Capitolo 14.

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(pov)LUKE.

Scaraventai per terra la sedia, ma non ancora contento decisi di prendermela anche con il divano: cominciai a calciarlo con forza, facendolo spostare di qualche centimetro. Calum si poggiò al vecchio tavolo e incrociò le braccia al petto, non fiatò e gliene fui grato. Afferrai i cuscini e li buttai per terra ma non ci trovai alcun appagamento: non si rompevano, non facevano baccano, non rappresentavano a pieno quanto fossi incazzato.

«Vaffanculo!» Urlai con quanto fiato avevo in corpo. Tirai qualche pugno al muro ma cominciai ben presto a sentire il dolore viaggiare sulle mie nocche leggermente scheggiate. Calum si mosse verso di me ma non osò toccarmi.

«La prendi troppo sul personale, Luke. Non si può vincere sempre», grugnì contrariato e dovetti ricorrere a tutta la mia forza di volontà per non tirargli un pugno dritto sul naso: io non potevo perdere, e se succedeva non era di certo per colpa mia.

«Ho perso entrambe le gare, cazzo. Tutte e due! Entrambe le quote!» Gli ricordai alzando l'indice e il medio mostrandogli come un bambino il numero due. La gola mi bruciava, le gambe erano terribilmente pesanti e il sangue circolava a una velocità troppo elevata; mi accasciai sfinito sul divano, beandomi del silenzio del nostro garage, pregai che Calum non ne rompesse la quiete, inutilmente.

«I soldi non ti mancano per ora, amico.»

«Devo pagare i debiti, Cal. Devo togliermi quella merda», gemetti e mi stropicciai con forza il viso raschiandomi leggermente le gote con le unghie. Avevo perso contro Irwin e contro Raise nella stessa serata e mi sentivo profondamente ferito nell'orgoglio: quella doveva essere la mia sera per splendere, per confermare il mio potere assoluto sulla pista, e invece era andato tutto a puttane. Cercai di capire cose mi fosse sfuggito di mano e un volto pallido, contornato da dei lunghi capelli biondi mi apparve nitido. Strinsi i pugni poggiati sul bracciolo del divano e serrai i denti.

«È tutta colpa della sorella di Raise»

Calum smise di mangiucchiarsi le unghie e corrugò le sopracciglia, non potendo ancora leggermi nella mente e non riuscendo a seguire il mio ragionamento.

«Che c'entra?»

«Deve essere entrata ufficialmente nel Team di Irwin, e Dylan era sereno. Ciò significa che non c'è più nessun fuoco da aizzare. Qua è saltato tutto», borbottai non riuscendo a ricordare un singolo istante nel quale Raise fosse stato nervoso o preoccupato, e la sua tranquillità mi irritava da morire.

«Sei paranoico»

Calum si portò alle labbra una sigaretta, poi ne illuminò l'estremità con una piccola fiamma e aspirò.

«Tu non mi ascolti mai, cazzone: ti serve più intorno che fuori dai piedi. E, soprattutto, devi gestire i tuoi fottuti attacchi di rabbia»

«Smettila con questa storia, stasera, sebbene mi abbia messo duramente alla prova, mi sono trattenuto solo per te, sei contento?»

Roteò gli occhi e continuò a fumarsi la sua sigaretta.

Aprii la tasca più piccola del mio zaino grigio e ne estrassi una piccola bustina contenente l'erba; con la mano libera frugai un altro po' alla ricerca dei filtri e delle cartine.

«Non si offre?» Domandò la sua voce alle mie spalle e giurai stesse sorridendo bastardamente come al suo solito.

Breath.

Quella domenica mattina mi svegliai tardi: le mie ore di sonno si erano decisamente decimate in quei due ultimi fine settimana. Kate si presentò nel tardo pomeriggio a casa mia pretendendo di vedere un film in mia compagnia, come ai vecchi tempi. La ragazza si accomodò senza problemi sul mio divano e si sfilò in un gesto veloce le scarpe per poi poggiare i talloni sul tavolino. Arricciai il naso.

Madness || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora