Capitolo diciannove

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L'amore è la più nobile debolezza dello spirito. 
John Dryden

Scendo le scale lentamente cercando di fare meno rumore possibile, sono stato in camera tutta la sera senza uscire, a riflettere sulla situazione, non sono sceso nemmeno a mangiare, per fortuna Greg mi ha portato un pezzo di torta salata che Denise ha amorevolmente preparato, sapendo perfettamente quanto mi piaccia.

Mi sento in colpa, non ho visto nemmeno Theo e soprattutto ho lasciato lei da sola, con la mia famiglia, senza pensare al suo disagio.

Invece di migliorare e fare passi avanti, torno indietro come un gambero.

Mi sento quasi un ladro mentre apro lo sportello del frigorifero per mangiare qualcosa in quella cucina troppo grande per i miei gusti.

La stanza è illuminata leggermente dalla luce della luna che filtra dalla porta finestra che si affaccia sul giardino nel retro e dalla lampadina sul forno a gas, che mi permette di muovermi liberamente senza cadere a terra.

Mi siedo attorno al tavolo dando le spalle all'ingresso in cucina e mangio silenziosamente quello che ho frettolosamente preparato, tiro fuori il cellulare dalla tasca e dopo averci rimuginato sopra, decido di scriverle un messaggio.

Da: Niall

A: Serena

«Ehi, sei sveglia?»

Invio dandomi dello stupido, è al piano di sopra, potrei provare ad entrare di nascosto, non credo si sia chiusa dentro, eppure sono troppo codardo per farlo.

Rimango fermo in attesa per minuti che mi appaiono secoli, nessuna risposta, forse dorme, in fondo sono le tre di notte qualsiasi persona sana di mente a quest'ora dorme.

Ripulisco il tavolo dalle briciole del pane e dopo aver spento la luce, torno al piano di sopra.

Mi fermo davanti alla porta della sua stanza, è marrone chiaro, come tutte le altre in questa casa e non so perchè mi mette angoscia, ho sempre odiato troppi colori chiari insieme, il bianco delle pareti, il colore delle porte, le cornici. Denise e Greg devono amare questo tipo di arredamento, ma io proprio non riesco ad apprezzarlo, è più forte di me.

Poggio la mano indeciso sulla maniglia della porta per poi tirarmi indietro e camminare verso la mia stanza, mi butto a peso morto tra le lenzuola che profumano ancora di lavanda e affondo il viso nel cuscino, soffoco un urlo di disperazione e dopo essermi girato una decina di volte, riesco finalmente a trovare la posizione giusta per cercare di riposare.

Prendo il telefono tra le mani e continuo a controllare e sperare nell'arrivo di un nuovo messaggio, schiaccio più volte il tasto home del mio I-phone, sperando di veder comparire il suo nome sul display ma l'effetto che ottengo è solo quello di ritrovarmi a chiudere lentamente le palpebre non distinguendo più i colori sullo schermo.

Quando apro gli occhi un odore intenso di caffè e delle risate mi scombussolano i sensi, mi stropiccio lentamente con il palmo della mano le palpebre e mi costringo a svegliarmi completamente. Ancora una risata e poi la voce di mia madre che incombe sulle altre, ma che ore sono?

Mi volto a cercare il cellulare ma sul comodino non ne trovo traccia, così mi scopro e lo trovo indisturbato in fondo al letto.

Il display digita le 11.54 am e una notifica mi fa quasi gelare il sangue, scendo dal letto e al contatto dei miei piedi nudi con il pavimento freddo rabbrividisco, in questo periodo l'Irlanda è veramente fredda.

The Maid | Niall HoranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora