Parte 25

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Guardo con venerazione la lama d'acciaio lucente e affilata del mio pugnale. È difficile descrivere il gusto che si prova quando penetra la carne del tuo nemico, percepisci gli spasmi di dolore, senti il suo sangue caldo sgorgare sulle tue mani e assapori l'odore inconfondibile della morte.

È un piacere che mi riservo soltanto quando devo giustiziare quei viscidi e vigliacchi esseri che fanno del male ai bambini.

Quando mia mamma decise di parlarmi del rapimento della mia adorata sorellina, mi raccontò dell'esistenza di persone cattive che ronzavano attorno alla nostra famiglia. Lei li definiva avvoltoi e diceva che agivano sotto l'influsso del diavolo. «Erano stati loro a portarsi via Annabella» gridò e poi scoppiò a piangere.

Non ho mai saputo che fine abbia fatto davvero mia sorella, nel mio cuore decisi che era morta e trovai pace. Mia madre, invece, non si arrese mai e si consumò, giorno dopo giorno, a cercarla. Quando il terremoto la portò via, per lei, fu una liberazione.

Non ho mai considerato la morte come un qualcosa da temere, perché la ritengo meglio di un'esistenza segnata dalla disperazione, come quella di mia mamma.

"Il Rosso" meriterebbe una lunga vita segnata da sofferenze atroci e, siccome Dio non interviene, ci penserò io! Gli toglierò la vita, come atto di amore nei confronti di tutti i bambini e dell'umanità intera.

Lo farò in maniera che senta quanto più dolore possibile. Mi piacerebbe, infatti, procurargli una lunga agonia, che gli dia il tempo di riflettere sulla sua inutile vita e, soprattutto, sulle sue orribili azioni. Gli offrirò anche l'opportunità di pentirsi e di chiedere pietà, confessando tutti i suoi peccati a me, il suo "Angelo della Morte". Lo farò illudere solamente per vedere la faccia che farà quando gli negherò il mio perdono e lo strozzerò, con le mie mani, per dove merita di stare: tra le fiamme dell'Inferno. 

Perché dovrei avere pietà di esseri del genere, queste orrende persone non sono capaci di cambiare, neppure quando si rendono conto di essere prossime alla fine. Nemmeno Dio, dovrebbe permettersi di perdonarle!

Vorrei ucciderle tutte. Non riporterei così in vita la mia sorellina, però mi sentirei molto più soddisfatto, ad aver reso il mondo un posto migliore.

L'angelo mi ha promesso che oggi, alle ore ventidue, dodici minuti e venti secondi, "il Rosso" entrerà nel bagno della Pizzeria dell'Angelo, solo e disarmato.

È meraviglioso avere un informatore così preciso e affidabile. Gli dovrei proporre di diventare mio socio.

Il locale è nei pressi di via Tribunali, nel "ventre molle" di Napoli, dove si possono percepire le mille contraddizioni di questa città, farsi sconvolgere dalla sua anima buia, farsi amaliare assaporando un babà al cioccolato e rum, una sfogliatella calda o, ovviamente, una delle pizze più saporiti del mondo.

Mi turba percorrere queste strade, le voci e canti allegri si mescolano alla miseria e all'ingiustizia atavica. La gioia di vivere e godere coabita con la consapevolezza e la venerazione della morte. Qui tutto è maledettamente sbagliato, ma nessuno se ne importa.

Raggiungo la pizzeria, dove mi accoglie il profumo di crocchè appena fritti, che invoglia a tutt'altri pensieri. Mi accomodo all'ultimo tavolo libero rimasto e ordino, a un'affabile cameriera con lunghi boccoli neri e grandi occhi azzurri, una pizza ai funghi porcini con il cornicione imbottito di ricotta e una birra rossa alla spina.

Attendo qualche minuto, poi mi alzo e, passando a testa bassa tra gli altri tavoli, mi dirigo al bagno degli uomini.

Mi accoglie un ambiente di uno squallore insopportabile: mattonelline azzurre scurite dallo sporco ricoprono pavimento e pareti, un odore nauseabondo proviene da sotto una delle porte dei piccoli tuguri senza finestra, dove sono posti i gabinetti.

Controllo di essere solo e poi, con calma estrema, verifico il mio travestimento allo specchio traballante posto sul vecchio lavandino. La parrucca castana e lunga, gli occhiali da secchione, una barba incolta, il pullover fuori moda e i jeans consumati, mi forniscono l'aspetto, appena credibile, di uno studente universitario fuori corso.

Osservo impaziente le lancette del mio Swatch con Snoopy, sincronizzato con il segnale orario dei server dell'orologio atomico. Non appena scatta l'orario previsto, "il Rosso" entra dalla porta e si dirige verso uno degli orinatoi.

Senza che se ne accorga, mi avvicino alle sue spalle e con il braccio sinistro gli blocco con forza la gola, impedendogli di emettere qualsivoglia suono.

Percepisco la sua sorpresa trasformarsi in terrore, quando con la mano rimasta libera, estraggo il mio fedele pugnale e tiro un fendente velocissimo, che gli stacca di netto quella piccola parte di corpo di cui gli uomini sono tanto fieri.

Con un secondo fendente faccio uscire, alla luce tremolante dei neon, le sue budella viscide.

L'ultimo colpo è quello mortale, ma al contrario dei precedenti, consiste in un movimento estremamente lento, per poter assaporare il momento esatto in cui la lama penetra la parete cardiaca.

La vittima si agita, prima in maniera inconsulta, poi sempre meno. Quando lascio la presa al collo, il suo corpo si affloscia come un sacco di letame vuoto.

Sottraggo dalla tasca sinistra del suo pantalone il mazzo di chiavi che cercavo. Mentre blocco con un piede la porta d'ingresso, approfitto del lavandino per sciacquare le mani. Mi levo di dosso e butto in un angolo pullover e jeans macchiati di sangue. Sotto avevo un maglioncino sottile e un pantalone blu. 

Forzo, in pochi istanti, la serratura della porta d'ingresso al bagno, bloccandola, così da ritardare il rinvenimento del cadavere e poter tranquillamente gustare la pizza che avevo ordinato.

Dopo aver pagato il conto, mi dirigo verso l'indirizzo rivelatomi dall'angelo, sicuro di ciò che troverò.

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