Capitolo 19: Nel ventre della balena

20 4 6
                                    

Saziata, almeno per il momento, la sua fame, la balena tornò nuovamente nelle profondità dell'Oceano Atlantico, l'unica casa che avesse mai conosciuto. Nuotava serena, ignara dei due nuovi passeggeri che trasportava all'interno del suo ventre.

Judittha giaceva immobile per terra, i resti della scialuppa distrutta sparpagliati intorno a lei. Solo la chiglia dell'imbarcazione era inspiegabilmente incolume. Il resto era ridotto a schegge, sparse sul "pavimento".

Lentamente, la fanciulla riacquistava conoscenza. Non ricordava come fosse finita lì, ovunque fosse .

Ricordava di essere alla deriva con Jona, sulla scialuppa di salvataggio della Santa Maria... Ricordava l'entusiasmo del compagno di fronte alla metropoli che si avvicinava pian piano all'orizzonte e la sua paura dell'ignoto... poi il nulla. Buio totale. Ricordava solo brevi attimi di terrore, un turbinio di acqua e l'immagine di denti giganteschi. Nulla a cui riuscisse ad attribuire un senso logico.

Si tirò sulle braccia, grattando sulla sabbia bagnata che ricopriva quel pavimento viscido, assumendo una posa seduta, accertandosi di essere incolume.

Le costole le dolevano un po', così come la testa, ma tutto sommato stava bene, non aveva riportato ferite gravi. Tranquillizzatasi sulle proprie condizioni, cominciò a preoccuparsi di Jona, di cui non vedeva né sentiva la sua presenza nelle vicinanze, ma, d'altronde, non riusciva a vedere a un palmo dal suo naso, tanto fosse profondo il buio in quel luogo.

Così, decise di chiamarlo.

Il primo tentativo andò a vuoto, non riuscendo a tirar fuori la voce dal petto. Si schiarì la gola più volte, deglutendo a fatica, poi riprovò: «Jona?» riuscì a far uscire.

Seppur debole, il suo richiamo echeggiò in quel luogo ampio e vuoto. Non ricevendo risposta dal compagno, si alzò, a fatica. Per poco non cadde nuovamente a terra. Una volta poggiato il peso sulle gambe, fu colta da un dolore lancinante al ginocchio destro. Non riuscì a vederne la causa, a causa del buio, ma, passandoci sopra la mano, poté notare quanto fosse gonfio.

Dolorante, ma cercando di farsi forza, reggendosi in piedi solo grazie all'amore che provava per quel testone di Jona, ripeté, più forte: «JONA!»

Stavolta era impossibile non udire la sua voce, amplificata notevolmente anche dall'eco della sala.

Tuttavia a risponderle fu nuovamente un silenzio di tomba.

Senza darsi per vinta, ma con la preoccupazione che cominciava a soffocarla, aumentandole i battiti del cuore, si aggirò per quel luogo umido e buio, le mani protese in caso incappasse in ostacoli durante il suo tragitto e, in caso di caduta, pronta a cadere su di esse, piuttosto che di faccia.

Cominciò a formulare dentro la sua testa alcune ipotesi su dove si trovasse, ma era una più surreale dell'altra.

Camminava zoppicante ormai da un po', non sapeva dire da quanto, dato che il tempo era distorto lì dentro e non aveva modo di orientarsi con la posizione del sole o della luna, quando le parve di scorgere qualcosa... o qualcuno.

Speranzosa si trattasse del suo amato gondoliere, allungò il passo quanto le consentiva il ginocchio dolorante.

Più si avvicinava a quella forma e più non c'erano dubbi si trattasse di una forma umana, di un uomo, nello specifico.

Ormai convinta si trattasse di Jona, separata da lui appena un paio di passi, lo chiamò: «Jona!»

Questi si girò, lentamente, quasi con fare teatrale.

La sorpresa bloccò l'avanzata di Judittha, il cui arresto improvviso per poco non provocò una nuova caduta. Le gambe minacciarono di cedere per la sorpresa, il cuore mancò un battito, balzandole in gola. L'uomo di fronte a lei non era Jona... era Manasse, il suo defunto primo marito.

Sogni di LibertàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora