Capitolo 18 (3^parte)

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«Non so di cosa parli.» Le battevano i denti.
«Credo di spiegarmi abbastanza bene.» Valentine si era allontanato dalla luce. Nell'oscurità, il suo viso era
appena abbozzato. «Ho visto Jonathan dopo che aveva affrontato il demone della paura, sai. Gli è apparso sotto le tue sembianze. Questo mi ha svelato quanto avevo bisogno di sapere. La più grande paura nella vita di Jonathan è l'amore che prova per sua sorella.»
«Non faccio quanto mi si dice» disse Jace. «Ma potrei fare quello che vuoi, se me lo chiedi in modo carino.»
L'Inquisitrice sembrò voler alzare gli occhi al cielo, ma aveva dimenticato come si faceva. «Devo parlarti.»
Jace la fissò. «Adesso?» Gli mise una mano sul braccio. «Adesso.»
«Sei pazza.» Jace spinse lo sguardo lungo la nave. Sembrava un quadro dell'inferno di Bosch. Le tenebre pullulavano di demoni: si trascinavano, urlavano, emettevano stridae sferravano colpi con gli artigli e con i denti. I Nephilim saettavano di qua e di là, le armi risplendenti nel buio. Jace vedeva già che gli Shadowhunters non erano abbastanza. Neanche lontanamente. «Non se ne parla... siamo nel bel mezzo di una battaglia...» La presa ossuta dell'Inquisitrice era sorprendentemente forte. «Adesso.» Lo spinse, costringendolo a fare un passo indietro, troppo stupito per fare qualcos'altro, e poi un altro, finché non si ritrovarono nella rientranza di una parete. Poi lo lasciò, si frugò nelle pieghe del mantello scuro e tirò fuori due spade angeliche. Ne sussurrò i nomi, oltre a parecchie parole che Jace non conosceva, e le fece volare sul ponte, una su ciascun lato del ragazzo. Si conficcarono a terra, sprigionando una cortina di luce
bianco-azzurra che isolò Jace e l'Inquisitrice dal resto della nave.
«Mi stai imprigionando di nuovo?» chiese Jace fissandola incredulo.
«Questa non è una Configurazione Malachi. Puoi uscirne quando vuoi.» Le sue mani sottili si stringevano spasmodicamente. «Jonathan...»
«Vuoi dire Jace.» Attraverso la parete di luce bianca non vedeva più la battaglia, ma ne sentiva i rumori, le grida e gli urli. Se girava la testa scorgeva solo una piccola porzione di mare che scintillava luminosa come la superficie di uno specchio cosparso di diamanti. C'era una dozzina di navi laggiù, gli agili trimarani usati sui laghi di Idris. Barche dei Cacciatori.
«Che cosa ci fai qui, Inquisitrice? Perché sei venuta?»
«Avevi ragione tu» disse lei. «Su Valentine. Non ha voluto fare lo scambio.»
«Ti ha detto di lasciarmi morire.» Jace si sentì a un tratto stordito.
«Appena ha rifiutato, naturalmente, ho convocato il Conclave e l'ho portato qui. Io... io devo delle scuse a te e alla tua famiglia.»
«Ricevuto» disse Jace. Odiava le scuse. «Alec e Isabelle? Sono qui? Non saranno puniti per avermi aiutato?»
«Sono qui... e no, non saranno puniti.» Continuava a fissarlo con occhi indagatori. «Non capisco Valentine. Che un padre getti via la vita di suo figlio, del suo unico figlio maschio...»
«Già» fece Jace. Gli doleva la testa e avrebbe voluto che stesse zitta o che un demone li attaccasse.
«È un mistero, è vero.»
«A meno che...» Ora la guardò sorpreso.
«A meno che cosa?» Gli tamburellò con il dito sulla spalla. «Questa quando te la sei fatta?» Jace abbassò lo sguardo e vide che il veleno del demone-ragno gli aveva bucato la maglietta, lasciandogli a nudo buona parte della spalla. «La maglietta? Da Macy's. Ai saldi invernali.»
«La cicatrice. Questa cicatrice qui, sulla spalla.»
«Oh, quella.» Jace si meravigliò dell'intensità del suo sg
uardo. «Non saprei. Qualcosa che è successo quando ero molto piccolo, ha detto mio padre. Un incidente. Perché?» Il fiato sibilò attraverso i denti dell'Inquisitrice. «Non può essere» mormorò. «Tu
non puoi essere...»
«Non posso essere cosa?» C'era una nota di incertezza nella voce di Imogen. «Per tutti quegli anni, mentre crescevi... hai pensato veramente di essere figlio di Michael Wayland...?» Jace fu attraversato da una furia violenta, resa ancora più dolorosa dalla lieve fitta di delusione che l'accompagnava. «Per l'Angelo» disse rabbioso
«mi hai trascinato qui nel bel mezzo della battaglia solo per ricominciare a farmi le stesse dannate domande? Non mi hai creduto la prima volta e continui a non credermi adesso. E non mi crederai mai, malgrado tutto quello che è successo, anche se ciò che ti ho detto è la verità.» Puntò il dito verso ciò che stava accadendo oltre la parete di luce. «Dovrei essere là fuori a combattere. Perché mi tieni qui? Perché quando sarà tutto finito, sempre che qualcuno di noi sopravviva, tu possa andare al Conclave e dire che non
ho voluto lottare al tuo fianco contro mio padre? Bella
prova.» L'Inquisitrice era diventata ancora più pallida di quanto Jace ritenesse possibile. «Jonathan, non è quello che...»
«Mi chiamo Jace!» gridò. L'Inquisitrice indietreggiò, la bocca semiaperta, come sul punto di dire qualcos'altro. Jace non voleva sentirla. Avanzò sbattendola quasi da parte e sferrò un calcio a una delle spade angeliche
conficcate nel ponte. Quella si rovesciò e la parete di luce svanì. Al di là di essa regnava il caos. Sagome scure sfrecciavano da una parte all'altra del ponte, i demoni si arrampicavano sui corpi ammucchiati, l'aria
era piena di fumo e di grida. Cercò di distinguere nella mischia qualcuno che conosceva. Dov'era Alec? E Isabelle?
«Jace!» L'Inquisitrice gli corse appresso, il viso teso per la paura. «Jace, non hai un'arma, prendi almeno...»
Si interruppe nel vedere un demone spuntare dalle tenebre davanti a Jace come un iceberg, a pochi metri dalla prua di una nave. Quella notte Jace non ne aveva ancora visti di simili: aveva il viso raggrinzito e le mani svelte di uno scimmione, ma la lunga coda uncinata di uno scorpione. Gli occhi erano roteanti e gialli. Gli sibilava contro attraverso i denti spezzati e aguzzi come aghi. Prima che Jace potesse scansarsi, la sua coda scattò in avanti con la rapidità di un cobra all'attacco. Vide l'ago sulla punta guizzargli verso il viso... E per la seconda volta, quella notte, un'ombra passò tra lui e la morte. Sguainando un coltello dalla lunga lama, l'Inquisitrice gli si gettò davanti, appena in tempo perché l'aculeo di scorpione le si conficcasse nel petto. Lei gridò, ma rimase in piedi. La coda del demone si ritrasse con un guizzo, pronta a colpire ancora... ma il coltello aveva già lasciato la mano
dell'Inquisitrice e volava dritto e sicuro. Le rune incise sulla sua lama scintillarono quando recise la gola del demone. Con un sibilo, come aria che fuoriesca da un palloncino bucato, il mostro si piegò su se stesso contorcendo la coda, e sparì. L'Inquisitrice si accasciò sul ponte. Jace le si inginocchiò accanto e le mise una mano sulla spalla, facendola rotolare sulla schiena. Il sangue le inondava il davanti della camicetta grigia. Aveva il viso flaccido e giallo e per un istante Jace pensò che fosse già morta.
«Inquisitrice?» Non riusciva a chiamarla per nome,
neanche adesso. Imogen sbatté gli occhi e li aprì. Il bianco si stava già appannando. Con grande sforzo gli fece segno di avvicinarsi. Jace si piegò su di lei, abbastanza vicino per sentirsi sussurrare all'orecchio
con l'ultimo respiro...
«Che cosa?» disse Jace, sconcertato. «Che cosa significa?» Non ci fu risposta. L'Inquisitrice si era di nuovo afflosciata sul ponte, gli occhi spalancati e fissi, la bocca piegata in quello che sembrava quasi un sorriso. Jace si sedette sui talloni, stordito e con lo sguardo fisso. Era morta. Morta a causa sua. Qualcosa lo afferrò per la maglietta e lo sollevò in piedi. Jace si portò una mano alla cintura, rendendosi improvvisamente conto che non aveva più armi, e roteò su se stesso, trovandosi di fronte due familiari occhi azzurri che fissavano i suoi del tutto increduli. «Sei vivo» disse Alec... Due brevi parole, che però nascondevano un sentimento profondo. Il sollievo sul suo viso era evidente, come la sua stanchezza. Nonostante l'aria gelida, il sudore gli incollava i capelli neri alle guance e alla fronte. Aveva i vestiti e la pelle striati di sangue e un lungo strappo nella manica della giacca corazzata, come se fosse stata squarciata da qualcosa di dentellato e tagliente. Stringeva una
guisarma insanguinata nella mano destra e il colletto di Jace nell'altra. «Così pare» ammise Jace. «Ma non lo
rimarrò a lungo, se non mi dai un'arma.» Alec diede una rapida occhiata in giro e lo lasciò, quindi si sfilò una
spada angelica dalla cintura e gliela porse. «Tieni. Si chiama Samandiriel.» Jace aveva appena preso la spada, che un demone Drevak di media taglia corse verso di loro emettendo urla imperiose. Jace sollevò Samandiriel, ma Alec aveva già liquidato la creatura con un affondo della sua guisarma.
«Bell'arma» disse Jace, ma Alec guardava oltre lui, la grigia figura afflosciata sul ponte.
«È l'Inquisitrice? È...»
«È morta» disse Jace. La mascella di Alec si irrigidì.
«Che liberazione. Com'è successo?» Jace stava per rispondere, ma fu interrotto da un grido: «Alec!
Jace!» Era Isabelle, che correva verso di loro
attraverso il fetore e il fumo. Indossava una giacca scura aderente macchiata di sangue giallastro. Aveva i
polsi e le caviglie circondate da catene dorate e ornate di rune, e la frusta arrotolata intorno al corpo come un cavo di elettro. Allargò le braccia. «Jace, pensavamo...»
«No.» Jace indietreggiò, sottraendosi al contatto. «Sono zuppo di sangue, Isabelle. Non farlo.》 Un'espressione ferità le attraversò il viso.《Ma ti
abbiamo cercato tutti... mamma e papà, loro... 》
«Isabelle!» gridò Jace, ma era troppo tardi: un massiccio demone-ragno si impennò dietro di lei e schizzò veleno giallo dalle zanne. Quando il liquido la colpì, Isabelle urlò, ma la sua frusta guizzò con velocità abbagliante, tranciando il demone, che cadde con un tonfo sul ponte, tagliato in due metà, e scomparve. Jace si lanciò verso Isabelle proprio mentre lei si afflosciava in avanti. Quando l'afferrò, cullandola goffamente,la frusta le scivolò di mano. Jace vide quanto veleno l'aveva raggiunta: era schizzato quasi tutto sulla giacca, ma una parte le aveva colpito la gola e, nei punti in cui era andato a segno, la pelle bruciava e sfrigolava. Isabelle gemeva in maniera appena percettibile... lei che non mostrava mai il dolore.
«Dalla a me.» Era Alec, che lasciò cadere l'arma e corse ad assistere la sorella. La prese dalle braccia di Jace e la depose delicatamente sul ponte. Le si inginocchiò accanto,quindi, con lo stilo in mano, alzò lo sguardo su Jace. «Tieni a bada chiunque arrivi mentre la guarisco.» Jace non riusciva a staccare gli occhi jda Isabelle. Il sangue le sgorgava dal collo colandole sulla giacca e inzuppandole i capelli. «Dobbiamo portarla via dalla barca» disse con voce roca. «Se resta qui...»
«Morirà?» Alec passava la punta dello stilo sulla gola della sorella il più delicatamente possibile. «Moriremo tutti. Sono troppi. Ci stanno massacrando. L'Inquisitrice se l'è meritato, di tirare le cuoia... è tutta colpa sua.»
«Un demone Scorpios ha tentato di uccidermi. L'Inquisitrice si è messa in mezzo» disse Jace, chiedendosi perché difendesse una persona che odiava. «Mi ha salvato la vita.»
«Davvero?» Lo stupore era evidente nella voce di Alec. «Perché?»
«Immagino avesse deciso che ne valeva la pena.»
«Ma ha sempre...» Alec si interruppe e la sua espressione si fece allarmata. «Jace, dietro di te... sono in due...» Jace piroettò su se stesso. Due demoni si stavano avvicinando: un Divoratore, col corpo da coccodrillo, i denti seghettati e la coda da scorpione
piegata in avanti sopra la schiena, e  un Drevak, la pallida pelle biancastra da larva che luccicava alla luce della luna. Jace sentì Alec, alle sue spalle, sussultare inquieto, poi Samandiriel si staccò dalla sua mano, ritagliando una traiettoria argentea nell'aria. Recise la coda del Divoratore, proprio sotto la sacca pendula del veleno, all'estremità del lungo pungiglione. Il Divoratore urlò. Il Drevak si girò confuso... e si beccò in piena faccia la sacca del veleno, che si spaccò, inondandolo. Il Drevak emise un lungo grido di stupore e si afflosciò, la testa corrosa fino all'osso. Sangue e veleno schizzarono sul ponte mentre svaniva. Il Divoratore, con il sangue che sgorgava dalla coda mozza, si trascinò qualche passo più in là e scomparve
a sua volta. Jace si chinò e prese con cautela Samandiriel. Il ponte di metallo sfrigolava ancora nel punto in cui il veleno del Divoratore lo aveva inondato,
formandovi una sventagliata di forellini simile a un merletto.
«Jace.» Alec si era alzato e teneva per un braccio la sorella, pallidissima ma dritta in piedi. «Dobbiamo portare Isabelle via di qui.»
«Bene» disse Jace. «Pensaci tu. Io vado a occuparmi di
quello.»
«Di cosa?» chiese Alec, perplesso.
«Di quello» ripeté Jace, e lo indicò. Qualcosa veniva verso di loro tra il fumo e le fiamme, qualcosa di enorme,gibboso e massiccio. Cinque volte e passa le dimensioni di ogni altro demone sulla nave, aveva il corpo corazzato munito di numerosi arti, ognuno dei quali terminava con un artiglio cosparso di aculei. Aveva i piedi da elefante, grossi e piatti, e la testa di
una zanzara gigante. Notò Jace avvicinarsi, gli enormi occhi da insetto e la proboscide pendula color rosso sangue. Alec rimase senza fiato. «Che diavolo è?» Jace ci pensò per un attimo. «Qualcosa di grosso» disse infine. «Molto grosso.»
«Jace...»Jace si girò e guardò Alec, e poi Isabelle. Qualcosa dentro di sé gli disse che quella poteva essere l'ultima volta che li vedeva, eppure non aveva paura, non per se stesso. Avrebbe voluto dire qualcosa, magari che li amava, che loro due contavano per lui molto più di mille Strumenti Mortali e del potere che potevano procurare. Ma le parole non vollero venire. «Alec» si sentì dire. «Porta Isabelle alla scala, adesso, o moriremo tutti.» Alec incrociò il suo sguardo e lo sostenne per un momento. Poi annuì e spinse la sorella che continuava a protestare verso il parapetto. L'aiutò a montarci sopra e a scavalcarlo e, con immenso sollievo, Jace vide la sua testa scura scomparire via via che scendeva la scala. E adesso tu, Alec,pensò. Va'. Ma Alec non andò. Isabelle, nascosta alla vista, lanciò un grido acuto, mentre il fratello saltava giù dal para petto e atterrava sul ponte della nave. La guisarma
giaceva nel punto in cui l'aveva lasciata cadere; lei l'afferrò e si mosse per mettersi al fianco di Jace e affrontare il demone che si avvicinava. Ma non fece molta strada. Mentre si scagliava su Jace, all'improvviso il demone scartò e si lanciò verso Alec con la proboscide che ondeggiava famelica avanti e indietro. Jace piroettò per coprire Alec, ma il ponte di
metallo su cui si trovava, deteriorato dal veleno, cedette sotto di lui. Un piede gli rimase incastrato e Jace cadde pesantemente a terra. Alec fece appena in tempo a gridare il nome di Jace che il demone gli fu
addosso. Lo trafisse con la guisarma,ficcandogliela profondamente nella carne. La creatura si rovesciò indietro lanciando un grido stranamente umano, mentre dalla ferita sgorgava un fiotto di sangue nero. Alec indietreggiò, allungando la mano verso un'altra arma, proprio mentre l'artiglio del demone fendeva l'aria, atterrandolo sul ponte. Poi la proboscide lo avviluppò. Da qualche parte, Isabelle gridava. Jace cercò disperatamente di estrarre il piede dal ponte; alla fine si liberò, ferendosi con i bordi metallici taglienti, e barcollando si rimise in equilibrio. Sollevò Samandiriel. La luce balenò dalla spada angelica vivida come una stella cadente. Il demone indietreggiò emettendo un sibilo sommesso. Allentò la presa su Alec e per un istante Jace pensò che lo avrebbe lasciato.
Poi all'improvviso il mostro spinse indietro la testa con
sorprendente velocità e scaraventò via Alec con una forza immensa. Alec colpì violentemente il ponte viscido di sangue, scivolò... e cadde con un unico grido rauco oltre il bordo della nave. Isabelle gridava il nome di Alec; le sue grida erano come chiodi che si conficcavano nelle orecchie di Jace. Samandiriel ardeva ancora nella sua mano. La sua luce illuminava il demone che avanzava lentamente, lo sguardo luccicante da insetto predatore, ma lui riusciva a vedere solo Alec: Alec che cadeva oltre la fiancata della nave, Alec che annegava nella nera acqua sottostante. Gli sembrò di sentire in bocca il sapore dell'acqua di mare, o forse era sangue. Il demone gli era quasi addosso; Jace sollevò la mano che reggeva Samandiriel e la lanciò... il demone urlò, un acuto latrato di dolore... poi il ponte cedette con un fracasso di metallo che si sgretolava e Jace sprofondò nelle tenebre.

Shadowhunters- città di Cenere Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora