𝐈𝐕

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La notte, che aveva provveduto a rendere scuro ogni anfratto del  villaggio, era stata di colpo spazzata parzialmente via dai bagliori di una torcia il cui fuoco era stato appena attizzato e si alzava a lingue luminose e irregolari verso il cielo notturno. L'uomo, il cui volto era segnato dall'avanzare dell'età e dalla stanchezza aveva un aspetto quasi sinistro, complici i giochi di ombre che le fiamme contribuivano a creare sul suo volto, tuttavia un sorriso familiare e amichevole era rivolto ai due reduci, e faceva sentire entrambi al sicuro. Mai la lingua elvetica era risuonata in modo così familiare e rasserenante che in quel momento, nonostante per Leucus fosse più complessa da capire viste le diversità che caratterizzavano la sua lingua madre e quella del compagno. Erano stati invitati ad entrare entrambi, la madre di Fearghal aveva attizzato nuovamente il fuoco e stava provvedendo a riscaldare qualche resto di cibo avanzato dalla cena della sera stessa, era poi corsa ad abbracciare suo figlio, in lacrime, meravigliandosi poi della presenza della neonata avvolta tra diversi strati di coperte. Aveva evitato di fare domande, sul momento, inviando il marito a riesumare la vecchia culla del figlio, per poter far riposare al meglio la piccola che ora dormiva placidamente tra le braccia del padre. Aveva prelevato la bambina che si era nuovamente svegliata, e si era recata in una stanza attigua per poterla sfamare e consentirle un sonno confortevole sopra un pagliericcio. I ragazzi avevano mangiato a sazietà, intervallando morsi voraci alle umili pietanze della casa alle risposte che richiedeva l'anziano padre. Fearghal aveva presentato Leucus come un suo caro amico, "salvatore" si era azzardato a pronunciare, guadagnandosi uno sguardo di disappunto dal commensale arverno. Come aveva previsto, infatti, due incuriositi occhi del colore del cielo sereno si erano posati su di lui: aveva raccolto le forze e aveva parlato dei luoghi che conosceva, della sua vita da liberto nella Città, della famiglia che l'aveva accolto nella casa lignea sperduta nel bosco, di Lucilla, la sua amata moglie assassinata. Fearghal traduceva le parole che l'altro ragazzo era obbligato ad esplicare nella lingua comune ai due, il latino, in modo che il padre comprendesse, tuttavia uno sguardo di tacito accordo aveva proposto di non forzare ulteriormente quei racconti al sorgere delle lacrime negli occhi di Leucus. L'elvetico aveva preso padronanza della conversazione e aveva sviato abilmente il discorso infelice verso ciò che era stato per lui l'obbligatoria permanenza a Roma. 

Gli occhi del padre si illuminavano di ammirazione verso quei racconti di una terra lontana, verso i fasti raccontati dal figlio minore che andava descrivendo la sontuosità delle domus dei nobili, del rigore degli allenamenti che aveva affrontato, della morale guerriera che Fearghal acclamava, nonostante si fosse premurato di assicurare che i celti, chiamati "galli" oltre le montagne, fossero nettamente superiori per quanto riguardasse forza e furia bellica. Il padre aveva sorriso, ne era sicuro, avrebbe ammesso subito dopo con orgoglio. La perplessità si era impadronita dell'atmosfera accogliente della casa quando si era arrivati a citare la piccola Bricta, che dormiva placida nella stanza accanto. Fearghal aveva cercato approvazione negli occhi del suo accompagnatore che, con un cenno di assenso, aveva concordato fosse meglio dire la verità fin da subito. Aveva rievocato ai genitori la casa che l'aveva ospitato, il centurione Publio Valerio, la figlia, la sua amata Gaia, la figlia che avevano concepito, giunta tanto inaspettata quanto mai rinnegata, il matrimonio forzato della giovane e la sua obbligata dipartita da Roma. L'uomo ascoltava in silenzio, la madre era anch'ella silenziosa, tuttavia i suoi occhi tradivano una certa preoccupazione, amplificata nel momento in cui aveva sentito pronunciare il nome completo della bambina: Diana Bricta. C'era qualcosa in quel nome romano che stonava ai genitori elvetici, che tuttavia avevano deciso di accettare la cosa alla condizione che il ragazzo avesse sposato la sua promessa sposa nel breve periodo, per far crescere la figlia, anche se illegittima, come una figlia della fredda Elvetia.  Si erano congedati dopo poco, quando Fearghal aveva invitato Leucus a rimanere per la notte, lasciando che riposasse sul suo letto, mai rimosso dalla posizione in cui stava prima della sua partenza, mentre si recava al suo giaciglio momentaneo sul pagliericcio dove dormiva la figlioletta. I genitori dell'elvetico si erano coricati nella loro stanza, dopo aver spento le torce e aver abbracciato l'uomo che aveva riportato a casa il figlio con immensa gratitudine. 

Il sonno tumultuoso di Fearghal veniva interrotto solo quando Bricta si svegliava e iniziava a piangere reclamando latte, per il resto, era stato un susseguirsi di incubi da cui pareva non essere capace di svegliarsi, un susseguirsi di immagini sconclusionate e atroci si palesava ai suoi occhi chiusi, come marchiate a fuoco sotto alle palpebre: Le truppe romane che lo cercavano, il suo villaggio messo a ferro e fuoco, Gaia uccisa dal marito, la guerra in Germania, che ora rassomigliava in tutto e per tutto la sua casa, gli spettri del fratello Brennos e di Lucilla. Solo l'alba aveva finalmente oscurato gli incubi, e l'aveva portato ad alzarsi dal giaciglio a causa di un rumore sospetto. Aveva controllato il letto su cui l'amico aveva riposato e l'aveva ritrovato vuoto, si era recato nella sala principale e, vedendola vuota, aveva constatato l'assenza di una bisaccia di provviste preparata dai genitori, in vista dell'imminente partenza del ragazzo, mancavano le sue armi e, all'aprirsi della porta aveva appurato la mancanza del suo destriero del colore della neve più fredda, che, fino alla notte precedente era rimasto legato assieme al cavallo nero che l'elvetico aveva condotto da Roma. Se n'era andato come un'ombra, gli Dei soltanto sapevano dove, ma, nella sua testa, Fearghal lo immaginava in procinto di ricongiungersi alla famiglia, di riunirsi ai fratelli e di poter riabbracciare nuovamente gli anziani genitori, come lui era riuscito a fare solo grazie alla sua bontà. Era rientrato subito dopo e aveva notato la madre cullare teneramente da bambina: "Se n'è già andato." aveva riferito con una punta di malinconia e tristezza nella voce. La donna aveva annuito silenziosamente per poi voltarsi ad accogliere il marito rientrato nella stanza: pareva sereno, sicuramente più riposato di quanto gli fosse apparso la notte precedente, tuttavia una febbricitante tensione aleggiava nei suoi occhi: il figlio ben sapeva a cosa pensasse, tuttavia ancora non si capacitava del suo ritorno, dei doveri lasciati incompiuti che aveva lasciato, una volta preso prigioniero dai soldati romani. A volte era solito ricordarli, nelle loro armature e in quei vivaci mantelli color porpora, tra i suoi boschi, tra i boschi degli elvetici. A questo pensava, mentre seguiva il padre, nuovamente, all'esterno dell'abitazione, mentre diversi sguardi increduli si posavano su di lui, come fosse un fantasma tornato dal regno dei morti.

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