Capitolo 1

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Giorni passati

Koi no yokan (n.) Japanese

Alicante, 2007

Sara saltò giù dal ponticello, sul margine del canale, per ritrovarsi di fronte ai gradini della sua casa di città. Si trovava ad Alicante soltanto da quella mattina, ma le sembrava che fosse passata già un'eternità di tempo da quando lei e gli altri bambini erano scappati dall'Istituto di Roma sotto attacco.

Da allora aveva continuato a camminare su è giù per quel vicolo, girando intorno ai lampioni, che si sarebbero accesi di lì a poco, e attraversando gli stessi due ponti centinaia di volte. Le era stato detto di non allontanarsi troppo da casa, inoltre, voleva essere nelle vicinanze nel caso in cui sua madre e suo padre fossero arrivati.

Era spaventata a morte. Non aveva più avuto notizie da Roma e mai aveva visto qualcosa di più orribile degli Ottenebrati. Li aveva solo intravisti, in realtà, dai piani superiori, prima che i ragazzi più grandi portassero tutti nel garage, tramite i corridoi più nascosti e tortuosi, dove il sommo stregone di Roma li aveva raggiunti e aveva aperto un portale per loro.

Uno sguardo di sfuggita era bastato a fare in modo che non se li scordasse mai più. A tormentarla era il loro aspetto comune, il fatto che fossero stati compagni Shadowhunters e i loro occhi vuoti, bui, disumani. Non c'era modo di ragionare con loro, erano in balia dell'abominevole modificazione apportata alla Coppa Mortale e al servizio di Sebastian Morgenstern. Avrebbero ucciso i loro stessi figli se lui l'avesse ordinato, senza la minima esitazione, perché erano come delle macchine.

Non li avrebbero riconosciuti, comunque.

Il petto le si gonfiò mentre girava di nuovo l'angolo. Aveva bisogno di sapere cos'era successo ai suoi genitori. Gli Ottenebrati erano tantissimi, un esercito, radunato per prendere d'assalto l'Istituto più grande del mondo. Un simbolo per la comunità degli Shadowhunters.

Non doveva cadere. Non poteva cadere.

Sara urtò qualcosa con la spalla, sovrappensiero, e per poco non cadde a terra.

Era sicura che non ci fosse nessun ostacolo in quel punto, o perlomeno non lo aveva notato in nessuno dei suoi precedenti duecentoquindici giri.

Si voltò, piuttosto infastidita e spalancò la bocca. Non aveva urtato qualcosa, ma qualcuno.

"Scusa, mi dispiace." disse, alzando le mani di fronte alla ragazza davanti a lei.

Doveva averla spinta. Non era stata attenta: sebbene la città fosse in subbuglio, quella zona era lontana dal centro e non ci era passato nessuno. Erano tutti in piazza, alla Basiliade o nella sala degli Accordi.

"Non preoccuparti." disse l'altra, fermandosi vicino a lei.

La voce della ragazza, che doveva avere più o meno la sua età, era calma e accesa a un tempo. Aveva lunghi capelli di un nero corvino e due occhi scuri, allungati, che la stavano scrutando.

"Sei arrivata da tanto? Non mi sembra di averti mai visto."

"Stamattina." rispose Sara, ricambiando lo sguardo indagatore dell'altra. "Il mio Istituto è sotto attacco."

La ragazza sembrò inorridita, si portò una mano alla bocca. "Da dove vieni?"

"Roma."

Sara si tolse dalla fronte un lungo ciuffo di capelli, che era sfuggito alla sua coda di cavallo, rendendosi conto che si sentiva più leggera. Restare raggomitolata in sé stessa tutto il giorno, in preda alla paura, senza poter parlare con nessuno, non le aveva fatto bene.

"Tu?" chiese allora, perché non voleva che l'altra se ne andasse.

"Io vengo dall'Istituto di Shanghai, i miei zii mi hanno mandata qui in via preventiva qualche giorno fa, vedendo cosa stava succedendo in giro."

Sara annuì, era comprensibile.

"Sono Lin Kyoko Wen Yu."

"È un nome bello lungo. Io sono Sara Santangelo."

Si strinsero la mano, in un gesto goffo, la cui formalità fece sorridere entrambe.

Appena dopo Sara sentì degli altri passi attraversare veloci la strada, si voltò e vide due donne camminare a passo svelto verso casa sua. Si mise a correre, seguita da Lin e arrivò insieme alle due ai gradini d'ingresso.

"Mamma!" esclamò, lanciandosi tra le braccia di Chiara Malatesta, che si chinò a baciarla. Sua madre aveva i capelli scompigliati e la divisa ricoperta di grosse chiazze di sangue, che stavano cominciando a rapprendersi, ma stava bene.

"Com'è andata?" chiese trepidante.

"Abbiamo vinto... Gli Ottenebrati si sono dovuti ritirare." rispose Chiara, anche se non sembrava contenta, solo stanca, e affranta. Guardò la sorella, al suo fianco, che si trovava in condizioni anche peggiori delle sue, col volto scavato, come se fosse appena uscita dall'inferno.

Ross guardava il selciato e si teneva una mano sul fianco, sembrava dolorante.

"E papà? E gli altri?" chiese ancora Sara, mentre Lin ascoltava, qualche passo dietro di lei.

"Papà sta bene, non tutti hanno avuto la stessa fortuna." rispose Chiara chinandosi su di lei.

Parlò piano, con gli occhi lucidi e mise una mano sulla spalla della figlia, scuotendo la testa.

Sara capì che ne avrebbero parlato più tardi, ma almeno ora sapeva che i suoi genitori erano sani e salvi.

Sentì un verso gutturale e vide sua zia cadere sui gradini. La donna continuava a tenersi una mano sul fianco, tanto schiacciata in profondità che sembrava potesse trapassarselo.

Si piegò in due e lanciò un grido sordo, gutturale, che si levò e rimbombò tra le case del vicolo.

Chiara si abbassò verso di lei, prendendola per le spalle, cercando di abbracciarla, come se non sapesse come fare, come se fosse fumo o una serie di cocci aguzzi di bottiglia.

"Rossella, Ross..." sussurrò al suo orecchio.

Sara guardò sua zia tra i singhiozzi e le lacrime e fece qualche passo indietro, rispettando in silenzio il dolore che provava.

Sentì una mano sulla sua schiena, che bloccò la sua marcia all'indietro, impedendole di finire in acqua. Guardò Lin, che era stata lì tutto il tempo. Il che, stranamente, non le dava fastidio.

Ross ansimava, incurvata in avanti, con la testa sulla spalla di sua sorella. Era un lamento atroce come Sara non ne aveva mai visti. Le salirono le lacrime agli occhi e abbassò lo sguardo.

Lin le fece scorrere le dita lungo l'avambraccio e le prese la mano, stringendola forte.

Non la conosceva, eppure la stava consolando.

"È ferita?" chiese piano. "Cos'ha lì sul fianco?"

Sara scosse la testa, tirando su col naso e strinse più forte la mano di Lin, sentendola salda e reale contro la propria, mentre il mondo intorno sembrava surreale nella sua crudeltà.

"È la sua runa parabatai."

SHADOWHUNTERS - La Spada del ParadisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora