L'essenza della felicità

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Una pioggerellina autunnale si era pigramente adagiata sull'erba del giardino che circondava la villetta rosa. Serghei osservava allo specchio il suo volto. Niente, nemmeno l'ombra di un pelo era spuntata sulla pelle liscia come la seta. Il suo viso somigliava ancora molto a quello del bambino ritratto nella fotografia posta sulla mensola del mobile. Era stato suo padre, dopo la morte della moglie, a mettere quella foto con la cornice in cristallo nel piccolo ingresso di casa.

 La prima cosa che si poteva notare, appena varcata la soglia della graziosa abitazione, era quell'immagine che il tempo aveva leggermente sbiadito. Una bella ragazza, con lunghi capelli dai riflessi dorati, sorrideva e in quel sorriso c'era la felicità fatta persona. Al suo fianco, un giovane uomo, con  capelli ricci e biondi, teneva in braccio un bambino dalla carnagione chiara e grandi occhi verdi. Mamma Claudia e papà Mario, erano sorridenti nel giorno del battesimo di Serghei avvenuto nella splendida Abbazia di Follina. Lo scatto del fotografo aveva immortalato l'essenza della felicità di una giovane coppia, innamorata della vita e al culmine del loro percorso terreno.

 Non poteva impedire al suo cuore di stringersi ogniqualvolta, (e cioè molte volte al giorno), osservava quella fotografia. Claudia era semplicemente radiosa. Quanto gli mancava! Serghei non aveva ricordi tangibili della madre perché troppo piccolo quando venne a mancare, ma la sua presenza, attraverso foto e oggetti disseminati per tutta la casa, era palpabile. Mario non aveva spostato nulla  da quando la sua compagna lo aveva lasciato solo, con un bambino piccolo da allevare. 

Tirò su il cappuccio della felpa e uscì sbattendo la porta. Perché era successo? Perché proprio a lui? Quella sera aveva voglia di scaricare tutta la sua frustrazione. L' infelicità che si portava dietro da dieci anni gli sembrava insopportabile da gestire e sostenere. Un dolore che doveva in qualche modo anestetizzare. Poche centinaia di metri separavano la villetta dalla piazza del paese. Serghei si incamminò a testa bassa, nessuno poteva vederlo ma, sotto a quel cappuccio calato sugli occhi, grosse e copiose lacrime scendevano mescolandosi alle gocce di pioggia. Con la manica della felpa tolse quella prova d'amore verso la donna che lo aveva, certamente non per sua volontà, abbandonato. La pioggia si sarebbe alleata con la sua fragilità di adolescente, lo avrebbe aiutato a non mostrare le proprie emozioni ai suoi amici che mai lo avevano visto piangere.

– Ciao Sega, ciao Ciccio... Tommy?

– Ciao Boccia, Tommaso arriva più tardi, se la prende sempre comoda, lui...

– Raga che si fa questa sera? Avete organizzato qualche cosa?

Seduti sul bordo della fontana, al centro della piazza principale del paesotto di provincia, i ragazzi osservavano annoiati le poche persone che frettolosamente si spostavano da un punto all'altro dello spiazzo. Le sigarette, fumate senza troppa convinzione, non smentivano la giovane età del gruppetto. Aveva smesso di piovere, la piazza sprofondò velocemente nel buio e nell'umidità ovattata di un venerdì pomeriggio dal sapore autunnale.

– Sentite, io mi sto rompendo, in questo caspita di paese non succede mai niente; andiamo ai giardinetti, prima che la noia ci uccida. 

Serghei era considerato il "capo", in molti sapevano che gli bastava poco per andare in escandescenza. Nessuno non aveva mai visto il suo viso rigato dalle lacrime. Le sigarette che fumava e l'aria spavalda che ostentava erano coperture per celare la solitudine e la tristezza che gli devastava l'animo.

Ciccio tirò su i pantaloni e iniziò ad attraversare la strada. Serghei e Stefano,  detto "Sega", seguirono l'amico. Tutti e tre nascosti dai cappucci delle felpe si diressero verso i giardini pubblici, il luogo eletto a  "quartiere generale". Su quelle panchine arrugginite avevano progettato molte delle loro scorribande. "Ragazzate" come le aveva definite Mario quando il preside lo informò che Serghei aveva fumato nei bagni della scuola. E, sempre secondo il signor Boccia,  anche il fatto che suo figlio si fosse presentato in classe con un coltellino serramanico, rientrava nella "categoria" ragazzate. A volte però, certi segnali, non andrebbero sottovalutati. Accettare ogni "ragazzata", peggio ancora, ignorarla, non è un modo per difendere i figli da azioni e comportamenti che non sono altro che i primi campanelli d'allarme del disagio psicologico.

Il bambino venuto dal freddo #wattys2021Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora