Parte 11

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ATTENZIONE: Questa è solo una bozza embrionale, da cui si può solo intuire il successo editoriale di "PREDESTINATI PER SCELTA"


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Sono venuto a Roma per sfuggire da un killer, per cercare un sostegno a cui aggrapparmi, per trovare qualche risposta ai miei tanti interrogativi irrisolti, ma non certo per chiacchierare con una ragazza frivola, che potrebbe farmi precipitare nel peccato mortale. Lei ha qualcosa di diabolico, non riesco a guardarla senza desiderare cose che un prete non dovrebbe nemmeno lontanamente pensare. Mi sento troppo fragile, forse ho sbagliato a venire qui. Mi gratto il collo irritato per tutta questa polvere, la sento sul tappeto, sul divano, nell'aria e tutta intorno a me.

Chi diavolo è quella donna? Durante l'intero tragitto per arrivare qui non mi ha degnato di una risposta.

Passo involontariamente tra le dita il rosario che porto sempre con me, pensando all'uomo che me lo regalò e che avrei voluto incontrare: un severo e autoritario professore di teologia, che mi fu vicino quando giovane e spaventato cercavo di capire quale fosse la mia strada. Questa è davvero la sua casa?

Mi guardo intorno in cerca di una foto o di un indizio qualsiasi, ma non noto niente. Il soffitto è basso e non c'è una finestra, questa specie di stanzino è opprimente, quasi quanto i miei incubi.

Sento un rumore di passi, pesanti e lenti, incombere verso di me.

Tento di alzarmi per scappare via, ma il mio cuore ha perso qualche battito e forse sta per fermarsi. Ho soltanto la forza di farmi il segno della croce e di voltarmi verso la porta.

Nella penombra del corridoio noto una figura curva che si avvicina trascinandosi lentamente, come uno degli zombi dei miei incubi.

Stringo con la destra il rosario, come se si trattasse di un'arma per difendersi, mentre vorrei strillare, ma mi manca il fiato.

Quando sbuca finalmente alla luce, mi accorgo che si tratta di un uomo dall'aspetto mite e molto trascurato, con una lunga barba bianca ispida, avvolto in una vecchia vestaglia rappezzata e con delle pantofole così logore da essere bucate all'altezza dell'alluce.

«Sei proprio tu?» mi dice con voce rauca.

Sembra il fantasma dell'uomo imponente e altero che vive ormai solo nei miei ricordi. È irriconoscibile e avrei voluto ribattere con la stessa identica domanda, ma mi commuovo. «Sono Roberto. Sì, sono io» rispondo impacciato.

«Io invece non sono più io, purtroppo.»

«Che dice, professor Arcuri?»

«Di fronte a te hai soltanto il riflesso opaco dell'uomo che ero.»

«È lui; sì è lei. Per un attimo ho pensato di trovarmi in uno dei miei incubi. Non sa quanto mi fa piacere rivederla.»

«Dammi del tu, non siamo più ai tempi del seminario.»

Per un attimo riconosco l'espressione seria e fiera che tante volte ho visto sul suo viso, quando spiegava con pazienza le sue teorie più ardite. «Certo, con piacere» rispondo, mentre, ormai rilassato, sorrido.

«Come ti chiami?»

«Roberto, l'ho detto prima. Non mi ha riconosciuto?»

«Sì, certo. Scusami.»

«Si ricorda dei tanti pomeriggi passati a discutere dell'esistenza di Dio e dell'aldilà, davanti a un buon tè e un piatto di golosi biscotti di pastafrolla?»

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