Serghei

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Arrivò verso l'ora di pranzo accompagnato da una giornata fin troppo calda per essere autunno già da un mese. Tanto ci era voluto per regolarizzare la pratica e dare il via al progetto di affido.

 Con la cura che non riservavo ai miei pasti, avevo apparecchiato la tavola con un'allegra tovaglia a quadretti bianchi e rossi. Per pranzo avevo preparato una pastasciutta al ragù di carne. Non sono una brava cuoca ma il ragù alla bolognese mi riesce sempre piuttosto bene. Con gli spaghetti al ragù di carne non si sbaglia mai.

 Non conoscevo i suoi gusti, neanche il suo volto. Sapevo solo che si chiamava Serghei, che aveva quattordici anni e che era già fuggito due volte dalle precedenti famiglie affidatarie. Serghei proprio non voleva saperne di regole, imposizioni e ogni altra forma di costrizione. 

Un piccolo ribelle.

" Serghei ha bisogno di essere, come dire... contenuto". 

 Così si era espressa la dottoressa Donadel in quel nostro primo incontro avvenuto a Pieve di Soligo. Quella giornata, dalle dinamiche quasi rocambolesche, aveva portato l'equipe del Centro per l'Affido alla decisione di assegnarmi il ragazzo per quattro pomeriggi la settimana.

La consapevolezza di un compito non facile si era materializzata il giorno in cui, al mio indirizzo di posta elettronica, una e-mail inviata dall'ufficio dell'assistente sociale, dottoressa Adele De Nardi, mi comunicava, in via ufficiale, che il progetto di affido sarebbe iniziato lunedì 22 ottobre 2012 con  modalità e orari prestabiliti il giorno dell'avvenuto colloquio. 

 Avevo atteso quel nostro primo incontro con trepidante emozione.

Un ragazzino dalla struttura esile, con la carnagione chiara e occhi verdi come le acque di un lago di montagna, si presentò alla mia porta in quell'assolato lunedì di ottobre seguito da un uomo non molto alto, dalla corporatura tarchiata e una massa di capelli ricci e biondi, che gli cadevano da tutte le parti, nascondendo gli occhi.

– Piacere di conoscerla, sono Mario, il papà di Serghei. Mi scuso, ma devo scappare al lavoro. Ci vediamo questa sera quando torno a prenderlo. 

Un passo ed era già fuori dalla porta da cui era appena entrato.

Il sorriso di circostanza che avevo sulle labbra, si smorzò per la delusione. Rimasi un po' male per il comportamento di Mario, mi sarei aspettata almeno una stretta di mano, un minimo di interesse per quella nuova esperienza che stavamo tutti, lui compreso, affrontando. 

Serghei, dal canto suo, non sembrò troppo sorpreso da quell'atteggiamento a cui, probabilmente, era abituato. Tra i due non ci fu nemmeno un saluto, niente che potesse farmi  pensare a un rapporto sereno tra padre e figlio. Mario si eclissò senza tanti preamboli.

– Lieta di conoscerti, Serghei. Sono Ornella. Accomodati pure, sarai di certo affamato.

La sua mano dentro la mia mi parve quella di un bambino.

Un poco intimorito, con l'espressione smarrita di uno scolaro al suo primo giorno di scuola, si avviò verso il tavolo della cucina senza proferire parola. In pochi attimi il piatto di pastasciutta era stato completamente spazzolato con grande voracità.

– Da come l'hai divorata deduco ti sia piaciuta parecchio, meno male! Sai, non conoscendo i tuoi gusti sono andata su un piatto classico, a cui pochi resistono...

– Infatti sì, era buonissima. Ne hai ancora? 

Finalmente sentivo la sua voce, nessuna flessione dialettale, nessuna incertezza dovuta all'emozione. Aveva assunto, nel giro di pochi minuti, un comportamento distaccato, quasi di diffidenza verso una persona sconosciuta.

Il bambino venuto dal freddo #wattys2021Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora