Capitolo 4: Storia di un matrimonio

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Piana di Katane, un anno e mezzo prima

L'Etna fumava ormai da una settimana, facendo tremare spesso e volentieri negli ultimi giorni il suolo katanese e inondando le strade dei paesi etnei di cenere lavica. Gli unici a trovare vantaggio da questa situazione erano i proprietari di terreni agricoli, la cui terra, grazie alla cenere del vulcano, produceva frutti e ortaggi ancor più saporiti.

La storia di questo matrimonio nacque proprio in un aranceto, il più grande della Piana di Katane, nonché quello più importante. Il campo del sindaco Ursino.

Come ogni giorno da dieci anni a questa parte, Manasse svolgeva tranquillamente la sua tipica giornata di lavoro, insieme al suo fidato compagno di lavoro, nonché migliore amico, Tano.

Orfano sin da giovanissima età, il padre morì in guerra poco dopo la sua nascita, la madre riabbracciò il marito una quindicina d'anni dopo, a causa della tubercolosi, Manasse fu costretto ad abbandonare gli studi in favore del lavoro come bracciante. Mai in 10 anni di lavoro si era concesso una distrazione e mai aveva lasciato un lavoro incompleto. Tranne quella volta.

Uno sguardo. Tanto bastò perché Manasse perdesse completamente interesse per il carico di arance che stava raccogliendo, arrampicato su una traballante scala di legno. La mano ancora tesa a raccogliere il frutto che la Natura donava a quella terra fertile. Una figura aveva attirato la sua attenzione, o meglio, monopolizzato, attirando il suo sguardo come un faro in mezzo al buio. Quasi inconsciamente, il suo volto si girò verso di lei, come a rallentatore. La fanciulla camminava a piedi nudi sul terreno, incurante di sporcarsi. La sua figura era tonica e slanciata, i capelli castano chiaro e i fianchi ondeggianti. Trasportava sopra la testa un vaso colmo d'acqua, certamente più pesante di lei, probabilmente appena riempito al pozzo della tenuta.

Senza pensarci due volte, come stregato, scese dalla scala, non guardando nemmeno dove stesse mettendo i piedi.

«Chi è quella fanciulla?» chiese al suo compare, senza smettere di fissare quella figura ondeggiante che a breve sarebbe scomparsa all'orizzonte.

«Quella, amico mio, è la figlia del sindaco» rispose Tano, un pesante cesto di arance appena colte sulla schiena.

Pur lavorando in quel terreno dalla metà degli anni rispetto a Manasse, Tano conosceva il doppio delle informazioni rispetto al compagno di raccolte.

«La sposerò!» affermò prematuramente Manasse, fissando l'amico solo una volta che la fanciulla fosse sparita dal suo campo visivo.

«Certo...» finse di appoggiarlo Tano. «Nei tuoi sogni!» lo sbeffeggiò poi, ridendo, senza quasi più sentire il peso che trasportava sulle spalle, abituato da anni di lavoro. «Ehi! Dove stai andando?!» urlò successivamente, ammirando sorpreso Manasse che si allontanava, inoltrandosi tra la vegetazione.

«A invitarla a cena!» rispose il giovane, senza voltarsi, passeggiando tranquillo con le mani nelle tasche dei pantaloni di iuta, quasi stesse passeggiando per la via etnea, dimentico del lavoro da portare a termine e della necessità di tenerselo ben stretto, se voleva sopravvivere.

Finirà col farsi ammazzare! pensò Tano, esasperato dal comportamento dell'amico.

Manasse allungò il passo, finché non raggiunse la fanciulla. Da dietro, con le braccia tese, afferrò il grande vaso colmo d'acqua che la giovane stava trasportando, sgravandola da tale fardello, farfugliando, imitando la parlata dei nobili: «Permettetemi di aiutarvi, milady...!»

La fanciulla, inizialmente preoccupata, si voltò di scatto, mostrando a Manasse quel viso che aveva solo intravisto mentre passava dietro di lui.

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