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Nella mente dei due celti era difficile stabilire se qualcuno avesse scovato e spento le fiamme divampate nella casa in mezzo al bosco. La razionalità faceva loro credere in una risposta affermativa, facendo loro temere di essere seguiti da altri soldati del manipolo di Bellicus. Avevano percorso i sentieri isolati, diretti al Nord, quasi ininterrottamente, quasi a seguire lo strenuo alternarsi del giorno e della notti. Nonostante la temperatura continuasse ad abbassarsi, mentre proseguivano la risalita verso il confine transalpino, Roma continuava ad essere un pensiero troppo vicino, una realtà che continuava a terrificarli, sebbene nessun soldato armato avesse ricevuto l'ordine di proseguire l'inseguimento. Il viaggio proseguiva silenzioso, obbligando i tre a fermarsi solamente quando la stanchezza era troppo sovrastante per poter proseguire, per chiedere ai cittadini dei villaggi che oltrepassavano ostello per la notte e provviste per proseguire: quando si ritrovavano a bussare a qualche uscio nella speranza di poter sopravvivere un altro giorno grazie alla provvidenziale gentilezza degli inquilini, si ritrovavano sempre a fronteggiare gli sguardi dubitanti e quasi intimoriti degli abitanti di quelle povere case, che si addolcivano solamente alla vista della piccola Bricta, e acconsentivano immediatamente ad offrire un riparo ai due ragazzi. Nessuno dei due avrebbe mai creduto che la bambina potesse sopravvivere al viaggio, tuttavia le loro cure erano state perfette per la situazione che si erano trovati ad affrontare, e la neonata figlia di Fearghal sembrava essere forte e determinata a vivere. Quando l'elvetico si ritrovava a poter riposare la schiena su un pagliericcio e davanti alla concessione di chiudere gli occhi, le immagini che la sua mente riproponeva sotto alle sue palpebre chiuse gli faceva rimpiangere la veglia: Gaia, gli anni trascorsi a Roma, Ateius, Lucilla: tutto ciò che aveva lasciato tornava a tormentarlo durante i suoi sonni inquieti. In modo atroce, il suo immaginario sostituiva l'immagine di Lucilla morente con quella della sua amata Gaia, facendolo risvegliare in lacrime, con la credenza fosse tutto reale. I suoi sogni, poi, lo riportavano tra le sue montagne, nei luoghi che aveva attraversato con il padre e il fratello prima per la caccia, poi alla volta della guerra in Germania, dove poteva rievocare la morte del fratello e alla quale si aggiungeva quella del padre. 

Spesso si interrogava su come sarebbe stato il suo ritorno, se avrebbe ritrovato tutto come l'aveva lasciato, ormai quasi tre anni prima. Si chiedeva se ci fosse ancora qualcuno che parlava di lui, che sperava tornasse e che non lo credesse morto. Sapeva con certezza, però, che suo padre lo aspettava alla soglia ogni mattina e ogni sera, fino a notte inoltrata, e lo immaginava guardare nella direzione del bosco, sperando di vedere la sua sagoma stagliarsi al limitare di esso. Una paura viscerale si impadroniva dei suoi pensieri all'idea di presentarsi con la figlia avuta fuori dal vincolo cui era sottoposto da anni: il matrimonio che era stato combinato con un'illustre famiglia abitante dello stesso territorio; mai si era interrogato sulla questione prima di quel frangente, specialmente dopo l'inizio del soggiorno forzato in terra nemica. Ricordava a malapena la ragazza che avrebbe dovuto considerare come moglie: la ricordava dal loro primo incontro, avvenuto molti anni prima; un'esile biondina con dei grandi occhi verdi e un atteggiamento spocchioso che non cercava nemmeno di celare la sua nobiltà di sangue. Sorrideva al ricordo: a confrontare la figura di Cantismerta, così gli pareva di ricordare si chiamasse, con quella di Gaia, la nobiltà e la parvenza di irraggiungibilità della prima venivano eclissate completamente. Forse la presenza di Bricta avrebbe potuto evitare un'unione che, se prima risultava solamente forzata, ora era diventata dolorosa: una ferita al petto che sembrava non poter guarire. Il freddo, la fame e le poche parole scambiate con Leucus erano le uniche cose che, nel proseguire del viaggio, lo distraevano. A volte poteva sentire il pianto di quest'ultimo nella notte illuminata dal focolare della loro momentanea dimora, al ricordo della sua famiglia trucidata, altre notti lo trovava seduto a fissare il vuoto innanzi a sé, in direzione della sua spada, che Fearghal custodiva. All'inizio del viaggio, qualche giorno prima, lo aveva svegliato il rumore del suo pugnale che intercettava il suolo e, davanti a lui, la figura dell'uomo con la sua stessa spada puntata alla gola. Lo aveva disarmato e lo aveva stretto con forza tra le braccia. Il suo pianto aveva trafitto l'aria circostante, svegliando la bambina, che aveva preso a singhiozzare a sua volta, mentre gli confessava di aver "visto" Lucilla, che lo invitava a raggiungerla. Non poteva capire, nonostante fosse un pensiero ricorrente nel frequente silenzio che caratterizzava l'andatura scandita solo dal rumore degli zoccoli dei cavalli. Aveva deciso, dopo questo evento, che avrebbe evitato di armare la mano del suo compagno, a meno che non fosse assolutamente necessario.

Un paio di giorni dopo, il paesaggio si era reso più familiare: la vegetazione si era fatta più estesa e aveva preso il freddo colore che era solito ricordare tra le piante sempreverdi della sua Elvezia. La notte era diventata gelida, tuttavia la gente più ospitale: si poteva chiaramente sentire un accento familiare nel loro latino, e qualche parola conosciuta nella lingua che, nonostante la recente romanizzazione, continuavano a tener viva. Un inaspettato conforto aveva preso possesso del cuore dei due, Leucus aveva ripreso a sorridere con più frequenza all'idea di ricongiungersi alla sua famiglia, tra gli Arverni, Fearghal aveva abbandonato momentaneamente le sue preoccupazioni concentrandosi sulla felicità illusoria del ricongiungimento con la sua famiglia, per questo aveva deciso di racimolare quante più scorte possibili e proseguire il viaggio, che, con l'inclinazione della pianura sempre più scoscesa si era dato ad una marcia più lenta. Quella decisione aveva fatto prendere una piega più rapida al viaggio che ormai si protraeva da più di due settimane, e aveva portato i due nei luoghi limitrofi ai villaggi elvetici, dove Fearghal poteva essere una guida formidabile. Leucus sorrideva nel vedere negli occhi del giovane un bagliore di gioia e nostalgia, quando riusciva a riconoscere qualche luogo e raccontava le vicissitudini che lo avevano portato lì. Dal canto suo, una febbrile eccitazione traspariva nel poter percorrere tranquillamente le "strade" principali, senza paura. Avevano entrambi abbandonato l'uso della lingua romana per riprendere, con estrema facilità, l'utilizzo della lingua gallica locale. Avevano quasi dimenticato come fosse l'esistenza senza il gioco opprimente della Città ad imporre le regole, e ne erano rimasti affascinati, come se non avessero mai vissuto quella realtà. Era tarda sera quando si erano inoltrati nel bosco dove Fearghal aveva detto di aver trascorso tutta la sua infanzia con i fratelli. Si erano fermati per una breve sosta: avevano attizzato un piccolo focolare, Leucus aveva insistito per dare da mangiare a Bricta: mai lo aveva fatto durante il viaggio, nemmeno quando avevano rallentato il passo poche ore prima per lo stesso motivo. Quel gesto aveva il sapore amaro di un ennesimo addio. La luna era già alta nel cielo quando i due si erano stagliati poco lontano dalla vecchia casa lignea dell'elvetico. La luce fredda che illuminava la strada lasciava intravedere una figura seduta a terra, con la schiena poggiata al muro. Gli occhi azzurri e stanchi di colui che pareva essere un uomo si erano fatti lucidi di colpo nel riconoscere quelli così simili del giovane: si era alzato, aveva mosso un paio di passi in avanti, verso i due per poi abbracciare il figlio e il fagottino che teneva tra le braccia. 

"Fearghal... sei tornato" aveva sussurrato prima che un pianto di gioia giungesse alle orecchie di tutti.

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