Capitolo 15: Nel covo dei giganti

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In groppa al loro fiero cammello, Jona e Judittha superarono indenni il deserto del Sahara. L'animale, da loro soprannominato Poldo, era una fonte inesauribile di acqua e di latte e, una volta giunti di fronte all'immensa catena montuosa che si snoda tra il Marocco, l'Algeria e la Tunisia, anche di carne. Infatti, di fronte a quella distesa di rocce, scesero dal cammello e, se pur a malincuore, lo uccisero per cibarsi della sua carne e per coprirsi con la sua pelliccia. Superati i problemi del freddo e del cibo, rimaneva quello dello scalare le montagne. Inizialmente, decisero di seguire il sentiero tracciato sulla pietra, ma esso si concludeva in cima alla prima montagna. Al di sotto dei due giovani innamorati, si diradava un'enorme foresta di alberi così fitti, che non si riusciva a vederne il cielo da là sotto.

«Sono gli alberi più grandi che abbia mai visto!» esclamò Judittha, colpita.

Neanche Jona aveva mai visto una vegetazione del genere. Per questo, fu con timore che seguì la sua compagna, inoltrandosi nella foresta.

Più proseguivano, più il buio si faceva intenso e aumentavano i sussurri inquietanti. Gli occhi timorosi di Jona si muovevano freneticamente, cercando di scoprire da dove provenissero quei suoni. Sembrava come un rantolo che cresceva di passo in passo, come se fosse il respiro della foresta.

Intento a guardarsi intorno, il gondoliere non si accorse dell'enorme buca al di sotto dei suoi piedi e ci cadde a peso morto. Judittha, che sembrava avere occhi ovunque, riuscì a evitarla e aiutò il compagno a rialzarsi.

«Guarda dove metti i piedi, stupido!» lo rimbeccò, divertita. «Una fossa così grossa è difficile da non vedere!»

Già, è proprio difficile da non vedere... pensò Jona, scrutando meglio la buca di circa cinque metri. Che cos'è? Sembra quasi... Poi capì e gli si sgranarono gli occhi dalla paura.

«Judittha... non è una semplice fossa» disse, tentennando. «È l'orma di un piede!»

Judittha alzò gli occhi al cielo, convinta fosse uno dei soliti abbagli del compagno. Tuttavia osservò meglio la buca a sua volta e, con grande orrore, non poté fare a meno di dar ragione a Jona.

«Oh, mio dio!» esclamò, portandosi una mano alla bocca, agghiacciata. «La cosa che ha lasciato quest'impronta deve essere alta dieci metri!»

Poi, sentirono di nuovo quel sussurro e capirono di cosa si trattava.

«È un lamento di dolore!» esclamarono in coro.

«E se torturassero gli uomini...?» si chiese Judittha, ad alta voce.

«Se così fosse, dobbiamo salvare quell'uomo!» disse Jona sicuro, riaccendendo il coraggio da supereroe che era dentro di lui. «Tu resta qui, io vado a vedere che succede...» ordinò, infine, a Judittha, mettendole una mano sulla spalla.

«Sei più cretino di quanto pensassi, se credi che io rimanga qui» osservò la giovane siciliana, con la sua solita lingua biforcuta.

Jona la osservò e capì dalla risolutezza del suo sguardo che non l'avrebbe mai convinta. Così, aprendosi un varco tra la vegetazione, il gondoliere fece strada di fronte alla sua compagna.

Man mano che si avvicinavano, il lamento si intensificava, fino a diventare un vero e proprio grido. Persino quelle orme giganti sembravano portare nella direzione della voce.

«Quella cosa sarà ormai arrivata all'uomo!» urlò Judittha, correndo più veloce.

Gli alberi pian piano divennero più radi, fino a concludersi del tutto in un piccolo spiazzo. E qui capirono che a urlare non era un uomo, ma un gigante.

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