Parte 13

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Il professore si è allontanato; si sentiva stanco e aveva bisogno di sdraiarsi sul letto. Sono solo con questa ragazza preparata e intelligente, ma anche affascinante e dai modi sensuali. Mi dovrei fidare di lei? Non sono abituato a condividere cose così intime. Inizio a sentire una grande stanchezza, eppure Napoli e Roma sono così vicine. Non sono abituato a viaggiare e dovrò fare spostamenti ben più lunghi: non posso affermare tutto questo da solo.

C'è però qualcosa di sbagliato, che si sta facendo largo dentro di me. È colpa di Susy: risveglia in me pensieri che non dovrei... Devo rimanere concentrati sulla mia missione.

«Susy, anche se ci sono cose di cui mi vergogno, voglio raccontarti tutto. Siediti, ascoltarmi con attenzione e, per quanto ti possa apparire tremendo o assurdo quello che ti racconterò, ti prego di non interrompermi.»

Lei si accomoda in una sedia accanto alla mia e mi sorride, prima di assumere un'espressione seria e professionale. È così vicina che sento il profumo della sua pelle.

«L'angelo, nonostante mi ritenesse responsabile per l'esistenza di Antonio, mi ha preso sotto la sua protezione. Solo Dio sa quali e quanti abomini ha commesso il mio amico, da quando l'ho salvato. Dovevo riparare al mio errore a ogni costo, altrimenti ci sarebbe stata l'apocalisse.»

Mi fermo e guardo Susy, incerto su cosa confidarle. Come dovrebbe fare un buon confessore, lei resta impassibile alle mie parole e mi dà il coraggio di proseguire.

«Antonio è posseduto dal diavolo, purtroppo. Credo di aver improvvisato un rito di esorcismo su di lui, chiedendogli di sottomettersi all'angelo che guidava le mie azioni, ma non è servito a nulla. Il demonio ha vinto!» Mi siedo per terra a gambe incrociate, stringendo forte i pugni. «Devo aver tentato, per disperazione, di fare qualche cosa di cui mi vergogno profondamente. Ho abbandonato colui che, fino a poco prima, era il mio amico più caro a una fine orribile, senza provare alcun rimorso. Nemmeno questo è però servito, il diavolo deve essere venuto in suo soccorso.»

«Non avevi alternative» mi sussurra dolcemente. Sento che mi guarda in maniera diversa: come una complice pronta a giustificarmi, anche se ho torto.

Mi sollevo di nuovo in piedi, sottraendo lo sguardo dalle gambe di Susy che nel frattempo si erano incrociate in un gesto soave, ma intriso di sensualità. «L'angelo è tornato nuovamente da me. Non era adirato per il mio fallimento e la sua voce trasudava bontà. Mi ha rincuorato sussurrando che niente era ancora perduto e che c'era modo di rimediare.»

Susy assume un'espressione molto più interessata e scavalla le lunghe gambe con un movimento estremamente lento, lasciando intravedere ciò che anelavo in segreto.

Dopo un attimo in cui perdo il filo del discorso, fingo un colpo di tosse e ricomincio a parlare. «L'angelo mi ha affidato una missione a cui non mi sono potuto sottrarre» annuncio tutto d'un fiato, guardandomi attorno spaesato, come un bambino che ha appena rubato la marmellata. «È complicato da spiegare» aggiungo. «Riassumendo per sommi capi: prima devo fare una telefonata per salvare un innocente, poi devo andare in Francia innanzi al portale di una chiesa e, infine, si pretende da me che impedisca addirittura l'annuncio, da parte dell'Arcangelo Michele, dell'inizio dell'apocalisse.»

Susy mi guarda perplessa, d'altronde dopo quello che ho raccontato, l'unico consiglio sensato sarebbe stato suggerire il nominativo di uno psichiatra.

Richiamo l'attenzione della mia interlocutrice, con un gesto della mano, per descrivere la tremenda visione finale in cui ho assistito personalmente all'apocalisse ma, appena ricomincio a parlare, il pesante lampadario in ottone inizia a ondeggiare e cadono pesantemente in terra dei libri dai ripiani. Mi rendo conto che le pareti sussultano, come una nave tra le onde di una tempesta. È il peggiore dei miei incubi, ritornato dal profondo delle mie paure per rivelarsi reale e letale.

Fuggo in preda al panico fuori dall'appartamento, corro giù per le scale, inciampo sull'ultimo gradino e resto steso a terra impietrito nell'androne del palazzo. Con le mani mi copro la testa, rassegnato a finire nuovamente sotto le macerie. Sono attimi interminabili. Sento scricchiolare il soffitto e l'idea di dover nuovamente rischiare di morire mi paralizza. Non riesco a fare altro che pregare sottovoce, attendendo che si realizzi il destino a cui da ragazzo ero sfuggito.

Poco dopo tutto si placa e un silenzio irreale mi stordisce. Sono sopravvissuto.

Susy mi raggiunge dopo qualche minuto, è bianca in viso ma si sforza a mantenere un'espressione sorridente e tranquillizzante, mentre mi aiuta a sollevarmi da terra e chiede: «Stai bene?»

Dal portone del palazzo si affaccia un barbone con il viso completamente butterato e gli occhi allucinati, che rivolgendosi al cielo, lancia degli improperi e delle bestemmie, prima di scomparire nella notte.

Prendo dal portafoglio un foglietto con delle annotazioni. «Susy, il primo passo è salvare la vita a uno sconosciuto, che domani sarà ucciso. Oggi è lunedì, giusto?»

«È stato... Pensavo che sarebbe crollato tutto.»

«Oggi è lunedì, vero?» insisto.

«Sì. Perché lo chiedi?»

«Questo terremoto non può che essere il segno che attendevo, devo fare subito una telefonata.»

«A chi, non capisco?»

«Non è semplice da spiegare. Devo parlare con "il Rosso", potrebbe essere un soprannome ma non so chi sia. L'angelo che irradiava la luce divina mi ha detto che numero comporre, chi mi avrebbe risposto e cosa avrei dovuto dire. Ho segnato tutto su un bigliettino per paura di dimenticare, ma stranamente ricordo tutto perfettamente a memoria.»

Tornato nell'appartamento, vedo il professore preparare tranquillamente il caffè. Susy mi porta un telefono, chiedendomi di metterlo in viva voce. L'aroma del caffè è nell'aria. Ho bisogno di chiudere gli occhi e fare qualche respiro lungo e cadenzato.

«Ti senti male?» mi chiede Susy, ancora provata per il terremoto.

«No. Mi serve solo un attimo.»

Ho ancora in mano il fogliettino, faccio il numero sulla tastiera del telefono e attendo impaziente, ancora scosso per lo spavento subito e teso per ciò che mi poteva attendere.

«Pronto, chi è?», risponde una voce maschile.

«Parlo con "il Rosso"?»

«Sì.»

«Domani alle tredici, in via Luca Giordano, le spareranno da una finestra al quarto piano. Non è uno scherzo!», pronuncio tutto d'un fiato e metto giù il telefono prima che il mio interlocutore possa replicare. Faccio un sospiro di sollievo e appallottolo il foglietto che ormai non serve più.

Susy mi guarda con un'aria interrogativa e il professore sembra interessato soltanto a quante zollette di zucchero mettere nella tazzina di caffè, che mi ha appena portato.

«È tutto vero: "il Rosso" esiste!» affermo con l'esultanza di chi può dimostrare di non essere un folle.

Susy resta senza parole e il professore insiste che beva.

«No, grazie, sono già troppo nervoso» rispondo contrariato.

«Si raffredda. Quanto zucchero?»

«La verità è che non lo preferisco, ma è come se un inglese dicesse di non bere tè: non ci crede nessuno.»

«Ma come, un napoletano che non beve il caffè? Forse pensi che non lo sappia fare?»

«Ci rinuncio. Allora, amaro... amaro come la vita.» 

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