𝐗𝐈𝐈𝐈

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Procedevano a passi lenti e circolari, i due soldati. Con la guardia alta, proteggendosi con lo scudo e tenendo pronte le lame, in caso uno dei due si fosse deciso a sferrare il primo colpo. Gli occhi freddi e cerulei del gallico studiavano attentamente ogni mossa del nemico che, seppur lievemente più basso di statura, tradiva una certa esperienza, o almeno così immaginava Fearghal, notando qualcuna delle sue cicatrici, in seguito al fisico piazzato e dalle sembianze forti. Dall'altro fronte, nonostante l'audacia mostrata nella scelta del nemico più temibile, un certo timore aleggiava e incupiva ulteriormente gli occhi di Ateius. Aveva fronteggiato i galli una sola volta in trent'anni di vita, in una campagna che aveva il solo scopo di attenuare i tumulti ai confini, così raccontava a chi lo interpellava a riguardo. Tuttavia, il combattimento contro i galli era stato in buona parte sedato dall'avanguardia, con notevoli perdite, e la retroguardia, cui lui faceva parte, aveva solo visto qualche barlume della guerra: avevano recuperato qualche prigioniero, tra i nemici rimasti in vita, e si erano avviati per tornare alla Città. Ateius aveva il compito di scortare due dei catturati, che non erano stati legati ma erano circondati dai legionari che li scrutavano con fare minaccioso. Uno dei due prigionieri, il più vecchio, aveva di colpo rallentato il passo, costringendo il piccolo schieramento ad una marcia leggermente più lenta. Ateius aveva colpito con la celtiberica l'uomo, ferendolo leggermente al braccio, ridando un ritmo appropriato al gruppo. Di colpo, lo stesso prigioniero si era portato una mano al petto, l'aria portava, veloce, i suoi lamenti ai soldati: il romano gli si era avvicinato con fare stizzito, aveva alzato il braccio, come a volerlo percuotere, ma di colpo si era trovato col braccio torto e la schiena poggiata contro la cassa toracica del gallico, che ora reggeva in mano un pugnale che gli era stato passato furtivamente dal ragazzo che lo accompagnava, quindici anni, si sarebbero potuti stimare per lui. Il tempo pareva essersi fermato: i legionari minacciavano l'attacco, ma non potevano lasciare che il nemico uccidesse Ateius. Il vecchio aveva preso ad incidere il collo dell'uomo, pericolosamente vicino alla gola, il coltello era talmente appuntito da non causare dolore nell'incisione, che sopravveniva subito dopo, alla clavicola sinistra, assieme al rivolo di sangue che intaccava la sua pelle e la veste al di sotto del corpetto dell'armatura. Aveva proseguito per un tempo che era sembrato interminabile a segnare il collo del romano, a volte proseguendo vicino ai punti vitali, badando a non trafiggerlo mai troppo a fondo, a scendendo più profondamente verso il torace. Ateius tentava di premere contro la ferita, ottenendo solo che il fluido carminio gli scorresse su essa e andasse a formare, copioso, una piccola pozza ai suoi piedi. La staticità della situazione fu interrotta improvvisamente da un fischio, segnale di attacco per i romani, ma che aveva la sola funzione di distrarre il prigioniero dalla tortura cui si stava dedicando. Ateius aveva preso velocemente la spada, e con un calcio aveva atterrato il nemico, che ora era in ginocchio. Incurante del sangue che continuava ad inzuppare la veste, un tempo candida, aveva strattonato violentemente il ragazzino e lo aveva posto alle spalle del vecchio. Non conosceva la lingua di quelle persone, per cui, fece tradurre gli ordini da uno dei suoi, che ne vantava una conoscenza piuttosto ampia. Le parole da tradurre erano risuonate prima in latino e poi in quella lingua sconosciuta: "Tagliagli la gola." aveva proferito con un sorriso beffardo. Gli occhi azzurri del ragazzo si erano riempiti di lacrime e aveva scosso violentemente la testa. L'uomo, allora, gli si era avvicinato, gli aveva sferrato una ginocchiata allo stomaco, per poi colpirlo ripetutamente alla testa con l'elsa della sua spada. I capelli biondi, ormai, grondavano sangue, ma ancora non si rassegnava a morire. Gli aveva consegnato il coltello, ripetendo l'ordine. Il vecchio l'aveva guardato e l'aveva supplicato di eseguire. Con le lacrime che si mescolavano al sangue che gli colava sul viso, aveva serrato gli occhi in una morsa ferrea e aveva inciso profondamente il collo dell'anziano, dandogli morte istantanea. Si era poi inginocchiato, aveva spalancato gli occhi e aveva lanciato un urlo che avrebbe potuto senza fatica lacerargli le corde vocali. Nessuno si era incaricato di tradurre quella parola. Ateius aveva impugnato la spada più saldamente e lo aveva trafitto con violenza, dal ventre al torace, lasciando che i suoi organi si spargessero sulla terra fredda. I suoi occhi azzurri e vitrei erano quelli che vedeva in quelli di Fearghal. 

 Il combattimento era iniziato violento, tra gli attriti degli scudi e lo stridere delle lame a contatto, ma nessuno dei due pareva voler cedere. Gaia osservava terrorizzata la scena. Un colpo più forte del gallico aveva frantumato lo scudo del romano, logoro quanto il suo. Aveva, tuttavia, gettato anche la sua unica difesa per una combattimento alla pari. Il primo fendente, a tradimento, lo aveva sferrato Ateius, ferendo lievemente la spalla dell'elvetico, che aveva contrattaccato prontamente con un potente calcio alle gambe dell'opponente, che l'aveva mandato al suolo. Aveva scorto un bagliore di felicità negli occhi della giovane romana, che subito era mutato in terrore, quell'attimo di distrazione lo aveva mandato a terra, armato, ma impotente, sotto la scarica di colpi che martoriavano il suo torace. Si sarebbe rialzato certamente, ma la consapevolezza di non poterlo uccidere lo aveva fatto desistere. Aveva gettato la spada in segno di resa, e successivamente si era rimesso in piedi, sputando un grumo di sangue ai piedi del nobile e ritirandosi successivamente nella linea di soldati da cui era uscito. "Gallici... senza rispetto né timore." aveva proferito ironico il nobile mentre si volgeva a fissare Publio Valerio e suo padre. "Dovrebbe essere ucciso per questo gesto." aveva sentenziato subito dopo, cogliendo il bagliore di paura negli occhi di Gaia. "Suvvia, giovane Ateius. Hai provato la sua forza, sicuramente non ci è utile da morto." aveva scherzato il centurione cercando di farlo desistere, e così era stato. I tre erano successivamente andati a illustrare l'arena ad Ateius, lasciando Gaia in attesa, sola. Non aveva perso un minuto, la ragazza. Era andata a recuperare dell'acqua fresca e aveva imbevuto la sua mantilla  del colore del cielo notturno nel liquido. Era tornata dai soldati, aveva congedato tutti e aveva trattenuto il reduce. Lo aveva fatto sedere a terra con un tono di rimprovero, e si era subito prestata a fasciarne il braccio ferito con il velo imbevuto. Fearghal aveva provato immediatamente sollievo al contatto con la stoffa fresca, e con la sua Gaia. "Sei gentile, domina" aveva detto solamente, prima di lasciarle un bacio veloce sulla guancia. Una voce aveva interrotto quella conversazione, quella del figlio di Bellicus: "Oh! Cosa vedo!? Mia moglie che riserva gentilezze ad un nemico, quando dovrebbe essere felice della sua disfatta." l'aveva strattonata e fatta rialzare, incurante, ancora una volta, del suo stato. Le aveva riservato uno schiaffo talmente potente da rimandarla a terra, ai piedi di Fearghal, che le aveva evitato la caduta peggiore reggendole un braccio. Lo avrebbe ucciso seduta stante. Le aveva poi sputato addosso e se n'era andato , seguito da Bellicus che tentava di accampare delle scuse a Valerio, che nel mentre si era affrettato a soccorrere la figlia, rivolgendo uno sguardo riconoscente a Fearghal e non riservando alcuna cortesia per il congedo degli ospiti.

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