Capitolo 28.

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Le dita di Luke scivolavano tra i miei capelli, districando qualche nodo durante il loro passaggio, mentre le mie si arricciavano intorno alle sue ciocche cresciute. La mia mano ancora libera si aggrappò alle sua scapole ed emise un gemito di dolore che collegai a qualcosa di positivo, ma dovetti ricredermi nel momento esatto nel quale Luke allontanò bruscamente la mia mano dalla sua schiena, lasciandomi spiazzata e quasi imbarazzata tra un bacio e l'altro. Il fracasso esterno era udibile in maniera ovattata; sospirai consapevole che a breve saremmo dovuti uscire. Il volto del ragazzo di fronte si allontanò dal mio collo oramai marchiato dai suoi denti e mi studiò per qualche secondo, lasciando che il silenzio tombale del bagno comune si mischiasse con il caos dei corridoi in subbuglio.

Si leccò avidamente le labbra, come a volerle ripulire dal mio sapore.

«Tutto questo non cambia niente tra noi, Raise» Spiegò con tono pacato, sicuro e io giurai di sentire le costole stringersi intorno ai polmoni, impedendomi di respirare. Annuii lentamente, incapace di guardarlo negli occhi un po' come sempre e scivolai via dal ripiano reggendomi da sola, fisicamente ed emotivamente.

Ci ero cascata di nuovo, come un'idiota.

«Devo andare.» Biascicai tirandomi giù i lembi del maglione rischiando di strapparlo nel vano tentativo di nascondermi fino ai piedi.

Luke mi osservava tirandosi il piercing con i polpastrelli, forse attendendo che me ne andassi per prima e non ero sicura che avesse udito la mia risposta, ma poi scosse la testa in un cenno di approvazione.

Strisciai le suole sulle mattonelle luride dei bagni e scappai fuori, bloccandomi nel bel mezzo del corridoio alla ricerca di una meta, aspettando che il mio senso dell'orientamento tornasse a funzionare. 

Kate non mi attese all'uscita: Michael l'avrebbe riaccompagnata a casa subito dopo le lezioni. Di quell'avvenimento, quel giorno, non le raccontai niente; perchè non se la meritava una batosta simile, e quindi lasciai che le ultime parole di Luke mi logorassero dall'interno, mi scavassero nelle ossa, attaccassero gli organi facendomi sentire persino malata.

Camminai verso il cancello dell'istituto, frugando all'interno del mio zaino alla disperata ricerca dei miei auricolari, ma la mia attenzione fu attirata da un veicolo rosso fuoco troppo famigliare. Incrociai le braccia al petto e puntai i talloni sul marciapiede.

«Che cosa vuoi?»

Dylan si rigirò il casco tra le mani.

« Sei pur sempre mia sorella, cazzo, avrò o no il diritto di venirti a prendere?» 

Sembrava veramente esausto di quella situazione e la sua iniziale tristezza si andava lentamente trasformando in rabbia. Strinsi le labbra in una linea sottile e osservai i nuvoloni grigi che quel giorno minacciavano Silver Spring: non avrebbe avuto senso tornare a casa a piedi.

Riluttante salii sul motore e gli strappai dalle mani il casco.

Luke varcò il cancello affiancato da Faith e si avvicinò al suo veicolo, aprendo il sellone e passando un casco alla ragazza al suo fianco. Sbuffai indignata e Dylan strinse le mani sul manubrio.

«Spero tu sappia che Luke non è una persona con la quale avere a che fare, Breath» 

Certo che lo sapevo, ne ero pienamente consapevole ed era forse l'individuo più meschino che avessi mai incontrato; nonostante questo non ero stata in grado di allontanarmi da lui, e probabilmente quel giorno lo avrei ricordato come uno dei miei più grandi errori.

Non riuscii a biasimare Dylan, in quel momento: Luke mi aveva fatto male, fisicamente ed emotivamente, lui cercava semplicemente di tenermi il più distante possibile dai guai. Sfrecciammo lungo la strada che ci avrebbe condotto dopo pochi minuti a casa, lasciandoci alle spalle l'istituto che racchiudeva ancora i ricordi di Dylan e che, a distanza di due anni, stava assorbendo i miei. 

Madness || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora