Capitolo 3

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Giorni passati

Angeli di potenza sicuri nel loro cielo,

sorridono quando gli spiriti meschini trionfano

e piangono per la loro rovina.

Jane Eyre

Alicante, 2007

Sara premette ancora di più la schiena contro la colonna di marmo su cui era poggiata. Cercava di respirare in modo regolare e di stare calma, ma con la Sala degli Accordi gremita di centinaia di bambini e con i rumori della battaglia, che li raggiungevano ovattati e martellanti dall'esterno, non era facile.

Se gli Ottenebrati fossero riusciti ad entrare lì dentro, per loro sarebbe stata la fine, non avrebbero avuto speranze: erano dotati di una forza mostruosa e programmati per non mostrare alcun tipo di pietà, e la cosa peggiore era che abitavano i corpi di quelli che fino a poco tempo prima erano stati i loro cari. Indossavano i loro volti, li avrebbero guardati con i loro occhi.

Sentì Giacomo, alla sua destra, trattenere il respiro e Giovanni, sulla sinistra, sussultare quando le porte della sala tremarono.

Le guardie stavano cercando di tenere sotto controllo l'assalto, ma Sara aveva l'impressione che non ci stessero riuscendo, che l'orrore stesse avendo la meglio. Sapeva che i loro genitori erano là fuori, che cercavano di tenerli alla larga, e sperava che stessero bene.

Un momento dopo il cielo esplose. Si sentirono versi di centinaia di cavalli imbizzarriti e urla di guerra circondare la sala.

Sara strinse i pugni: era la Caccia Selvaggia. Erano le fate, venute a dare man forte ai loro alleati.

Le porte cominciarono a vacillare sempre di più, le grida all'esterno si facevano sempre più forti e vicine. Strinse le mani ai suoi ragazzi, un momento prima che le porte cedessero e gli Shadowhunters vestiti di rosso si riversassero all'interno, gettandosi sul gruppo di bambini indifesi.

Loro tre scattarono in piedi, cercando di rimanere uniti. Estrassero le loro armi.

Insieme agli Ottenebrati nella sala erano entrate le fate, terribili come non mai, e le guardie, pronte a tutto pur di proteggere i loro figli.

Le sembrò di vedere suo padre correre in fondo alla sala, come un fulmine, ma non ci si concentrò troppo. Tutto ciò che voleva era che i suoi cari fossero al sicuro, ma aveva anche paura che, guardandosi intorno, avrebbe potuto incrociare qualche faccia nota anche dalla parte del nemico. Sapeva di non essere pronta a riconoscere alcuni dei ragazzi dell'Istituto di Roma.

Johnny le mise in mano una delle sue sciabole, mentre un paio di fate si avvicinavano a loro.

Avevano la pelle di un malsano colore violaceo, il volto sfigurato dal ferro e dal salgemma che sarebbe dovuto servire come protezione a tenerle lontane. Una di loro si buttò su Jack, che scartò di lato. Sara vide Johnny intervenire. Loro due erano più grandi di lei, avevano imparato molto di più sul combattimento.

Li vide avventarsi sulla fata, quando la seconda di esse le bloccò la visuale. Portò avanti una mano uncinata, emettendo un ghigno spaventevole. Sara arretrò, ansimante.

Nessuno l'avrebbe salvata. Nessuno.

Strinse il pugno intorno all'elsa. Aspettò. Quando lesse negli occhi della fata l'espressione di chi crede di aver già vinto, quando vide che quella abbassava tutte le difese per scagliarsi su di lei, le conficcò la sciabola nel mezzo dell'addome, dal basso verso l'alto. Buona parte della lama fuoriuscì dal dorso della creatura, incredula e morente. Il suo sangue, violaceo e bollente, le si riversò addosso.

Altre fate si stavano avvicinando, con movimenti bruschi, casuali. Si muovevano in tutte le direzioni, senza una logica precisa.

Fu costretta ad arretrare ancora, cercò di estrarre la sciabola, senza risultati. Doveva camminare trascinandosi dietro quel pesante corpo morto, mentre nuovi occhi la eleggevano come preda.

Sbatté la schiena contro qualcosa. Si voltò, alzando i pugni in posizione di guardia. Mai fu sollevata come in quel momento: aveva urtato contro Lin, di nuovo, e lei, per quello che ne sapeva, non avrebbe cercato di ucciderla.

Lin si voltò, con una brillante katana alzata su di lei. Sgranò gli occhi e bloccò il colpo già caricato.

Guardò Sara per un momento, poi urlò: "Sta giù!"

Lei si accasciò a terra, fidandosi. La spada giapponese di Lin disegnò un arco argentato sopra la sua testa, affondando nel petto di una fata alata alle sue spalle.

Poi Sara si rialzò, recuperò la sciabola e rimase al fianco di Lin, schiena contro schiena.

Era il caos, le grida si levavano tutt'intorno a loro, che rimasero compatte, silenziose.

Lin ansimava alle sue spalle. Sapeva di gelsomino, misto all'odore pungente del cuoio.

Le loro mani libere si cercarono e si strinsero, più forte che potevano, mentre la morte le circondava.

Sapeva già cosa aveva appena trovato, sapeva già chi sarebbe potuta essere Lin per lei e non poteva credere che sarebbe morta lì, in quel momento, appena dopo averlo capito, appena dopo averla conosciuta.

Un Ottenebrato si avvicinò con la spada sollevata. Sara trattenne il respiro. La mano di Lin strinse ancora di più la sua, mentre anche le ragazze alzavano le proprie armi.

Sembrava che tutto stesse per finire, che anche la speranza si fosse esaurita, ma l'Ottenebrato si accasciò a terra, senza che nulla lo avesse colpito. In tutta la sala le cappe rosse cominciarono a cadere, a crollare senza vita al suolo.

Le Guardie continuarono a combattere le fate rimaste, di queste, a quel punto, molte scapparono via.

Sara incrociò gli occhi scuri di Lin, lucidi e increduli come i suoi, e la speranza tornò a scorrerle nelle vene.

SHADOWHUNTERS - La Spada del ParadisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora