«Non credo.» Clary lo sbirciò con la coda dell'occhio. «E poi, non lo trovi terribile? Non dire mai quello che provi veramente?» Questa volta il silenzio si protrasse
finché non ebbero superato il ponte e non rombarono per Orchard Street, fiancheggiata da negozi e ristoranti con belle insegne in tortuosi caratteri cinesi
rossi e dorati. «Sì,lo trovavo terribile. All'epoca pensavo che quanto avevo con te e tua madre fosse meglio di niente. Ma se non puoi dire la verità alle persone a cui tieni di più, alla fine non riesci a dirla
neanche a te stesso.» Nelle orecchie di Clary risuonò un rumore come di acqua che scorreva. Abbassando lo sguardo, vide che aveva schiacciato la tazza di carta vuota che teneva in mano, riducendola a una palla irriconoscibile. «Portami all'Istituto. Per favore.»
Luke la guardò sorpreso. «Pensavo che volessi venire in ospedale.»
«Ti raggiungerò quando avrò finito. Prima c'è una cosa che devo fare.» Il pianterreno dell'Istituto era inondato di luce del sole e di pallidi granellini di polvere. Clary corse lungo lo stretto corridoio tra i banchi, si precipitò verso l'ascensore e spinse il pulsante. «Avanti, avanti» borbottò.
«Avan...» Le porte dorate si aprirono con un cigolio. Nell'ascensore c'era Jace. Nel vederla spalancò gli occhi. «...ti» terminò Clary, lasciando ricadere il braccio.
«Oh. Ciao.» Jace la fissò. «Clary?»
«Ti sei tagliato i capelli» disse lei senza pensarci. Era vero, le lunghe ciocche bionde non gli ricadevano più sul viso, ma erano tagliate in maniera ordinata e regolare. Lo facevano sembrare più garbato, perfino un po' più grande. Era anche vestito con sobria eleganza, maglione blu scuro e jeans. Qualcosa di argenteo gli brillava al collo, appena sotto il bordo del maglione.
Jace si portò una mano alla testa.
«Ah, sì. Me li ha tagliati Maryse.» Bloccò le porte dell'ascensore che cominciavano a richiudersi. «Avevi bisogno di salire all'Istituto?» Clary fece segno di no.
«Volevo solo parlarti.»
«Oh.» Jace sembrò un po' sorpreso. Uscì dall'ascensore, lasciandosi richiudere rumorosamente le porte alle spalle. «Stavo giusto facendo un salto da Taki a prendere qualcosa da mangiare. A nessuno va di cucinare...»
«Capisco» disse Clary pentendosene subito. Che i Lightwood avessero o no voglia di cucinare non era proprio affar suo.
«Possiamo parlare là» disse Jace. Si avviò verso la porta, quindi si fermò e si girò a guardarla. In piedi tra i due candelabri accesi, la cui luce gli gettava una pallida patina dorata sui capelli e sulla pelle, sembrava il ritratto di un angelo. Clary ebbe una stretta al cuore. «Vieni o no?» chiese Jace in tono brusco e tutt'altro che angelico.
«Ah, giusto. Vengo.» Si affrettò a raggiungerlo. Mentre erano diretti da Taki, Clary cercò di tenere la
conversazione lontana da argomenti legati a lei, a Jace, o a lei e Jace. Gli chiese piuttosto come stavano Isabelle, Max e Alec. Jace esitò. Stavano attraversando la First Avenue, spazzata da un vento gelido. Il cielo era di un azzurro senza nuvole... insomma,era una perfetta
giornata autunnale a New York.
«Già, scusa.» Clary fece una smorfia per la propria stupidità. «Devono sentirsi decisamente giù di corda. Con tutte quelle persone uccise che conoscevano.»
«È diverso per noi Shadowhunters» disse Jace. «Siamo guerrieri. Ci aspettiamo la morte in maniera diversa da voi...» Clary non poté trattenere un sospiro. «Mondani.
E questo che stavi per dire, non è vero?»
«Sì» ammise lui. «A volte è difficile anche per me distinguere che cosa sei davvero.» Si erano fermati davanti al locale di Taki, con il tetto concavo al centro e
le finestre oscurate. L'ifrit di guardia all'entrata li squadrò dall'alto in basso con sospettosi occhi rossi.
«Sono Clary.» Jace abbassò lo sguardo su di lei. Il vento le mandava i capelli sul viso. Allungò la mano e poi la ritrasse, in maniera quasi assente. «Lo so.» Dentro il ristorantino, trovarono un séparé d'angolo e ci si infilarono. Il locale era quasi vuoto: Kaelie, la cameriera pixie, era appoggiata con aria indolente al bancone sbattendo pigramente le ali bianco-azzurre. Una volta lei e Jace stavano assieme. Un paio di lupi mannari occupavano un altro séparé. Mangiavano stinchi di agnello crudi e discutevano su chi avrebbe
avuto la meglio in un combattimento: Albus Silente dei libri di Harry Potter o Magnus Bane?
«Albus Silente vincerebbe a mani basse» diceva il primo. «Ha l'Anatema che Uccide, e quello è tosto.» Il secondo licantropo fece un'osservazione tagliente. «Ma Silente non esiste.»
«Credo che neanche Magnus Bane esista» replicò il primo in tono beffardo. «Tu l'hai mai incontrato?»
«Che strano» disse Clary scivolando al suo posto. «Li senti?»
«No. È da maleducati origliare.» Jace studiava il menu, il che diede a Clary l'opportunità di studiare, lui. Non ti guardo mai, gli aveva detto. Ed era vero. O almeno non lo guardava mai come avrebbe voluto, con occhio d'artista, perché si sarebbe persa, distratta ogni volta da un dettaglio: la curva dello zigomo, l'inclinazione delle ciglia, la forma della bocca.
«Mi stai fissando» disse Jace senza alzare gli occhi dal menu. «Perché mi stai fissando? C'è qualcosa che non va?» L'arrivo di Kaelie al loro tavolo le evitò di rispondere. Come penna, notò Clary, la cameriera aveva un ramoscello argenteo di betulla. Rivolse a Clary uno sguardo curioso con i suoi occhi blu. «Avete scelto?»
Presa alla sprovvista, Clary ordinò delle portate a caso dal menu. Jace chiese patatine fritte dolci e un certo
numero di piatti da impacchettare e portare ai Lightwood. Kaelie se ne andò, lasciandosi dietro un lieve odore di fiori.
«Di' ad Alec che mi dispiace per tutto quello che è successo» disse Clary quando Kaelie non poteva sentirla. «E di' a Max che quando vuole lo porterò al Pianeta Proibito.»
«Solo i mondani dicono "mi dispiace" quando quello che intendono veramente è "condivido il tuo dolore"» osservò Jace. «Non hai colpa di nulla, Clary.» A un tratto i suoi occhi ebbero un lampo di odio. «La colpa è di Valentine.»
«Se ho capito bene, non ha lasciato...»
«Tracce? No. Direi che si è nascosto da qualche parte per finire quello che ha iniziato con la Spada. Dopodiché...» Jace fece spallucce.
«Dopodiché cosa?»
«Non lo so. È pazzo. È difficile prevedere le mosse di
un pazzo.» Ma evitò i suoi occhi, e Clary capì cosa stava pensando: Sarà la guerra. Era quello che voleva Valentine. La guerra contro gli Shadowhunters. E l'avrebbe avuta. Il dubbio era solo dove avrebbe sferrato il primo colpo. «In ogni caso, dubito che sia di questo che sei venuta a parlarmi, giusto?»
«Sì.» Adesso che il momento era giunto, Clary aveva difficoltà a trovare le parole. Si scorse riflessa sulla
superficie argentea del portatovagliolo. Cardigan bianco, viso bianco, rossore febbrile sulle guance. In effetti, sembrava che avesse la febbre. Se la sentiva anche un po'. «Sono due giorni che voglio parlarti...»
«Ma va'!» La voce di Jace era insolitamente acuta. «Tutte le volte che ti ho chiamato, Luke ha detto che stavi male. Ho immaginato che mi stessi evitando. Di nuovo.»
«Non era così.» Le sembrò che tra di loro si aprisse un enorme spazio vuoto, sebbene il séparé non fosse poi
così grande e non fossero seduti tanto lontani l'uno dall'altra. «Avevo una gran voglia di parlarti. Ti ho pensato in continuazione.» Jace fece un verso di sorpresa e allungò le mani al di sopra del tavolo. Lei le prese, mentre veniva travolta da un'ondata di sollievo. «Anch'io ti ho pensato.» La stretta sulle sue mani era calda, confortante, e Clary si ricordò di come lo aveva abbracciato a Renwick mentre si dondolava avanti e indietro tenendo in mano il frammento di Portale insanguinato che era tutto ciò che gli rimaneva dalla sua vecchia vita. «Stavo davvero male. Lo giuro. Sono
quasi morta sulla nave, lo sai.» Jace le lasciò la mano, ma la fissava, quasi volesse imprimersi il suo viso nella memoria. «Lo so. Ogni volta che tu stai per morire, sto per morire anch'io.» Le sue parole le fecero sobbalzare il cuore nel petto, come se avesse ingoiato una sorsata di caffeina pura. «Jace. Sono venuta a dirti che...»
«Aspetta. Lascia parlare me per primo.» Sollevò le mani come per respingere le parole che stava per pronunciare. «Prima che tu dica qualcosa, volevo scusarmi con te.»
«Scusarti? Per cosa?»
«Per non averti ascoltato.» Jace si passò tutte e due le mani tra i capelli e Clary notò una piccola cicatrice, una
minuscola linea argentea, sul lato della gola. «Continuavi a dirmi che non potevo avere quello che volevo da te, e io continuavo a farti pressione, a farti pressione e a non darti retta. Volevo soltanto che io e te ce ne infischiassimo di quello che avrebbe detto
chiunque altro.» A Clary si seccò di colpo la bocca, ma, prima che potesse dire qualcosa, Kaelie fu di ritorno con le patatine per Jace e alcuni piatti per lei. Abbassò
lo sguardo su quello che aveva ordinato: un frappé verde, qualcosa che sembrava un hamburger crudo e un piatto di grilli affogati nel cioccolato. Non che facesse differenza; aveva un tale nodo allo stomaco che non poteva neanche prendere in considerazione l'idea di mangiare.
«Jace» disse appena la cameriera se ne fu andata.
«Tu non hai fatto nulla di sbagliato.
Tu...»
«No. Lasciami finire.» Jace aveva gli occhi abbassati sulle patatine, come se contenessero i segreti dell'universo. «Clary, devo dirlo adesso o... o mai più.» Le parole gli ruzzolarono fuori a precipizio: «Pensavo di aver perso la mia famiglia. E non intendo Valentine. Intendo i Lightwood. Pensavo che avessero chiuso con me. Pensavo che al mondo non mi rimanesse altri che te. Io... io ero folle per questa perdita e me la sono presa con te. E mi dispiace. Avevi ragione.»
«No. Sono stata sciocca. Sono stata crudele con te...»
«Avevi tutto il diritto di esserlo.» Jace alzò gli occhi
per guardarla, e a un tratto Clary si rammentò stranamente di quando aveva quattro anni ed era sulla spiaggia e s'era messa a piangere quando il vento si levò e fece volar via il castello di sabbia che aveva costruito. Sua madre le aveva detto che se ne aveva voglia poteva farne un altro, ma questo non l'aveva fatta smettere di piangere, perché ciò che aveva creduto eterno, dopotutto, non lo era: era solo fatto di sabbia che si dissolveva al tocco del vento o dell'acqua. «Quello che dicevi era vero. Non viviamo né amiamo nel vuoto. Intorno a noi ci sono persone che ci vogliono bene e che verrebbero ferite, o persino distrutte, se ci concedessimo di sentire tutto quello che vorremmo sentire. Essere così significherebbe... essere come Valentine.» Pronunciò il nome del padre con un tono così definitivo che a Clary sembrò di sentirsi sbattere una porta in faccia.
«D'ora in poi per te sarò solo un fratello» continuò Jace, e intanto la guardava sperando di vederla
contenta, il che le fece venire voglia di gridare che le stava mandando in pezzi il cuore. «È quello che volevi, non è vero?» Clary impiegò un bel po' a rispondere, e quando lo fece la sua voce le sembrò un'eco che proveniva da molto lontano. «Sì» disse, e si sentì risuonare le onde nelle orecchie, e gli occhi bruciarle, come per effetto della sabbia o della schiuma salata. «È quello che volevo.» Clary saliva intontita i larghi scalini che conducevano alle ampie porte d'ingresso a vetri del Beth Israel. In un certo senso era contenta di essere là piuttosto che in qualsiasi altro posto. Quello che voleva più di ogni altra cosa al mondo era di gettarsi tra le braccia di sua madre e piangere, anche
se non avrebbe potuto spiegarle perché piangeva. E dal momento che non poteva farlo, sedere accanto al letto della madre e piangere le sembrava la migliore alternativa che le restava. Da Taki aveva incassato piuttosto bene. Aveva persino salutato Jace con un abbraccio al momento di andarsene. Non aveva cominciato a piangere finché non era salita sulla metro, e poi si era ritrovata a piangere su tutto quello su cui non aveva ancora pianto, Jace e Simon e Luke e sua madre e perfino Valentine. Aveva pianto abbastanza forte perché l'uomo che le sedeva accanto le offrisse
un fazzoletto di carta. E lei gli aveva gridato: Che
cosa hai da guardare, idiota?,perché è così che si fa
New York. Poi si era sentita un po' meglio. Mentre stava per arrivare in cima alla scala, si rese conto che là sopra c'era una donna. Indossava un lungo mantello scuro sopra un vestito, decisamente non il genere di roba che si vedeva abitualmente a Manhattan. Il
mantello era di un tessuto vellutato scuro e aveva un ampio cappuccio che le nascondeva il viso. Guardandosi intorno, Clary vide che nessun altro, sui gradini o accanto alle porte, sembrava fare caso a quell'apparizione. Un incantesimo, dunque. Raggiunta la cima della scala, si fermò, lo sguardo alzato sulla donna. Continuava a non scorgerne il viso. Le disse: «Senti, se sei qui per vedere me, dimmi alla svelta che cosa vuoi.Adesso non sono proprio dell'umore giusto per tutta questa magia e questi segreti.» Notò che la gente intorno si fermava a fissare quella ragazza matta che parlava al vuoto. Represse l'impulso di fare loro la linguaccia.
«Va bene.» La voce era gentile, stranamente familiare. La donna alzò le mani e tirò indietro il cappuccio. Una cascata di capelli grigi le si riversò sulle spalle. Era la donna da cui Clary si era vista fissare nel cortile del Cimitero Monumentale, la stessa donna che li aveva salvati dal coltello di Malik davanti all'Istituto. Da vicino, Clary vide che aveva il tipo di viso tutto spigoli, troppo a punta per essere grazioso, ma gli occhi erano di un bel color nocciola intenso. «Mi chiamo Madeleine. Madeleine Beliefleur.»
«E...?» fece Clary. «Che cosa vuoi da me?» La donna esitò. «Conoscevo tua madre Jocelyn. Eravamo amiche, a Idris.»
«Non puoi vederla. Niente visite a parte i familiari, finché non si riprenderà.»
«Ma non si riprenderà.» A Clary sembrò che l'avesse schiaffeggiata. «Che cosa?»
«Mi dispiace» disse Madeleine. «Non intendevo turbarti. È solo che io so cosa c'è che non va in Jocelyn e ora non c'è nella che un ospedale mondano possa fare per lei. Quello che le è successo... se l'è fatto da sola, Clarissa.»
«No. Non capisci. Valentine...»
«Lo ha fatto prima che Valentine la trovasse. Per questo non ha potuto strapparle alcuna informazione. Lei aveva progettato tutto. Era un segreto, un segreto che ha condiviso solo con un'altra persona, e solo a un'altra persona ha detto come poteva essere annullato l'incantesimo. Quella persona sono io.»
«Vuoi dire...?»
«Sì» disse Madeleine. «Voglio dire che posso mostrarti come svegliare tua madre.»FINE