Epilogo

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Erano trascorsi cinquant'anni da quel tragico giorno sulla spiaggia di Venice. Cinquant'anni di gioia e amore, passati felicemente insieme da Jona e il giovane Pedro.

Il veneziano lo tenne con sé, crescendolo come fosse suo figlio, non facendogli mancare mai nulla, severo al punto giusto, senza mai riuscire a dire di no al figlio adottivo.

Per cinquant'anni Venice era stata la casa di Jona, che mai era stato così tanto fermo in un luogo da quando aveva lasciato la sua Venezia. E tanto somigliava Venice a quest'ultima, con i suoi canali e le sue abitazioni sull'acqua che tanto ricordavano a Jona la sua città natale.

Avrebbe ringraziato fino alla fine dei suoi giorni suo zio Jiuseppe per averlo portato fin là, pagando quel viaggio con la sua stessa vita e offrendone una al nipote, che raccolse con tutto il cuore il dono del fratello di suo padre, promettendosi sempre di onorare quella vita ricevuta in dono.

Al nipote Jiuseppe aveva lasciato anche una villa, comprata precedentemente da lui, e le indicazioni per raggiungerla. Lì si rifugiarono Jona e Pedro quel pomeriggio di cinquant'anni prima, barricandosi dentro e scrutando da dietro le finestre l'arrivo della polizia. Ma nessuno venne ad arrestarli, né quel giorno né i giorni ad avvenire.

Così cominciarono a vivere insieme, come una famiglia, non abbandonando più quella casa, ringraziando entrambi Jiuseppe per quel dono prezioso.

Per cinquant'anni Jona visse in quella casa. Fino a quel giorno.

Passeggiava irrequieto per i corridoi di quella abitazione, in attesa del taxi che avrebbe dato il via al suo ultimo viaggio.

Per cinquant'anni aveva rimandato quella tappa, dicendosi che lo faceva per Pedro. Ed era vero, quel bambino, divenuto poi ragazzo e, infine, uomo, non meritava di perdere anche lui, dopo aver visto morire in giovane età prima la madre e poi il padre.

Ma c'era anche dell'altro.

Jona aveva paura. Per la prima volta in vita sua aveva paura di mettersi in viaggio. Paura dell'ignoto, non sapendo verso cosa andasse incontro. Solo adesso, alla "veneranda" età di ottantuno anni, aveva trovato il coraggio di compiere il suo destino.

Ormai Pedro era un uomo, aveva una moglie che lo amava con tutta se stessa e una splendida figlia adolescente. Avrebbe sofferto la partenza di Jona, ma avrebbe avuto le persone giuste al suo fianco per superarne la perdita.

Così, nell'attesa del taxi, camminava avanti e indietro, con il passo lento a causa dell'età, ma non rinunciando mai alla sua irrequietezza e alla sua iperattività di sempre.

A ogni angolo della casa corrispondeva un ricordo a esso associato. Quell'angolo gli ricordava il primo Natale passato in quella casa da un giovane se stesso e un ancor più giovane Pedrito. Ricordava di come si fosse vestito da babbo Natale, accendendo di gioia il viso del figlio adottivo, il suo primo giorno veramente felice dopo la morte del padre.

Poi passò di fronte allo stipite della porta del soggiorno, in cui aveva segnato la crescita di Pedro, prima, e di sua nipote Judith, poi.

Pedro aveva chiamato così la propria figlia, in onore della donna amata del padre adottivo, di cui tanto aveva sentito parlare.

Jona non si era mai risposato. Aveva provato a frequentare diverse donne, ma nessuna era mai adatta o, semplicemente, non era Judittha. Il ricordo di lei era troppo vivido nei suoi pensieri e nel suo cuore.

Una delle prime cose che fece Jona stabilitosi nel Nuovo Mondo fu cercare notizie di Judittha. Scoprì che le sue gesta venivano celebrate e osannate ancora oggi, attirando addirittura l'attenzione dei più famosi artisti della storia, quali Caravaggio, Klimt e tanti altri.

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