Capitolo diciassette

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“Informiamo i gentili viaggiatori che a causa di una violenta tempesta di neve, i voli da e per l'Italia sono sospesi a tempo indeterminato”

La voce dello speaker risuona nella sala d'attesa dell'aeroporto di Londra. Abbandono la mia valigia a terra e mi guardo intorno spaesata. Un centinaio di persona accanto a me lanciano imprecazioni colorite, in un italiano perfetto. Come ci torno a casa adesso?

Mi dirigo in fretta verso l'assistenza clienti e cerco informazioni, ma io, come molti altri prima di me, ricevo solo uno stupido “non possiamo fare niente, c'è una bufera all'altezza delle Alpi, i voli non partono” come risposta.

“Oh andiamo, devo tornare in Italia!” borbotto.

“Mi dispiace, ma non è colpa nostra, speriamo che domani si possa viaggiare!” mi avverte un signore sulla cinquantina, stretto in un completo gessato e dei segni di stanchezza evidenti sul viso.

Sbuffo, c'è chi si lamenta perchè non sa dove passare la notte, chi chiama casa per avvertire dell'imprevisto e c'è chi, come me, con la sciarpa avvolta fin sotto il naso e la valigia alla mano si accinge ad uscire. Seguo la piccola folla all'esterno e mi fermo qualche secondo per avvertire i miei.

Rispondono dopo qualche squillo, mi dicono di aver già sentito tutto in televisione, sono dispiaciuti ed io con loro.
Dopo tutto il casino successo ho bisogno di un po' di relax e invece mi ritrovo con più guai di prima.

“Fai attenzione tesoro!” dice dolcemente mia madre al telefono.

“Si mamma, stai tranquilla, ti chiamo domani!” dico forzandomi di non lasciar trapelare la mia tristezza.

Mi avvio verso la stazione dei taxi e mi lascio l'aeroporto alle spalle. Mezz'ora fa ho salutato Luke, proprio qui, dove sto camminando ora, a quest'ora saranno già partiti per l'Australia, così non provo nemmeno a chiamarlo.

“Taxi!” urlo sporgendo la mano in fuori per fermarlo. Deposito la valigia nel bagagliaio e recito l'indirizzo di casa, l'autista annuisce e partiamo.

Mi guardo intorno mentre attraversiamo tanti piccoli quartieri, mi fermo a guardare i bambini nascosti dietro strati di vestiti, cappotti e sciarpe, rincorrersi nel parco.

Fa freddo ma questo non sembra impedirgli di divertirsi. Mi lascio sfuggire un sorriso dolce mentre un bambino, di quattro anni forse... massimo cinque, aiuta una sua coetanea a rialzarsi dopo una brutta caduta.
E' così bello il mondo quando si è piccoli, tutti sono gentili, tutto sembra grande e bello, invece poi si diventa grandi, il lavoro opprime quel che sei, le responsabilità ti circondano e non riesci più ad entusiasmarti per niente.

Eppure a me non va, forse l'ho imparato da Louis questo. Sorrido. Essere bambini ma non troppo. Non dimenticarsi di quelle gioie, di quella fantasia, di quell'innocenza, questo è il modo giusto di vivere la vita.

Parlando di Louis, provo a chiamarlo per avvertirlo di essere a Londra, non risponde così chiamo Jess. Penso proprio che siano insieme.

“Sere, sei già arrivata?” dice con uno strano tono di voce.

“No, in realtà non sono partita, c'è una bufera e i voli per l'Italia sono tutti cancellati!” dico tutto d'un fiato prima di sbuffare.

“Ah, e ora dove vai?” dice prima di mascherare una risata con un colpo di tosse.

“Sei con Louis?” chiedo evitando la sua domanda.

“E-ehm, si? Siamo a casa nostra, in realtà ci staremo per cinque sei giorni, poi lui deve tornare a Doncaster!” dice mandando in frantumi la mia opportunità di passare del tempo a casa mia.

The Maid | Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora