Capitolo 10: Una pesca molto triste

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L'imbarcazione si muoveva lentamente, trascinata da un mare calmo e senza onde. Jona sorrideva e sentiva dentro di sé una sincera euforia espandersi dal petto. Finalmente ce l'aveva fatta! Stava per realizzare il suo sogno! Le luci della metropoli si facevano sempre più nitide e brillavano come tante lucine in un albero di Natale. La Libertà stava sempre immobile sul suo piedistallo, illuminata da alcuni potentissimi fari posti alla base. Tuttavia sembrava correre incontro a Jona. Il giovane gondoliere poteva quasi vedere brillare la sua torcia infuocata, stava per vedere il volto della Libertà... quando le trombe della Corte di Minosse lo destarono dal suo sogno.

Con la mano ancora tesa ad afferrare la Libertà, Jona aprì gli occhi, lasciando lentamente cadere il braccio di fianco al corpo. Judittha dormiva serenamente con la testa poggiata sul suo petto, infondendo a Jona quel calore che nel sogno pensava fosse euforia. Un piccolo calcio sullo stomaco tramortì il giovane gondoliere che, dopo il sobbalzo iniziale, sorrise teneramente.

Il mio piccolo Julian si è svegliato pensò tra sé e sé, accarezzando il pancione di Judittha, svegliata anche lei dal colpo del bimbo.

«Buongiorno, paparino» lo baciò la siciliana, accarezzandogli il viso con una mano e scompigliandogli i capelli con l'altra.

«Julian sembra già in forze» fece notare Jona, ammiccando alla compagna. «Ha già la forza di un By!»

«Ma che dici?!» ribatté Judittha, puntellandosi sul gomito destro. «Ha la tenacia di sua madre!»

«Suvvia, giovani innamorati, non litigate!» disse Minosse, spalancando la porta della loro stanza.

Judittha tirò verso di sé le coperte, per coprirsi dagli occhi maliziosi del sovrano, alzando gli occhi al cielo.

«Jona, sei ancora a letto?!» borbottò il Re, accigliandosi. «Oggi avevi promesso che mi avresti portato a pescare o te lo sei dimenticato?»

«Oh, certo, mio Signore» rispose Jona, alzandosi dal letto. In realtà si era completamente dimenticato dell'impegno preso col sovrano. «Lasciatemi solo pochi minuti per prepararmi.»

«Cinque minuti, non di più» ammiccò Minosse, avvicinandosi alla porta. «Ah!» esclamò il sovrano, tornando indietro. «La colazione per te è pronta, Judittha. Se ti va, magari potresti fare compere con mia figlia, mentre il tuo uomo è a pesca...»

«Sarei... proprio onorata» rispose timidamente Judittha. Lei odiava lo shopping!

Quando il sovrano fu uscito, Judittha crollò di nuovo sul letto e Jona andò di corsa a vestirsi.

«Stanotte ho sognato di nuovo la Libertà...» buttò lì Jona, mentre si infilava la maglietta. Judittha, di colpo sveglissima, si rizzò a sedere. «Era da mesi che non La sognavo e, adesso, in due settimane è il secondo sogno che faccio...»

Judittha era leggermente preoccupata. Sapeva che a Jona la vita di Corte prima o poi sarebbe stancata e che non avrebbe facilmente rinunciato al suo sogno, ma l'arrivo imminente del loro primo figlio e la nomina a Primo Cavaliere del Re... l'aveva illusa che sarebbero rimasti a Creta ancora per un bel po'. Intendiamoci, non che Judittha fosse proprio entusiasta degli ultimi nove mesi! Il Re era sempre a caccia o a pesca o in viaggio e si trascinava sempre Jona con lui. E lei rimaneva sempre chiusa nel Palazzo o, nel "migliore" dei casi, usciva a fare acquisti con la figlia di Minosse, Fedra, e le sue tre migliori amiche, delle ragazzine sguaiate che navigavano nel lusso, grazie al denaro portato a casa dai loro padri, tutti cavalieri del Re. L'unico cavaliere che Judittha non odiava era l'eunuco Alexandros, giovane divertente e maldestro, ma anche un ottimo amico e confidente. Lui fu il primo ad accorgersi che Judittha avesse quello sguardo da mamma tipico delle donne incinte. Minosse la trattava come una regina. Non le faceva mancare mai nulla e le aveva offerto le chiavi della cucina, per placare le sue voglie notturne e non.

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