Prologo

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Roma, 2013

Il sole era cocente a Roma, erano le tre di pomeriggio della prima domenica di luglio.

Dopo la gita domenicale ai Musei Capitolini con i genitori, Valentina stava tornando a casa. I raggi picchiavano forte e le ombre degli edifici non offrivano abbastanza riparo ai passanti.

Era l'ora mesembrina. Così l'avrebbero chiamata gli antichi Greci.

L'ora panica. Quella in cui sarebbe stato meglio rimanere in casa, non girovagare, perché il dio Pan presiedeva i boschi e cose terribili accadevano a chi si trovava all'aperto e veniva scoperto sulla sua strada.

L'ora degli dei, in cui anche le divinità si riposavano al fresco dei ruscelli, nelle radure, e non volevano essere viste, né disturbate.

Valentina passeggiava, poco dietro i suoi genitori, che si tenevano a braccetto, mentre proseguivano dando uno sguardo alle vetrine. Si calcò la visiera del cappellino ancora più in basso, per proteggere la fronte, già imperlata di sudore, dalla luce. Al contrario dei genitori guardava in giro, posando lo sguardo sui magnifici edifici, che incontrava lungo il cammino per l'imbocco della metropolitana. Anche se era cresciuta in quella città, non smetteva mai di meravigliarsi di fronte a tanta bellezza.

Come al solito, la visita al museo le aveva dato modo di pensare e, da grande appassionata di storia dell'arte qual era, le aveva lasciato solo sensazioni positive. Stava ancora pensando ai frammenti della colossale statua di Costantino, mentre guardava in lontananza il Colosseo, che si chiamava così proprio perché un tempo al suo fianco si ergeva una statua di simili dimensioni. Aveva ancora impressa nella memoria la plasticità della lupa che allatta i due gemelli, guardando cosa Roma era diventata. Fondata da Romolo, il primo re, come un piccolo e insignificante villaggio, in una terra in cui a governare erano altri, era diventata il centro del mondo.

La capitale dell'Impero Romano.

Da un villaggio in legno si era plasmata una città in marmo e oro.

Il Colosseo diventava sempre più grande, mentre si avvicinavano alla fine della strada.

Guardò alla sua sinistra e sgranò gli occhi. Di fronte ad un caffè si ergeva un gigantesco edificio, si alzava, elevandosi fin sopra i tetti più alti di quella via, fino a toccare il cielo.

Vale non era sicura di cosa fosse, la base sembrava quella di una chiesa, ma più si saliva con lo sguardo, più il palazzo si ramificava in una serie di guglie, rosoni, architravi, colonne, e, sebbene fosse schiacciato dagli stabili circostanti in basso, trovava tutto il respiro necessario nell'altezza.

Dopo lo stupore, crebbe in lei la perplessità: conosceva bene gli edifici di Roma, li aveva studiati e aveva visitato e setacciato la città in lungo e in largo nei suoi sedici anni di vita. Non riusciva a capire come tale splendore potesse esserle sfuggito.

Trattenne il fiato, mentre posava lo sguardo sul portone dorato, l'ingresso della chiesa, in cui erano scolpite, a basso rilievo, scene di battaglie, in cui cherubini alati respingevano negli abissi gli angeli traditori.

"Cos'è? Non ti sembra che abbia un che di neoclassico?" borbottò, cercando di attirare l'attenzione di sua madre.

Aveva ereditato da lei la passione per l'architettura, la donna era una storica dell'arte e avrebbe saputo dirle di più, svelandole anche un sacco di aneddoti interessanti.

In effetti, le loro passeggiate in città erano sempre di quel tenore, e suo padre si era rassegnato al fatto che si sarebbero dovuti fermare per entrare in tutte le chiese sulla loro strada.

"È strano, non lo trovo sulla mappa." continuò, mentre la madre si voltava a guardare nella direzione che lei le indicava.

"Cosa? Quella vecchia chiesa in rovina?" chiese la mamma, non prestando particolare attenzione.

Valentina stava per correggerla, ma si accorse che guardava nella direzione giusta. La stava forse prendendo in giro? Possibile che vedesse solo massi in rovina mentre lei vedeva cupole, foglie d'oro e girali d'acanto, che si ergevano facendo a gara a chi arrivasse più in alto?

Non disse niente, sentiva che qualcosa non andava, perché anche se fossero state un gruppo di macerie, sua madre sarebbe stata interessata, invece era indifferente a quel luogo, come se non esistesse.

Sbatté più volte le palpebre e decise di ritentare: "Come Mà?! Quella chiesa! L'abbiamo appena superata." Si voltò a guardare la sfilza di angeli guerrieri, che impugnavano le loro armi splendenti guardando minacciosi verso il basso.

"Di cosa stai parlando tesoro?"

"Della chiesa di poco fa. L'hai vista, ma dicevi che era in rovina..."

"Non abbiamo visto nessuna chiesa in rovina su questa strada." ribadì sua madre.

"Non te lo ricordi?"

Fece per voltarsi ancora, ma suo padre la prese sottobraccio, prima ridacchiava, pensando che le sue donne stessero scherzando, ma vedendo il pallore della figlia si era fatto serio.

"Ti senti bene, Valie?" le chiese, fissando intensamente i suoi occhi azzurri.

Lei annuì, poco convinta.

"Solo che mi sembrava..."

"Sarà il caldo." disse sua madre guardando suo padre. Ci fu quel rapido sguardo che si scambiavano i genitori quando pensavano di aver già capito una situazione. "Affrettiamoci."

E si allontanarono in fretta, protetti dalla breve ombra dei portici, senza che Valentina avesse ottenuto alcuna risposta.

Sembrava davvero che Pan le avesse giocato un crudele scherzo e che ora stesse ridendo, indifferente al suo sconcerto.

SHADOWHUNTERS - La Spada del ParadisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora