenere il fiato finchè un sorriso meraviglioso gli comparve sul viso. Rimase così, incantato, per quella che sembrò un'eternità poi esitante allungò una mano verso di lui ed il cuore di entrambi probabilmente si fermò nel momento in cui una minuscola manina afferrò un dito della sua enorme mano.

Quando si dice "Un istante che vale un'eternità".

Quel momento fu emozione pura.

Rimanemmo in silezio, entrambi con le lacrime agli occhi e una tempesta di emozioni che imperversava nelle nostre menti e nei nostri cuori. Poi si sentì solo Can sussurare

- Mio figlio.... -

Un amore rinato dalle ceneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora