Capitolo 15 (3^parte)

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Sotto, la pelle era punteggiata di gocce di sangue.
«Volevo solo dire» continuò Alec «che non capisco come tu potessi aver voglia di vederlo, non tanto dopo quello che ha fatto in generale,ma dopo quello che ha fatto
a te.» Jace rimase in silenzio.
«Tutti quegli anni» disse Alec. «Ti ha lasciato credere che fosse morto. Forse tu non ricordi com'erano le cose, quando avevi dieci anni, ma io sì. Nessuna persona che
ti ama può fare... una cosa simile.» Sottili rivoli di sangue scorrevano sulle mani di Jace come uno spago
rosso che si dipanava. «Valentine mi ha detto» disse con calma «che se lo appoggiavo contro il Conclave, se
lo facevo, si sarebbe assicurato che non venisse fatto del male a nessuno a cui tenevo. Né a te, né a Isabelle, né a Max. E neppure ai tuoi genitori. Ha detto...»
«Non sarebbe stato fatto del male a nessuno?» gli fece eco Alec in tono derisorio. «Vuoi dire che non gli avrebbe fatto del male personalmente. Bello.»
«Ho visto cosa è capace di fare, Alec. Il tipo di forza demoniaca che può invocare. Se guiderà il suo esercito di demoni contro il Conclave, ci sarà una guerra. E la gente si fa male, in guerra. Muore, in guerra.» Esitò. «Se tu avessi la possibilità di salvare tutti quelli che ami...»
«Ma che genere di possibilità è? E che valore può avere la parola di Valentine?»
«Se giura sull'Angelo che farà una cosa, la farà.»
«Se tu lo appoggi contro il Conclave.» Jace annuì.
«Si deve essere incavolato da matti quando hai rifiutato» osservò Alec. Jace alzò lo sguardo dai polsi sanguinanti e lo fissò. «Che cosa?»
«Ho detto...»
«Lo so cosa hai detto. Cosa ti fa pensare che io abbia rifiutato?»
«Be', l'hai fatto... non è vero?» Molto lentamente, Jace annuì.
«Ti conosco» disse Alec con una sicurezza sconfinata, e si alzò. «Hai raccontato all'Inquisitrice di Valentine e dei suoi piani, vero? E lei se n'è fregata!»
«Non direi che se n'è fregata. Diciamo piuttosto che non mi ha creduto. Ha un piano con cui pensa di sconfiggere Valentine. L'unico problema è che il suo piano fa schifo.» Alec annuì. «Su questo mi aggiornerai più tardi. Prima le cose importanti: dobbiamo capire come farti uscire di qui.»
«Che cosa?» L'incredulità diede delle lievi vertigini a Jace. «Pensavo che volessi farmi filare in prigione senza passare dal Via e incassare i duecento dollari. "La Legge è Legge, Isabelle."Cos'è, ti divertivi solo a fare lo sputasentenze?»Alec cadde dalle nuvole. «Non puoi aver creduto che dicessi sul serio. Volevo solo che l'Inquisitrice si fidasse di me, in modo che ora non stia
tutto il tempo a controllarmi come fa con Izzy e Max. Sa che loro sono dalla tua parte.»
«E tu? Tu sei dalla mia parte?» Jace sentì il tono rude
della propria domanda e fu quasi sopraffatto dall'idea
di quanto fosse importante la risposta.
«Io sono con te» disse Jace. «Sempre.Che bisogno hai di chiedermelo? Io rispetto la Legge, ma quello che ti ha fatto l'Inquisitrice non ha niente a che vedere con la Legge. Non so esattamente cosa bolle in pentola, ma l'odio che lei nutre per te è personale. Non ha niente a che vedere con il Conclave.»
«Io la provoco» disse Jace. «È più forte di me. I burocrati malvagi mi irritano.» Alec scosse la testa. «Non è neanche per questo. È un odio antico. Lo sento.» Jace stava per replicare, quando le campane della cattedrale si misero a suonare. Lì, vicino al tetto, i rintocchi echeggiavano forte. Alzò lo sguardo... quasi aspettandosi di vedere Hugo volteggiare fra le travi di legno in cerchi lenti, pensosi. Al corvo era sempre piaciuto starsene lassù, fra le travi e le arcate di pietra. Un tempo Jace pensava che all'uccello piacesse
conficcare gli artigli nel legno morbido; ora si rese conto che le travi gli fornivano un ottimo punto di osservazione. Un'idea cominciò a prendere forma in un angolino della sua mente, vaga e oscura. Ad alta voce disse soltanto: «Luke ha accennato al fatto che l'Inquisitrice aveva un figlio di nome Stephen. E che stava cercando di vendicarne la morte. Quando le ho chiesto di lui, è andata in paranoia. Forse questo potrebbe spiegare perché mi odia tanto.» Le campane avevano smesso di suonare.Alec disse: «Forse. Potrei chiedere ai miei genitori, ma dubito che me lo direbbero.»
«No, non chiederlo a loro. Chiedilo a Luke.»
«Stai dicendo che mi tocca rifare tutta la strada fino a Brooklyn? Senti, uscire di qui sarà quasi impossibile...»
«Usa il telefono di Isabelle. Scrivi un sms a Clary. Dille di chiedere a Luke.»
«Okay.» Alec rimase un istante in silenzio. «Vuoi che le dica qualcos'altro da parte tua? A Clary, dico, non a Isabelle.»
«No» rispose Jace. «Non ho niente da dirle.»
«Simon!» Clary si girò verso Luke stringendo il telefono. «Dice che qualcuno sta cercando di entrare
con la forza in casa sua.»
«Digli di andarsene da lì.»
«Non posso andarmene da qui» ribatté Simon inquieto. «A meno di non voler prendere fuoco.»
«È giorno» spiegò Clary a Luke, ma vide che aveva già capito il problema e si stava frugando nelle tasche. Le chiavi della macchina. Le alzò e gliele fece vedere.
«Di' a Simon che stiamo arrivando. E che si chiuda in una stanza finché non siamo lì.»
«Hai sentito? Chiuditi in una stanza.»
«Ho sentito.» La voce di Simon sembrava tesa; Clary sentì qualcosa che strusciava, poi un tonfo pesante.
«Simon!»
«Sto bene. Sto solo ammucchiando roba davanti alla porta.»
«Che tipo di roba?» Ora Clary era sulla veranda e tremava nella maglia leggera. Luke, dietro di lei, stava chiudendo la porta a chiave.
«Una scrivania» rispose Simon con una certa soddisfazione. «E il letto.»
«Il letto?» Clary montò sul pick-up accanto a Luke e trafficò per allacciarsi la cintura con una mano sola, mentre Luke lasciava a tutta birra il vialetto e percorreva a razzo Kent Avenue. Allungò la mano e la agganciò al suo posto. «Come hai fatto a sollevare il letto?»
«Dimentichi la superforza dei vampiri.»
«Chiedigli cosa sente» disse Luke. Sfrecciavano sull'asfalto, il che avrebbe potuto essere fantastico se il lungofiume di Brooklyn fosse stato in condizioni migliori. Ogni volta che prendevano una buca Clary rimaneva senza fiato.
«Che cosa senti?» chiese trattenendo il respiro.
«Ho sentito la porta d'ingresso spalancarsi con un gran fracasso. Devono averla aperta con un calcio. Poi Yossarian è corso come un lampo nella mia stanza e si è nascosto sotto il letto. Quindi c'è sicuramente qualcuno in casa.»
«E ora?»
«Ora non sento niente.»
«Meglio così, no?» Clary si rivolse a Luke. «Dice che ora non sente niente. Forse se ne sono andati.»
«Forse.» Luke sembrava dubbioso. Adesso erano sulla strada a scorrimento rapido diretti al quartiere di Simon. «Comunque tienilo al telefono.»
«E adesso cosa fai, Simon?»
«Niente. Ho spinto tutto quello che c'è nella stanza contro la porta. Ora sto provando a far uscire Yossarian da dietro la bocchetta del riscaldamento.»
«Lascialo dov'è.»
«Sarà molto difficile spiegare tutto questo a mia madre» disse Simon, dopodiché la comunicazione si interruppe. Ci fu un clic e poi nient'altro. CHIAMATA TERMINATA, balenò sul display digitale.
«No. NO!» Clary schiacciò il tasto di richiamata con dita tremanti. Simon rispose subito. «Scusa. Yossarian mi ha graffiato e m'è caduto il telefono.» Clary si sentì bruciare la gola per il sollievo. «Non c'è problema, basta che tu stia bene e...» Attraverso l'apparecchio risuonò un fragore simile a un'ondata che cancellò la voce di Simon. Clary allontanò il telefono dall'orecchio. Il display segnalava ancora CHIAMATA IN CORSO.
«Simon!» gridò nel telefono. «Simon, mi senti?»
Il fragore cessò. Si sentì qualcosa andare in frantumi e un urlo acuto, disumano... Poi il rumore di qualcosa di pesante che cadeva a terra.
«Simon?» sussurrò Clary. Ci fu un clic, quindi le risuonò nell'orecchio una voce strascicata e divertita: «Clarissa. Avrei dovuto saperlo che c'eri tu all'altro
capo del telefono.» Clary strinse forte gli occhi sentendosi lo stomaco sotto i piedi, come se stesse sulle montagne russe dopo aver affrontato la prima discesa. «Valentine.»
«Padre, vorrai dire» disse lui con aria sinceramente seccata. «Deploro l'abitudine moderna di chiamare
i propri genitori per nome.»
«In realtà i modi con cui vorrei chiamarti sono dannatamente più osceni del tuo nome» ribatté Clary brusca. «Dov'è Simon?»
«Vuoi dire il ragazzo vampiro? Una compagnia discutibile per una Cacciatrice di buona famiglia, non credi? D'ora in avanti mi aspetto di avere voce in capitolo nella scelta dei tuoi amici.»
«Che cosa hai fatto a Simon?»
«Niente» rispose Valentine divertito. «Per ora.» E attaccò. Quando Alec tornò nella sala addestramento, Jace era disteso a terra e sognava file di ragazze che ballavano nel tentativo di scordare il dolore ai polsi. Non funzionava.
«Che cosa fai?» chiese Alec, inginocchiandosi quanto più possibile vicino alla parete scintillante della prigione. Jace provò a ricordarsi che, quando Alec faceva quel tipo di domande, le faceva sul serio, e che una volta la trovava una cosa più simpatica che irritante. Invano.
«Pensavo di starmene un po' steso sul pavimento a contorcermi dal dolore» grugnì. «Mi rilassa.»
«Davvero? Oh... fai del sarcasmo, buon segno, no?» disse Alec. «Se puoi sederti, ti consiglio di farlo. Proverò a farti scivolare qualcosa attraverso la parete.» Jace si mise seduto talmente in fretta che gli girò la testa. «Alec, no...» Ma Alec si era già mosso e spingeva qualcosa verso di lui con tutte e due le mani, come se facesse rotolare una palla verso un bambino. Una piccola sfera rossa attraversò la cortina scintillante e rotolò fino a Jace, andandogli a sbattere delicatamente sul ginocchio.
«Una mela.» La raccolse con qualche difficoltà. «Proprio quel che ci voleva.»
«Ho pensato che magari avevi fame.»
«E ce l'ho.» Jace diede un morso alla mela; il succo gli colò sulle mani e sfrigolò nelle fiamme azzurre che gli ammanettavano i polsi. «Hai mandato il messaggio a Clary?»
«No. Isabelle non vuole farmi entrare nella sua stanza. Lancia oggetti contro la porta e urla. Ha detto che se
entravo si sarebbe buttata dalla finestra. E ne sarebbe pure capace.»
«Probabile.»
«Ho la sensazione» disse Alec con un sorriso «che non mi abbia perdonato di averti tradito, per come la vede lei.»
«Brava ragazza» disse Jace riconoscente.
«Ma io non ti ho tradito, stupido.»
«È il pensiero che conta.»
«Bene, perché ti ho portato anche qualcos'altro. Non so se funzionerà, ma vale la pena di tentare.» Fece scivolare un piccolo oggetto metallico attraverso la parete. Era un dischetto argenteo grande più o meno quanto un quarto di dollaro. Jace mise da parte la
mela e lo raccolse con aria curiosa.
«Che cos'è?»
«L'ho preso dalla scrivania in biblioteca. In passato ho visto i miei usarlo per distruggere ogni tipo di aggeggio. Credo sia una runa di Sblocco. Vale la pena provare...» Si interruppe, mentre Jace si portava il dischetto ai polsi, tenendolo goffamente tra due dita. Nel momento in cui toccò la striscia di fiamma azzurra, le manette tremolarono e scomparvero.
«Grazie.» Jace si strofinò i polsi, ognuno circondato da una riga di pelle irritata e sanguinante. Ricominciava a sentirsi la punta delle dita. «Non è una lima nascosta nella torta di compleanno, ma impedirà alle mie mani di
staccarsi.» Alec lo guardò. Le linee vacillanti della cortina di pioggia rendevano il suo viso allungato, preoccupato... e forse lo era davvero.
«Sai, quando prima ho parlato con Isabelle mi è venuta in mente una cosa. Le ho detto che non poteva buttarsi dalla finestra... e di non provarci, o si sarebbe sfracellata.» Jace annuì. «Mi sembra un buon consiglio da fratello maggiore.»
«Ma poi ho cominciato a chiedermi se fosse vero anche nel tuo caso... voglio dire, ti ho visto fare cose che equivalevano praticamente a volare. Ti ho visto cadere dal terzo piano e atterrare come un gatto, saltare da terra su un tetto e...»
«Sentire enumerare le mie imprese è sicuramente gratificante, ma non capisco che cosa intendi dire, Alec.»
«Voglio dire che questa prigione ha quattro pareti, non cinque.» Jace lo fissò. «Allora Hodge non mentiva quando diceva che si usa la geometria nella vita di tutti i giorni. Già, hai ragione, Alec, questa gabbia ha quattro pareti. Ora, se l'Inquisitrice ne avesse erette solo due, potrei...»
«JACE» disse Alec, perdendo la pazienza. «Voglio dire che la gabbia non ha tetto. Non c'è niente tra te e il soffitto.» Jace rovesciò la testa. Le travi sembravano ondeggiare in alto, sopra di lui, perse nell'ombra. «Sei pazzo.»
«Può darsi» disse Alec. «O può darsi che io sappia semplicemente di cosa sei capace.» Scrollò le spalle. «Potresti provare, almeno.» Jace fissò Alec... il suo viso aperto, sincero e gli occhi azzurri dallo sguardo fermo.
È pazzo, pensò. Era vero, nell'ardore della battaglia aveva fatto cose sorprendenti, come tutti loro, del resto. Sangue di Cacciatore, anni di addestramento... ma non poteva fare un salto di nove metri. Come fai a sapere che non puoi,disse una voce sommessa nella sua testa, finché non ci provi?La voce di Clary. Pensò a lei e alle sue rune, alla Città Silente e alle manette che gli erano saltate via dal polso come se si fossero spezzate sotto un'enorme pressione. Lui e Clary avevano lo stesso sangue. Se Clary poteva fare cose ritenute impossibili... Si alzò in piedi quasi di malavoglia e si guardò intorno, valutando lentamente la stanza.
Vedeva ancora gli alti specchi e la moltitudine di armi
appese alle pareti, le lame che scintillavano debolmente attraverso la cortina di fuoco argenteo che lo circondava. Si curvò e recuperò da terra la mela mangiata a metà e la guardò un momento soprappensiero... poi allungò il braccio all'indietro e la lanciò in avanti più forte che poté. La mela volò in aria, colpì una lucente parete argentea ed esplose in una corona di fiamme di un colore azzurro liquido. Jace sentì Alec restare senza fiato. Dunque l'Inquisitrice non aveva esagerato. Se avesse colpito troppo forte una delle pareti della prigione, sarebbe morto. Alec si alzò, di colpo tremante. «Jace, non so...»
«Zitto, Alec. E non guardarmi così. Non mi è d'aiuto.»
Qualunque fosse la risposta di Alec, Jace non la sentì. Stava girando lentamente su se stesso, gli occhi concentrati sulle travi. Le rune che gli permettevano di vedere alla perfezione da lontano entrarono in azione, mettendo meglio a fuoco le travi: ne scorgeva i bordi scheggiati, i cerchi concentrici e i nodi, le macchie nere dell'età. Ma erano solide. Sostenevano il tetto dell'Istituto da centinaia di anni. Potevano ben sostenere un ragazzo. Piegò le dita, facendo dei respiri profondi, lenti, controllati, proprio come gli aveva insegnato suo padre. Con gli occhi della mente si vide saltare, librarsi in aria, afferrare una trave con agilità, dondolarsi e montarci sopra. Era leggero, si disse, leggero come una freccia che avanza facilmente
nell'aria, veloce e inarrestabile. Sarebbe stato facile, si disse. Facile.
«Sono la freccia di Valentine» sussurrò. «Che lui lo sappia o meno.» E saltò.

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