1 - Nulla, un grande nulla...

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Il nulla, un grande nulla

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Il nulla, un grande nulla.
Un anno da quando, in preda alla disperazione più profonda, avevo  buttato qualche vestito in una borsa e, come se avessi il diavolo alle calcagna, ero andato al porto per prendere il largo.
            Stavo soffocando ad Istanbul, la città che era stata da sempre per me associata alla parola "ritorno" e che da quando avevo conosciuto lei era anche diventata "casa".
Mi sentivo soffocare, il mio cuore aveva smesso di battere nel momento in cui lei aveva rifiutato di prendere la mia mano ed  aveva posto fine ad ogni mia speranza.
Per la prima volta nella vita avevo provato il bisogno e mi ero permesso di sperare che qualcuno ci fosse per me, mi appartenesse come io appartenevo a lei. Mai, sino ad allora, mi ero concesso il lusso di pensare che potesse succedere  da quando mia madre mi aveva abbandonato portando via mio fratello con sè ed impedendomi di viverlo.
           Sanem, la mia luce, il mio tutto mi aveva portato, per la prima volta , a pensare di essere completo, di non avere quella mancanza, di non provare quella sensazione di essere incompleto ma finalmente parte  di una famiglia. Gli Aydin erano la gioia, il calore, l'affetto materno, l'accoglienza, l'abbraccio che avevo desiderato per tutta la vita senza saperlo.
         Sanem mi aveva fatto sentire amato per quello che ero, accettato non per la mia forza o il mio carisma, ma per la debolezza dei miei sentimenti per lei, sentimenti che mai prima mi ero concesso di provare e che, per la prima volta, mi avevano fatto credere che esistesse un posto per me, solo per me,  in questo meraviglioso mondo che avevo attraversato in lungo e in largo ma che mai avevo sentito mio come qui ad Istanbul, con Sanem tra le mie braccia.
            Poi tutto era precipitato: incomprensioni, gelosie, insicurezze, testardaggine e l'incapacità di tenere i condizionamenti del mondo esterno fuori dal nostro rapporto.
Le madri che ostacolavano il nostro matrimonio, Yigit che cercava di manipolare la mia Sanem incapace di vedere secondi fini nell'agire degli altri, il mio essere incapace di  gestire  le emozioni  al punto di farle credere che non avessi fiducia in lei quando era del mondo intorno a noi che non mi fidavo. E poi... parlando di fiducia... mentre lasciavo Istanbul quella fatidica notte di un anno fa, non facevo altro che pensare come aveva potuto Sanem pensare che io potessi distruggere qualcosa così caro per lei? Come aveva potuto credere che io non volessi altro che il meglio per lei, perchè aveva lasciato la mia mano?
          In questo anno di nulla, durante il quale non avevo incontrato nessuno e non avevo visto altro che mare e orizzonti  lontani verso cui mi dirigevo per scappare da lei, non avevo fatto altro che pensare. Come aveva potuto Sanem lasciare la mia mano? Ma io? Cosa avevo fatto? Quante volte Sanem era rimasta ferma lì, irremovibile a cercare la mia mano mentre io le avevo girato le spalle?
Quando, dopo aver scoperto del suo ruolo nell'azienda con Emre, l'avevo allontanata lei era rimasta lì, ad aspettare paziente un mio segno.
Mentre Polen si pavoneggiava per l'agenzia ed intorno a me, lei era lì che, ne sono sicuro, moriva di gelosia ma continuava a credere ancora nel nostro amore.
Mentre Ceyda ostentatamente si offriva a me lei era lì che mi aspettava con i suoi occhi speranzosi e accoglienti.
Mentre io le dicevo che lei era come le altre, non una ma ben due volte, lei era rimasta lì, amandomi con ogni sguardo, ogni parola, ogni bicchiere di tè che posava sulla mia scrivania aspettando che io decidessi di accoglierla tra le mie braccia.
 Mi ci erano voluti mesi di nulla per arrivare a capire i miei errori, capire che ero stato io, ancora una volta, a lasciare la sua mano, a girargli le spalle senza lottare per noi come lei aveva fatto costantemente sin dall'inizio della nostra storia.
Ora il mio cuore ogni giorno ripeteva incessatemente una poesia che insieme avevamo letto ed amato:

Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos'hai sognato?
Esci? Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso ma non ti cerco.

Charles Bukowski


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