Parte 28

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Antonio aveva trovato la bambina scomparsa legata su una sedia, in un lurido e buio deposito di mobili usati.

Lo osservavo mentre stringeva al petto la piccola terrorizzata e quasi esanime. La rincuorava, accarezzando con dolcezza i lunghi capelli castani e ripetendo come un mantra che presto sarebbe tornata tra le braccia della sua famiglia. Aveva il viso tutto sporco, indossava ancora il grembiule della scuola e, alla luce fioca di una vecchia lampadina appesa al soffitto, sembrava ancor più piccola della sua età. Tremava e non parlava.

Antonio l'aveva chiamata per nome appena l'aveva vista e liberandola le aveva chiesto se stesse bene e se le facesse male qualcosa, ma non ebbe risposta. Lei singhiozzava ininterrottamente, ma nessuna lacrima usciva dai suoi occhi sfuggenti.

«Non avere paura di me» le disse Antonio. «Sono un amico del tuo papà Adolfo.» Al suono familiare di quel nome la bambina si rianimò, abbracciò il suo salvatore e dette sfogo a tutte le sue lacrime.

«Adesso ti prendo in braccio e andiamo via da questo postaccio.» Antonio la sollevò con una tenerezza inaspettata, mentre le sussurrava una promessa: «Non rivedrai mai più l'uomo cattivo che ti ha rapito».

In quel killer spietato c'era tanta bontà inespressa, soffocata dall'ira che aveva accumulato nel corso della sua vita. Avevo visto troppo spesso esseri umani intestardirsi a condurre esistenze a cui non erano destinati, logorati dall'infelicità e sordi al richiamo della loro vocazione, ma Antonio li superava tutti per cocciutaggine.

Sapeva di non essere felice per la vita che conduceva e per i peccati mortali che compiva, ma ciò nonostante, continuava imperterrito per la sua strada. Dio aveva altri piani per lui, ma lui non aveva alcuna intenzione di eseguirli.

Era arduo per me considerare come "il prescelto" una persona così straripante di difetti, ma nemmeno mi fidavo del mio frettoloso giudizio: nemmeno noi angeli siamo esseri perfetti. Siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, quindi impeccabili sotto molti punti di vista, ma non in grado di eguagliare le Sue qualità e forse nemmeno alcune di quelle degli esseri umani. Ci è stata negata la capacità di creare la vita, non possiamo avere figli infatti, eppure tendiamo a sentirci superiori ai mortali. La superbia quindi è un difetto che fatichiamo spesso a tenere a freno, ma il nostro limite maggiore, per quanto bizzarro possa apparire, è rappresentato dalla curiosità.

Qualunque essere eterno che avesse accesso diretto al Verbo e quindi alla verità assoluta, inevitabilmente sentirebbe la necessità di stimoli, per riempire un'esistenza lunga e senza molte sorprese. Per non ridurci a galleggiare come vegetali sull'enorme lago della conoscenza non potevamo fare a meno della curiosità, ma purtroppo dovevamo porre attenzione all'altro lato della medaglia, quello diabolico. Cosa spinse Lucifero a sperimentare il frutto proibito del "libero arbitrio"? Gli angeli non potevano essere malvagi, perché non faceva parte della loro natura, ma erano estremamente curiosi... maledettamente curiosi. Era un desiderio irrefrenabile, un istinto di sopravvivenza a cui tutti noi dovevamo dare regolarmente sfogo.

Anch'io, per evitare di sprofondare nell'apatia e nel torpore, spiai qualcosa a cui non avrei dovuto accedere: decisi di spingere il mio sguardo oltre l'apocalisse, all'epoca in cui il genere umano si era estinto.

Iniziai ad aleggiare su enormi metropoli disabitate, in cui tutto richiamava alla mente le parole "rovina" e "desolazione": sull'asfalto e sul cemento si erano formate crepe in cui erano germogliate piante e arbusti rigogliosi; caprioli, cervi e cinghiali scorrazzavano tranquilli e numerosi dove prima sfrecciavano le automobili; i manufatti umani giacevano immobili a consumarsi alle intemperie, come relitti di un passato dimenticato. Alla natura erano bastati pochi anni per riconquistare edifici, monumenti, aeroporti, autostrade, centri commerciali e tutto quello che avevano costruito, con orgoglio, gli uomini.

Nei milioni di anni a venire ogni segno del passaggio del genere umano era destinato a svanire completamente, così da riportare la Terra alla sua originaria selvaggia bellezza. Nella lunga storia del pianeta, l'uomo aveva presentato una parentesi di tempo di durata trascurabile e con un impatto invece devastante, ma provvisorio, come tutto ciò che riguardava i mortali. L'umanità aveva violentato la natura, trasformando il suo ambiente vitale a suo uso e consumo, pensando di essere libero di fare qualsiasi cosa. Credeva di potersi sostituire a Dio, vana illusione!

Non tutto quello che aveva creato l'uomo, però, doveva essere disprezzato. L'arte era arrivata a vette commoventi, che avevano più volte attratto la mia attenzione. Seguii, ad esempio, con estrema curiosità la realizzazione delle raffigurazioni all'interno della Cappella Sistina e verificai poi la meraviglia che suscitavano in chiunque le osservasse. Le eccezionali capacità di Michelangelo mi fecero dubitare perfino della sua stessa natura di semplice mortale. Sta di fatto che il nome che gli fu dato da sua madre non fu frutto del caso, ma una scelta di Dio per legare il suo destino al mio. Fui io a suggerire al Papa di utilizzare quello che tutti conoscevano solo come un bravo scultore per realizzare l'affresco della cappella in cui erano scelti i Papi. L'affresco del giudizio universale lo suggerii, come monito alla Chiesa, io stesso all'artista, che lo realizzò davvero magistralmente. Adesso però, nel punto in cui si ergeva meraviglioso e maestoso, vedevo soltanto un ammasso informe di macerie. Con il cuore a pezzi mi diressi verso nord.

Sorvolai le alpi per poi passare su quel che restava di Parigi e dei suoi edifici eleganti e monumentali. Planai dai bianchi resti della Basilica del Sacro Cuore in cima a Montmartre, fino giù la Senna, che continuava a scorrere incurante della desolazione attraverso cui scorreva. Atterrai sul tetto della cattedrale di Notre Dame per godere del Sole primaverile e del vento profumato di glicine selvatico.

Il silenzio innaturale era rotto soltanto da stridii sgraziati di gabbiani e dai grugniti lontani di una famiglia di cinghiali. Tutto il resto era fermo, morto e trasmetteva una forte sensazione di vuoto: nell'aria era palpabile la triste consapevolezza della futilità della vita umana. Era come osservare una stella senza luce e, prima che potessi rendermene conto, fui risucchiato in un vortice potente come quello di un buco nero.

Avrei dovuto essere soddisfatto di osservare che il volere di Dio si era realizzato, ma una lacrima scese lentamente sulla mia guancia destra.

Il cielo nel frattempo era diventato plumbeo e udivo dei tuoni in lontananza.

Sentivo lo sconforto soffocarmi, come terra arida intorno alle radici di un arbusto. Mi mancava la confusione, il frastuono, le risate dei bambini, la musica a tutto volume di un concerto rock, perfino i clacson e le sirene del traffico caotico delle città. Intorno a me tutto era deserto e una tempesta di sabbia flagellava il mio cuore.

Tra le nubi scure e opprimenti si aprì uno spiraglio azzurro e sbucò un raggio di sole, che illuminò il mio viso in lacrime. Piansi come non avevo mai fatto prima.

Notre Dame splendeva al sole,mentre il resto della città restava illuminata da una luce soffusa e funerea.Era uno scherzo del caso o era il segno della pietà di Dio? Il Suo volere eranascosto in un fitto intreccio di eventi, così tanto attorcigliati da risultareimperscrutabile perfino a noi angeli.

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