Capitolo 13: In viaggio, o meglio, in marcia

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Squadra che vince non si cambia, quindi anche questo capitolo è stato scritto in collaborazione con Aurora Torrisi 😎

Il mattino successivo i due giovani si destarono abbastanza presto. Il sole non si era ancora alzato nel cielo e all'orizzonte solo una linea arancione nel mare grigio che era il cielo lasciava capire che presto l'alba avrebbe di nuovo illuminato il mondo.

  Judittha non parlava, di nuovo. Gli incubi erano tornati a farle visita quella notte, portando con sé le memorie più tristi che ella possedeva, a partire dalla morte di Manasse e di Aurora, fino ad arrivare alla perdita del piccolo Julian.

  Neppure le braccia di Jona avevano sortito il loro effetto. Ma era anche vero che lei aveva fatto di tutto per nascondere al veneziano il proprio dolore.

  Preparò le cose con cura maniacale. Prese le vivande, i vestiti, e racchiuse tutto nelle bisacce che sarebbero poi state portate a spalla dai due. Evitò di svegliare il ragazzo che si era riaddormentato tra le coperte mentre prendeva i vestiti, ma non poté fare a meno di guardarlo a lungo, osservando quel corpo che lei amava tanto. Si riprese in pochi istanti, dandosi della stupida per la sua debolezza.

  Alla fine, era sempre Judittha.

  Jona si risvegliò dopo il canto di un gallo, talmente preoccupato di essere in ritardo per non si sa quale appuntamento che, nella fretta di scendere dal letto, inciampò tra le lenzuola e cadde.

  Il rumore provocato dall'urto contro il pavimento fece accorrere la donna che, inizialmente preoccupata, ispezionò il corpo di Jona alla ricerca di ferite, ma una volta accertatasi della loro assenza, si limitò a dargli un colpetto in testa, dicendo: «Stai attento a dove metti i piedi, idiota!» ma con il sorriso sulle labbra.

Finalmente, dopo un'ora di preparativi e lamentele di Jona per il dolore riportato a seguito dell' incidente (come ormai soleva chiamarlo) che si erano interrotte solo a seguito della minaccia di Judittha di buttarlo lei la prossima volta giù dal letto, i due varcarono la porta di ingresso, lasciandosi per sempre quella piccola abitazione alle spalle.

  Nessuno dei due si voltò a guardarla, e quella rimase lì, la facciata appena illuminata dal sole, aspettando il ritorno di quella coppia che per prima l'aveva abitata. Ma questa era un'altra storia.

I due amanti, o compagni, o viandanti, iniziarono il loro cammino a testa bassa, mentre i raggi solari li colpivano alla schiena.

  La direzione da prendere era decisamente verso occidente. Nonostante nessuno dei due fosse molto colto in geografia, entrambi sapevano che era quella la direzione da seguire.

  Senza più un mezzo di trasporto, i due dovettero fare conto solo sulle proprie gambe e sulle proprie forze.

  Ma, nonostante i due fossero piuttosto forti e in salute, un viaggio del genere avrebbe sfiancato chiunque lo avesse intrapreso, non solo per la lunghezza delle marce, che iniziavano all'alba e si concludevano spesso quando la luna era già alta, ma anche per le asperità del terreno e per le creature che si rischiava di incontrare.

Più volte, difatti, i due furono costretti a cambiare strada, allungare il sentiero, pur di non imbattersi in macchie di alberi tra cui si poteva nascondere qualsiasi cosa.

  Per Judittha il ''qualsiasi cosa'' corrispondeva a tigri e leoni.

  Per Jona comprendeva anche i fantasmi delle leggende che si raccontavano nelle taverne.

«Avanzava verso di me con fare minaccioso...» stava raccontando un viandante in una locanda de Il Cairo, una sera. «È stato terribile!» concluse l'uomo, lo sguardo perso nel vuoto, in ricordo della sua recente disavventura.

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