Capitolo 7: Benvenuti a Creta!

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Jona remava al largo del Mediterraneo, sotto lo sguardo vigile della ragazza siciliana salvata dalle grinfie dei tre perfidi uomini. La ragazza dagli occhi verdi non diceva una parola, si limitava a scrutarlo in silenzio. Ogni qualvolta Jona apriva bocca per parlare la richiudeva subito, fulminato dal suo sguardo assassino.  

  «Quando vi deciderete a dire una parola?» le domandò Jona, cogliendo al volo l'occasione quando lo sguardo della ragazza si spostò sul limpido azzurro del mare.

  Senza neanche volgersi a Jona, la siciliana rispose: «Mai» e tacque di nuovo.

  «Vorrei sapere chi trasporto nella mia barca» le sottolineò Jona.

  «E avete il coraggio di chiamarla "barca"?!» rispose per le rime la siciliana.

  «Beh non vi faceva molto schifo quando scappavate da quegli uomini...» disse Jona, toccato nel profondo del suo spirito.

  Per un attimo la ragazza sussultò, forse riportando alla mente le sue vicende. Jona provò un attimo di pena e non poté fare a meno di scusarsi.

  «Avete ragione, giovane» ammise la siciliana con un sospiro. «Ma meno sapete e meglio è per voi.»

  «Rischio comunque a trasportare una fuggitiva. Se proprio devo morire, voglio sapere per cosa mi stanno uccidendo...»

  «Ebbene, state trasportando un'assassina, giovane.»

  Alle parole della ragazza, Jona smise di remare, stupito, scioccato. Per un attimo la gondola fu trascinata dalle onde, per poi fermarsi del tutto in pieno Mar Mediterraneo.

  «Chi... chi avete ucciso?» chiese, balbettando, Jona.

  «Mio marito» fu la laconica risposta della siciliana.

  Senza accorgersene, Jona si ritrovò in ginocchio nel legno della sua Mowgli, a balbettare timide scuse alla ragazza. «M-mi dispiace se vi ho procurato offesa! Vi prego di perdonarmi! Vi condurrò ovunque vorrete, mia signora!»

  La siciliana lo guardò per un attimo con il suo perfezionato sguardo assassino. Tra poco questo se la fa sotto! pensò. Poi scoppiò a ridere, ridere come non aveva mai fatto in vita sua, senza contegno, senza riuscire a fermarsi, lasciando scivolare insieme alle lacrime procurate dal riso tutte le preoccupazioni e lo stress dell'ultimo mese.

  Jona la fissò con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, ma aspettò per tirare un sospiro di sollievo.

  «Molti mi chiameranno "assassina", ma per il mio popolo sarò un'eroina» disse la ragazza con tono fiero e alzando il mento. «Mio "marito" era uno spregevole misogino arabo che un anno fa ha conquistato la Sicilia, riducendola allo sbaraglio. Il suo esercito era terribile: uccideva i giovani, stuprava le ragazze e truffava i padri. Nessun rispetto, solo disonore e violenza. Qualcuno doveva porre fine a quello scempio. Così preparai un piano con la mia serva Aurora...» Nel pronunciare il nome della sua serva, le si strozzò la voce in gola e gli occhi le si riempirono di lacrime. Si fece forza, ingollò e continuò il suo racconto. «Sposai quel maiale e lo feci avvinazzare più di quanto fosse possibile per un qualsiasi essere umano. Arrivati in tenda... feci quello che dovevo fare. I suoi scagnozzi, i tre uomini che mi inseguivano, ora mi danno la caccia per vendicare il loro sovrano. Questo è tutto.»

  In Jona alla paura successe dapprima lo stupore, infine l'orgoglio per quell'atto coraggioso della ragazza, pronta a rischiare la vita per il bene del suo popolo.

  «Milady, sono davvero onorato di potervi scortare con me nella mia... imbarcazione» disse, inginocchiandosi.

  Che giovane bizzarro! pensò la ragazza, alzando gli occhi al cielo.  

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