Primo incontro con le famiglie

345 33 37
                                    


Nei giorni che seguirono, Serghei appariva cambiato. Il suo comportamento nei miei confronti era diligente ed educato, sempre garbato e disponibile. I cambiamenti d'umore non lo avevano abbandonato del tutto ma, nel complesso, avevo la percezione che stesse per raggiungere una pacata stabilità emotiva. In cuor mio lasciavo le illusioni ancora sospese, in attesa che si materializzasse la consapevolezza di una sua completa persuasione introspettiva. 

Al contempo, si rafforzava, giorno dopo giorno, la convinzione che Serghei avesse un immenso bisogno di affetto: quella voragine nel suo cuore andava colmata con attenzioni e amore. Cioè con tutto quello di cui la vita lo aveva ingiustamente privato. Non chiedeva altro e lo faceva nel più semplice dei modi: cercava di non farmi arrabbiare. Cercava di arrivare sempre puntuale, cercava il mio consenso, il mio affetto. Glielo leggevo dentro a quello sguardo profondo, verde come un lago di montagna. Il tumulto del suo animo fragile potevo solo immaginarlo, sfiorarlo con il pensiero. Con gli amici si atteggiava a piccolo boss, le sue ribellioni, quel suo scappare o nascondersi non erano altro che segnali che inviava. Bastava solo raccoglierli. Bastava comprenderlo. Bastava amarlo.

Il giorno stabilito per quel primo incontro con le altre famiglie affidatarie, era sempre più vicino. Avevo continuato ad annotare nel piccolo quaderno i cambiamenti e i progressi di Serghei; la sua disponibilità al dialogo e, cosa molto importante, quell'esigenza di aprirsi a un'altra persona non strettamente legata al suo vissuto, alla sua cerchia familiare e alle sue amicizie. Forse ero riuscita a conquistare la sua fiducia ma anche la sua stima e il suo affetto erano i miei più ambiziosi  e predominanti obiettivi. Ero fiduciosa.

Mi presentai alla prima riunione nell'umidezza tipica di una serata novembrina. L'incontro era stato fissato alle ore venti presso il Centro Affido di Pieve di Soligo.

Appena varcato l'ingresso dell'edificio, un signore, dai modi educati, mi indicò la stanza dove si stava tenendo la riunione e dove ero attesa. Entrai. Emozione, ansia e curiosità letteralmente mi investirono.

– Buonasera, scusate il ritardo...

Una fila di occhi attenti e variopinti seguirono il mio breve percorso verso le ultime sedie rimaste ancora vuote. Facce nuove. Sorrisi sconosciuti.

– Buona sera Ornella. Prenda posto dove vuole.

La dottoressa De Nardi sedeva a capo di un enorme tavolo in legno chiaro. La fila di sguardi tornò a fissare la figura massiccia dell'assistente sociale. Quella stanza aveva tutta l'aria di essere una sala per conferenze o riunioni aziendali. Mi sedetti in una poltroncina blu, uguale a tutte quelle sistemate attorno al grande tavolo. Tolsi sciarpa e giubbotto. Percepivo il calore del volto, sentivo i miei battiti accelerati. Presi dalla borsa il quadernino con gli appunti e la penna. Dopo un profondo sospiro sentii la leggera tensione dei primi momenti allentarsi. Con ritrovata calma mi concentrai sulle parole dell'assistente sociale.

– Questa sera non siamo al completo, manca una coppia di Mareno, mi hanno appena avvisata che arriveranno in ritardo causa un imprevisto, ad ogni modo credo possiamo iniziare. Bene, facciamo il giro di presentazioni per gli assenti dei precedenti incontri; questa infatti è la terza riunione dell'anno ma per qualcuno è il primo incontro, quindi direi di fare un giro per conoscervi. Iniziamo dalla mia destra. Prego, nome cognome, provenienza e nome dell'affidato.

La prima coppia si guardò.

– Parlo io? - Chiese la donna rivolta all'uomo che le stava accanto.

– Sei tu la chiacchierona di casa...

Un brusio di risatine soffocate stemperò l'atmosfera, fino a quel momento piuttosto formale.

– Allora comincio io, buonasera a tutti, mi chiamo Antonella Casagrande e lui è mio marito Fabio – Almeno il nome potevi lasciarlo dire a me! – Scusami, posso continuare?

Il bambino venuto dal freddo #wattys2021Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora