Ogni volta che Gaia Valeria chiudeva gli occhi, la sua mente la riportava alle notti della sua giovinezza: alle notti insonni, al chiaro di luna che illuminava le foglie argentee degli ulivi della sua domus, alle parole in latino di una conversazione a senso unico, che riservava al prigioniero. Un sorriso le si dipingeva nostalgico in volto mentre il sonno le riportava alla mente i dettagli di quel periodo della sua vita. Non aveva mai tollerato l'autorità che la spingeva a dedicare tutti i giorni all'apprendimento delle virtù che il mos maiorum richiedeva alle donne, future cittadine di Roma. Ciò che la madre tentava di insegnarle la intratteneva per poco tempo e, nonostante la sua innata bravura nella tessitura, nemmeno quello pareva appagare il carattere indomito della ragazzina. Questo la portava a uscire di casa, correndo per le vie della città, più veloce del vento all'eco dei rimproveri della madre, di cui non si curava. Era l'unica figlia avuta da Livia Giulia e Publio Valerio Corvino, quindi la luce degli occhi dell'illustre centurione, che permetteva e indulgeva ogni comportamento, considerato inappropriato per una futura matrona, della figlia. Dal padre, infatti, si recava ogni qualvolta riuscisse a sfuggire alla madre. Quando non era impegnato in campagne militari che lo tenevano lontano, si occupava personalmente dell'addestramento delle reclute, che sarebbero poi confluite nelle sue, piuttosto che in altre legioni. Molti di loro venivano reclutati tra i prigionieri di guerra, cosicché il valore che avevano dimostrato contro i romani, potesse essere volto dagli stessi contro i loro antichi alleati, genitori, amici. Gaia Corvina, come preferiva farsi chiamare, era una presenza usuale nell'arena dove il padre svolgeva le sue mansioni in tempo di pace, nonostante gli sguardi a tratti disgustati, a tratti indignati degli altri soldati. Aveva presto imparato che, grazie al nome che poteva vantare, si sarebbero limitati semplicemente a guardare, ed era ben felice di approfittare di questo suo privilegio. Il ricordo che, ancora, dopo quasi vent'anni, tormentava i suoi sonni era l'incontro con un prigioniero. Il sole scottava quel giorno, all'arena. I rumori che scandivano il passare dei secondi era quello delle spade in legno o in ferro che stridevano fendendosi con colpi privi di ogni pietà. Il padre l'aveva accolta con una carezza sulla testa, nonostante sul suo volto aleggiasse uno sguardo di larvato rimprovero alla ragazza, ormai quindicenne, che continuava nelle sue scappatelle. Quando il sole arrivò al picco, gli occhi verde scuro della ragazza incrociarono i temibili e furenti occhi azzurri di Fearghal. Sembrava emanare luce gelida, da quegli occhi chiari e dai capelli dorati, tanto che Gaia ne rimase incantata.
"Lo abbiamo arrestato quasi una settimana fa, più al nord." Spiegava il padre alla ragazza. "Viaggiava ai confini elvetici armato, con il padre.". Conosceva bene le regole, la giovane. A Roma non si viaggiava armati, a meno che non si facesse parte del corpo militare. "Siamo alleati, ma sono selvaggi, i Galli, tumultuosi e forti nella battaglia. Era necessario ricordare loro come funziona un'alleanza, per evitare mire espansionistiche fuori luogo." continuava il pretoriano, marcando con disprezzo il nome delle popolazioni situate al nord, finché la figlia non decise di porre una domanda: "Pater, il padre è stato ucciso?", Valerio Corvino sorrise. "Ovviamente no, è stato scortato nuovamente in Helvetia perché portasse un chiaro messaggio a tutti". La conversazione fu interrotta da un grido di dolore da far accapponare la pelle. La recluta romana era stata abbattuta dal Celtico, che ora lo sovrastava, armato, mentre con un piede faceva pressione alla gola. Il militare corse a separarli con forza, visto che il comando in latino non faceva desistere la furia del soldato straniero. Era sicuramente più avvantaggiato nel corpo a corpo, rispetto a tutte le altre reclute: decisamente più alto e forte dei coetanei romani, e, Gaia avrebbe azzardato, forse anche del padre stesso. Mentre era prossimo a congedare i soldati, il romano alla sua vita da legionario e il celtico alla sua cella, con passo felino si avvicinò. Valerio lo aveva predetto dallo sguardo basso del soldato romano, che aveva provveduto ad inginocchiarsi per non mancare di rispetto ad una signora del rango di Gaia. Presto anche il biondo aveva provveduto a fare lo stesso tenendo, tuttavia, lo sguardo fisso sulla figura esile della ragazza, che si presentò secondo i convenevoli latini e incompresi dall'altra parte. Notando questo inconveniente, Corvino, si recò alla sua domus con la figlia al seguito e il soldato disarmato a fianco. Aveva deciso che il ragazzo necessitava degli insegnamenti che erano dovuti ad un romano, per poterlo gestire sul campo di battaglia e renderlo a tutti gli effetti uno dei loro ranghi. L'arrivo a casa era stato ammantato di un certo disagio, che non fece altro che crescere alla visione, ancora da lontano, della figura di Livia, vestita di tutto punto, secondo il buon costume delle nobili. Si poteva notare, anche da quella distanza, la preoccupazione della donna, che attendeva il ritorno della figlia ribelle. Inutile dire che il colorito della matrona mutò immediatamente alla realizzazione della scorta gallica del marito e della figlia. Non era la prima volta che capitava, che qualcuno venisse ospitato a casa sua, per usufruire degli insegnamenti dello stimato soldato, che di quelli degli illustri precettori, che seguivano anche gli studi, per quanto limitati, della figlia. La sua preoccupazione, infatti, si riversava proprio sulla ragazza: non si fidava dell'idea del marito, di tenere la figlia e un barbaro nella stessa casa, e di farli studiare assieme. Fearghal, dal canto suo, era ben felice di scambiare la sua piccola cella attigua al campo di addestramento con una lussuosa domus. Nonostante la sua famiglia vantasse un certo prestigio tra le montagne elvetiche, mai aveva visto un'abitazione così ricca, né nobili vestiti con abiti tinti di porpora, che emanavano eleganza e, al contempo, incutevano timore nella gente come lui. Giunti alla soglia, tutti gli occhi si erano puntati su di lui, mentre i tre romani si scambiavano frasi in latino, il suono di quella lingua tanto diversa e insensata si abbatteva sul suo udito come mille asce, lo trovava sgradevole. Tuttavia poteva tranquillamente percepire la tensione nelle voci che andavano discutendo sempre più velocemente, e con toni sempre più accesi, la rabbia di Livia Giulia, nei confronti del marito, della figlia, nei suoi.
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Gallia
Historical FictionAnno 80 avanti Cristo: Elvezia, Gallia transalpina. Un ragazzo viene trovato armato al confine coi territori romani, quindi costretto ad abbandonare le sue montagne per seguire Publio Valerio Corvino, stimato centurione, a Roma. I segreti e gli intr...