Capitolo 2 (2^parte)

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Bat la guardò, poi si girò e attraversò tutto rigido il locale, diretto al bancone. Afferrò il Cacciatore per il bavero del giaccone... o almeno allungò la mano per farlo, ma il ragazzo era già in piedi e si girò con un movimento fluido. «Qual è il tuo problema, lupo mannaro?» La mano di Bat era ancora protesa. «Sei sordo, Nephilim?» urlò. «C'è un ragazzino morto nel vicolo. Uno dei nostri.» «Vuoi dire un licantropo o qualche altra specie di Nascosto?» Lo sconosciuto inarcò le sopracciglia chiare. «Faccio una gran confusione, con voi altri.» Risuonò un ringhio sommesso... Era Freaky Pete, notò Maia con una certa sorpresa. Era rientrato nel bar ed era circondato dal resto del branco, gli occhi fissi sul Cacciatore. «Era solo un marmocchio» disse Pete. «Si chiamava Joseph.» Il nome non le diceva niente, ma Maia vide la mascella di Pete serrarsi e si sentì le farfalle nello stomaco. Il branco adesso era sul sentiero di guerra, e se il Cacciatore aveva un briciolo di buonsens
o doveva fare una precipitosa marcia indietro. Ma non ce l'aveva. Se ne stava lì a guardarli con quegli occhi dorati e quel sorriso ironico sul viso. «Un piccolo licantropo?» domandò. «Era uno del branco» disse Pete. «Aveva solo quindici anni.»
«E cosa ti aspetti che io faccia esattamente al riguardo?» chiese il ragazzo. Pete lo fissava incredulo.«Sei un Nephilim» disse.
«Il Conclave ci deve protezione, in casi come questo.» Il ragazzo si guardò intorno nel bar,
lentamente e con un'espressione così insolente che il viso di Pete si fece paonazzo.
«Qui non vedo niente da cui dovreste essere protetti» disse. «A parte l'arredamento orribile e qualche problema di muffa. Ma di solito la si può eliminare con la candeggina.»
«Fuori dalla porta di questo bar c'è un ragazzo morto» disse Bat, articolando le parole con cura. «Non credi che...?»
«Credo che sia un po' troppo tardi perché possa avere bisogno di protezione» disse il ragazzo «se è già morto.» Pete continuava a fissarlo. Gli si erano appuntite le orecchie e, quando parlò, la sua voce risuonò attutita da
i canini che si stavano ispessendo. «Devi stare attento, Nephilim» disse. «Devi stare molto attento.» Il ragazzo lo guardò con occhi velati. «Dici?» «Dunque non hai intenzionedi alzare un dito?» chiese Bat. «È così?» «Ho intenzione di finire il mio drink» disse il ragazzo dando un'occhiata al bicchiere mezzo pieno ancora sul bancone. «Sempre che tu me lo permetta.»
«Dunque è questo l'atteggiamento del Conclave a una settimana dagli Accordi?» domandò Pete disgustato. «La morte dei Nascosti non significa niente per voi?» Lo sconosciuto sorrise e Maia sentì un formicolio alla spina dorsale. Era tale e quale a Daniel un istante prima di allungare una mano e strappare le ali a una coccinella. «È proprio tipico di voi Nascosti» disse il ragazzo «aspettare che il Conclave vi tolga le castagne dal fuoco. Come se potessimo essere disturbati solo perché uno stupido marmocchio ha deciso di riempire di sangue il vostro vicolo...» E usò una parola, una parola per indicare i lupi mannari che loro non usavano mai, una parola terribilmente spiacevole, che alludeva a un rapporto indecente tra lupi e donne umane. Prima che chiunque altro potesse muoversi, Bat si scagliò contro il Cacciatore... che però era sparito. Bat inciampò e si girò di scatto, guardandosi attorno. Il branco sussultò. Maia rimase a bocca aperta. Il giovane Cacciatore era in piedi sul bancone a gambe larghe. Sembrava davvero un angelo vendicatore pronto ad amministrare la giustizia divina dall'alto, com'era il destino dei suoi simili. Poi allungò una mano e piegò le dita verso di sé, rapidamente, un gesto che Maia conosceva da
i campi giochi, e che significava Venite a prendermi... Il branco si scagliò contro di lui.
Bat e Amabel si arrampicarono sul bancone; il ragazzo roteò su se stesso così velocemente che lo specchio dietro il bancone rimandò solo un riflesso indistinto. Maia lo vide tirare calci e i due si ritrovarono a terra, gemendo in una pioggia di vetri infranti. Sentì il ragazzo ridere, mentre qualcun altro si protendeva verso l'alto e lo tirava giù. Lo vide sprofondare nella folla con una facilità che suggeriva che lui l'avesse fatto apposta. Poi lo perse di vista, vide solo un intreccio di braccia e gambe che si agitavano. Eppure le parve di udirlo ridere mentre balenava un bagliore metallico ma lama di un coltello e si
sentì trattenere il fiato. «Basta.» Era la voce di Luke, calma e regolare come un battito cardiaco. Strano com'era inconfondibile la voce del capobranco. Maia si girò e lo vide in piedi all'ingresso del bar, una mano appoggiata al muro. Non sembrava
semplicemente stanco, ma devastato,come se qualcosa lo lacerasse dall'interno; nonostante ciò, la sua voce era tranquilla, quando ripeté: «Basta. Lasciate stare il ragazzo.» Il branco si ritrasse e Bat rimase solo accanto al Cacciatore, l'espressione di sfida, una mano ancora serrata sul suo giaccone e l'altra chiusa sul manico di un coltello a lama corta. Quanto al ragazzo,
aveva il viso sporco di sangue ma non sembrava afatto uno che avesse bisogno di essere salvato; sogghignava con un'aria pericolosa e tagliente quanto i vetri rotti sparsi sul pavimento. «Non è un ragazzo» disse Bat. «È un Cacciatore.»
«Sono benvenuti, qui, i Cacciatori» disse Luke in tono neutro. «Sono nostri alleati.»
«Ha detto che non gli importava» replicò Bat furioso «di Joseph...»
«Lo so» disse Luke in tono tranquillo. I suoi occhi si spostarono sul ragazzo biondo. «Sei venuto qui apposta per attaccare briga, Jace Wayland?» Il ragazzo sorrise, protendendo il labbro spaccato dal quale gli corse sul mento un rivoletto di sangue. «Luke.» Bat, sorpreso nel sentire pronunciare dal Cacciatore il nome di battesimo del capobranco, mollò la
presa. «Non sapevo...»
«Non c'è niente da sapere» disse Luke, mentre la stanchezza che aveva negli occhi gli si insinuava nella voce. Freaky Pete attaccò a parlare con un rombo profondo. «Ha detto che al Conclave non importa nulla
della morte di un licantropo, anche se si tratta di un ragazzino. Ed è passata appena una settimana dagli Accordi, Luke.»
«Jace non parla a nome del Conclave» osservò Luke. «E non c'è nulla che possa fare, anche volendo. Non è così?» Guardò Jace, che era pallidissimo. «Come fai...»
«So cosa è successo» disse Luke. «Con Maryse.» Jace si irrigidì e per un istante, sotto l'espressione crudelmente divertita
che ricordava quella di Daniel, Maia scorse qualcos'altro, qualcosa di cupo e angoscioso che le rammentò più i propri occhi allo specchio che quelli del fratello. «Chi te l'ha detto? Clary?»
«No, non Clary.» Maia non aveva mai sentito Luke pronunciare quel nome in passato, ma dal suo tono era chiaro che si trattava di qualcuno di speciale sia per lui che per il giovane Cacciatore. «Sono il capobranco, Jace. Vengo a sapere le cose. Avanti, adesso. Andiamo a parlare nell'ufficio di Pete.» Jace esitò un istante, quindi scrollò le spalle. «Va bene» disse. «Ma mi sei debitore dello scotch che non ho bevuto
«Era la mia ultima ipotesi» disse Clary con aria sconfitta, afflosciandosi sui gradini del Metropolitan Museum of Art e guardando sconsolata lungo la Fifth Avenue. «Era buona.» Simon le si sedette accanto, le lunghe gambe allargate davanti a sé. «Voglio dire, è un tipo che ama le armi e che uccide, era giusto tentare con la più grande collezione di armi di tutta la città. E comunque, sono sempre disponibile per fare una visita anche alla sezione Armi e Armature. Mi fa venire idee per la mia campagna militare.» Clary lo guardò stupita. «Fai ancora i giochi di ruolo con Eric, Kirk e
Matt?»
«Certo. Perché non dovrei?»
«Pensavo che per te il gioco avesse perso il suo fascino, da quando...» Da quando la nostra vita reale ha cominciato ad assomigliare a una delle tue campagne militari. Con tanto di buoni, cattivi, magia nera e oggetti incantati da trovare se volevi vincere. Solo che nel gioco i buoni vincevano
sempre, sconfiggevano i cattivi e se ne tornavano a casa con il tesoro, mentre nella
vita reale loro avevano perso il tesoro. E volte Clary non aveva un'idea tanto chiara di chi fossero davvero i buoni e i cattivi. Guardò Simon e fu assalita da un'ondata di tristezza. Se lui avesse rinunciato a giocare sarebbe stato colpa sua. Com'era stata colpa sua tutto quellk che gli era capitato nelle settimane precedenti. Rammentò il viso cereo di Simon davanti al lavello, quella mattina, subito prima che lui la baciasse.
«Simon...» cominciò.
«Adesso ho il ruolo di un chierico mezzo troll che vuole vendicarsi degli Orchi che gli hanno ammazzato la famiglia» disse lui in tono allegro. «È fantastico.» Clary rise, e in quel preciso istante il suo cellulare squillò. Lo tirò fuori di tasca e lo aprì. Era Luke. «Non
l'abbiamo trovato» gli disse prima che potesse salutarla.
«Voi no. Ma io sì.» Clary si drizzò a sedere. «Stai scherzando. È lì? Posso parlargli?» Vide Simon lanciarle un'occhiata penetrante e abbassò la voce. «Sta bene?»
«Più o meno.»
«Che vuol dire più o meno?»
«Ha attaccato briga con un branco di
lupi mannari. Ha un po' di ferite e di contusioni.» Clary socchiuse gli occhi. Perché,
oh, perché aveva attaccato briga con un branco di lupi? Che cosa gli era preso? Ma in fondo era tipico di Jace. Avrebbe litigato anche con un camion, se ne avesse sentito l'impulso.
«Credo che dovresti venire qui» disse Luke. «Qualcuno deve parlargli, e io non ho molto successo.»
«Dove siete?» chiese Clary. Glielo disse: in un bar chiamato Hunter's Moon, in Hester Street. Clary si chiese se non fosse camuffato da un incantesimo. Chiuse il telefono e si rivolse a Simon, che la fissava con le sopracciglia inarcate.
«Il figliol prodigo è tornato?»
«Più o meno.» Clary si alzò in piedi e si sgranchì le gambe stanche, calcolando mentalmente quanto avrebbero impiegato ad arrivare a Chinatown in metropolitana o se valesse la pena di investire la piccola somma che Luke le aveva dato per prendere un taxi. Meglio di no, decise, se fossero rimasti imbottigliati nel traffico ci avrebbero messo più che in metro.
«... vengo con te?» sentì che Simon diceva, alzandosi. Era un gradino sotto di lei, perciò erano quasi alla stessa altezza. «Che ne pensi?»
Lei aprì la bocca, poi la richiuse di scatto. «Ehm...» Simon assunse un'espressione rassegnata. «Non hai sentito una sola parola di quello che ho detto negli ultimi due minuti, vero?»
«No» ammise Clary. «Stavo pensando a Jace. A quanto pare è in pessima forma. Mi dispiace.» Gli occhi bruni di Simon si incupirono. «Se ho ben capito stai correndo a
fasciargli le ferite?»
«Luke mi ha chiesto di raggiungerli» disse lei. «Speravo che mi accompagnassi.» Simon diede un calcio al gradino sopra al suo con il piede calzato nello stivale. «Vengo, ma... a che scopo? Luke non può riportarlo all'Istituto senza il tuo aiuto?»
«Probabilmente sì. Ma crede che forse Jace vorrà parlare con me, prima.»
«Pensavo che magari questa sera potevamo fare qualcosa insieme» disse Simon. «Qualcosa di divertente. Vedere un film. Cenare a Downtown.» Clary lo guardò. In sottofondo, sentiva borbottare l'acqua della fontana del museo. Pensò alla cucina della casa di Simon, alle sue mani umide fra i capelli, ma sembrava tutto così lontano,anche se poteva vederlo, come... si potrebbe ricordare la foto di un incidente senza ricordare l'incidente.
«È mio fratello» disse. «Devo andare Simon sembrò troppo stanco per sospirare. «A
llora vengo con te.» L'ufficio sul retro dell'Hunter's Moon era in fondo a uno stretto corridoio coperto da uno strato di segatura smossa qua e là da impronte di piedi e macchiata da un liquido scuro che non
sembrava birra. Tutto il posto odorava di fumo, di selvaggina e Clary dovette ammetterlo, anche se non l'avrebbe detto a Luke  di cane bagnato. «Non ha certo un umore fantastico» annunciò Luke indugiando davanti a una porta chiusa. «L'ho chiuso nell'ufficio di Freaky Pete dopo che aveva
quasi ucciso metà del branco a mani nude. Con me non ha voluto parlare, perciò» Luke scrollò le spalle «ho pensato a te.» Spostò lo sguardo dal viso sconcertato di Clary a quel
lo di Simon. «Che c'è?»
«Non posso credere che Jace sia venuto qui» disse Clary.
«E io non posso credere che tu conosca uno che si chiama Freaky Pete»osservò Simon.
«Conosco un sacco di persone» disse Luke. «Non che Freaky Pete possa definirsi propriamente una persona,ma chi sono io per giudicare?» Spalancò la porta dell'ufficio. Era una stanza spoglia, senza finestre, con le pareti tappezzate di gagliardetti sportivi. C'era una scrivania ingombra di carte, con sopra un piccolo televisore, e dietro, su una sedia dalla pelle talmente logora da sembrare marmo venato, era seduto Jace.
Nell'istante in cui la porta si aprì, Jace afferrò una matita gialla posata sulla scrivania e la lanciò. La matita volò in aria, colpì la parete a un centimetro dalla testa di Luke e vi si conficcò vibrando. Luke sgranò gli occhi. Il Cacciatore sorrise debolmente. «Scusa, non mi sono reso conto che eri tu.»
Clary si sentì stringere il cuore. Non vedeva Jace da alcuni giorni, e in qualche modo sembrava diverso, non solo per via della faccia insanguinata e delle contusioni,
chiaramente nuove di zecca... La pelle del viso pareva più tesa, le ossa più sporgenti. Luke indicò Simon e Clary con un gesto della mano. «Ci sono visite per te.» Gli occhi di Jace si spostarono su di loro. Erano inespressivi, come fossero dipinti. «Purtroppo» disse
«avevo solo quell'unica matita.» «Jace...» cominciò Luke. «Non lo voglio qui dentro.» Jace indicò Simon con il mento.
«È veramente ingiusto.» Clary era indignata. Aveva dimenticato che Simon aveva salvato la vita ad Alec e forse a tutti loro?

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