Capitolo 3.
La mia voglia di avere interazioni sociali con il mondo si azzerò durante tutto il resto della giornata. Qualcuno mi afferrò il polso e il mio primo riflesso fu quello di ritrarlo immediatamente: Kate mi osservava perplessa e dovetti fare un profondo sospiro per tranquillizzarmi.
«Ti senti bene Breath?» Mi domandò preoccupata.
«Si scusa, ero solo con la testa tra le nuvole», spiegai accennando un sorriso. Sbuffò.
«Quale sarebbe la novità?».
La cosa bastò per sciogliere la tensione e far finta di nulla, ma nonostante tutto continuai ad osservare il mio polso ancora rosso e, passando il dito sui solchi lasciati in precedenza potevo sentire la pelle bruciare.
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Tornata a casa mi guardai intorno: il silenzio regnava sovrano, come sempre; erano le due del pomeriggio e Dylan non era in casa. Mi chiesi dove potesse essere andato e mi tornò in mente la nostra discussione lasciata forzatamente aperta il giorno precedente. Mi chiusi in camera sua, sedendomi sul suo letto e osservando la libreria, la scrivania e i muri che man mano riprendevano vita dopo due anni. Studiai attentamente alcune foto già posizionate sui ripiani, non avendoci mai fatto caso: una fotografia ritraeva Dylan e un suo amico di Miami a bordo delle loro rispettive moto da corsa; la seconda era decisamente più sfocata e scura, era stata scattata di notte: si distingueva solo una strada rettilinea, numerosi fari in lontananza e una moto sfrecciare, ipotizzai, veloce; la messa a fuoco era concentrata sul dettaglio della moto in primo piano: la scritta "Splinter" brillava sulla parte posteriore del veicolo e dal contesto dovetti dedurre che fosse una gara o qualcosa di simile. Foto probabilmente trovata online. Poggiai la fotografia e scrollai le spalle, non trovando nulla di interessante: nessuna foto di nessuna ragazza, lettere d'amore o cose così. Cose che mi avrebbero aiutato a capire che tipo di vita avesse vissuto mio fratello in quei due anni. La sua passione per le moto, però, se l'era portata dietro fino all'altro capo del mondo e su questo non c'erano dubbi.
Quella sera la tv non proponeva niente di interessante, così rimasi seduta sul divano a fare zapping per 15 minuti buoni; la porta di casa si aprì e voltai la testa solo per rendermi conto di chi fosse: un uomo alto e in giacca e cravatta entrò lasciando la valigetta all'ingresso.
«Ciao papà», salutai semplicemente. Si limitò a farmi un cenno con la mano e ad accarezzarmi velocemente la testa mentre la sua attenzione restò totalmente rivolta a chi era dall'altro capo del suo telefonino. Quando finalmente finì di borbottare al cellulare mi raggiunse in salotto, sedendosi a peso morto vicino a me.
«Che cosa guardi? » Domandò giocherellando con una ciocca dei miei capelli. Scrollai le spalle.
«Nulla, non c'è nulla, è noiosissimo».
Lo sentì mugugnare qualcosa, segno che la sua attenzione nei miei confronti fosse già svanita.
«Ordiniamo una pizza Breath? » Domandò battendo le mani sulle sue cosce e tirandosi su, lo guardai dal basso verso l'alto e annuii.
«Dylan sai dove è? Sono già le dieci di sera».
Mi morsi il labbro e scossi la testa.
«Ti converrebbe chiamarlo», consigliai seriamente curiosa di capire dove si fosse cacciato. Si grattò il mento e si incamminò verso il telefono di casa.
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Il suono di una serratura che si apriva rumorosamente mi svegliò, Mi stropicciai gli occhi e allungai la mano verso la sveglia digitale poggiata sul comodino: le 2.10 del mattino. Mi alzai lentamente, cercando di non fare troppo baccano e di non beccare nessuno spigolo nel buio. Raggiunsi lentamente la stanza di Dylan che era esattamente vicino alla mia: lo trovai intento a togliersi il casco omologato e il giubbotto di pelle.