Capitolo 16 (3^parte)

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«Maia» disse Simon. «Tu sei ancora umana.»
«No, non lo sono.»
«Lo sei nelle cose che contano. Proprio come me.» Maia cercò di sorridere. Simon capiva che lei non gli credeva, ma gli riusciva difficile biasimarla. Neanche lui, del resto, era sicuro di credere a se stesso. Il cielo si era fatto plumbeo, gravido di nubi gonfie. L'Istituto incombeva nella luce grigia, enorme come il fianco di una montagna. Il tetto spiovente di ardesia scintillava come argento appannato. A Clary parve di vedere delle figure incappucciate muoversi accanto alla porta d'ingresso, ma non ne era sicura. Era difficile distinguere qualcosa con chiarezza, guardando dai finestrini sudici del pick-up, a più di un isolato di distanza. «Da quant'è che siamo qui?» chiese per la quarta o la quinta volta.
«Da cinque minuti in più rispetto all'ultima volta che me l'hai chiesto» rispose Luke. Era appoggiato allo schienale del sedile, la testa reclinata all'indietro, l'aria sfatta. La barba corta e ispida che gli ricopriva le mascelle e le guance era brizzolata, gli occhi erano cerchiati di nero. Tutte quelle notti in ospedale, l'attacco del demone, e ora questo, pensò Clary, a un tratto preoccupata. Capiva perché lui e sua madre si
fossero tenuti alla larga tanto a lungo da quella vita. Le sarebbe piaciuto fare altrettanto. «Vuoi entrare?»
«No. Jace ha detto di aspettare fuori.» Clary sbirciò di nuovo dal finestrino. Adesso era sicura di vedere delle figure davanti all'ingresso. Quando una di esse si girò, le parve di scorgere un lampo di capelli biondi...
«Guarda.» Ora Luke era seduto ben diritto e apriva
svelto il finestrino. Clary guardò. Le sembrava tutto come prima. «Vuoi dire la gente all'entrata?»
«No. Le guardie erano già lì. Guarda sul tetto.» Glielo indicò. Clary premette il viso contro il finestrino. Il tetto di ardesia della cattedrale era un tripudio di torrette e guglie, archi e angeli scolpiti. Stava per dire irritata che non notava altro che qualche doccione fatiscente, quando colse un movimento fulmineo. C'era qualcuno sul tetto. Una figura sottile, scura, che si muoveva svelta tra le torrette sfrecciando da una sporgenza all'altra, e ora si buttava a pancia sotto per scendere adagio dal tetto incredibilmente ripido... qualcuno dai capelli chiari che luccicavano come ottone nella luce plumbea... Jace. Prima di capire cosa stesse facendo, Clary si ritrovò fuori dal pick-up e si precipitò verso la chiesa, mentre Luke le gridava dietro.L'enorme edificio sembrava ondeggiare sopra la sua testa, alto decine di metri come una ripida scogliera di pietra. Ora Jace era sull'orlo del tetto e guardava giù, e Clary pensò: Non può essere, non lo farebbe,lui non lo farebbe, non Jace,poi Jace saltò nel vuoto, tranquillo come se saltasse da una veranda. Clary lanciò un urlo nel vederlo piombare giù come un sasso... e poi atterrare leggiadramente in piedi proprio davanti a lei. Lo fissò a bocca aperta mentre si raddrizzava dalla posizione accucciata e le sorrideva. «Se ti dicessi che morivo dalla voglia di fare un salto da te, diresti che
la mia battuta è troppo banale?»
«Come... come hai... come hai fatto?» sussurrò Clary sentendosi sul punto di vomitare. Vedeva Luke fuori dal pick-up, le mani unite dietro la testa e lo sguardo fisso oltre lei. Si girò e scorse le due guardie all'entrata correre verso di loro. Una era Malik, l'altra la donna dai capelli argentei.
«Merda.» Jace la prese per mano e se la trascinò dietro. Corsero verso il pick-up e si buttarono dentro accanto a Luke, che diede gas e partì a razzo con la portiera del passeggero ancora aperta. Jace allungò il braccio davanti a Clary e la chiuse con uno strattone. Il veicolo girò intorno ai due Cacciatori... Clary vide che Malik stava per lanciare una specie di coltello. Mirava a una gomma. Sentì Jace imprecare,mentre si frugava nella giacca in cerca di un'arma... Malik sollevò il braccio, facendo scintillare la lama... ma la donna dai capelli argentei lo attaccò alle spalle afferrandogli il braccio. Lui cercò di scrollarsela di dosso, mentre Clary si rigirava sul sedile senza fiato, poi il pick-up sfrecciò intorno all'angolo e scomparve nel traffico di York Avenue, mentre dietro di loro l'Istituto rimpiccioliva sempre più. Maia era scivolata in un sonno agitato contro il tubo del riscaldamento, la giacca di Simon avvolta intorno alle spalle. Simon guardava la luce che
penetrava dall'oblò muoversi per la stanza, cercando invano di calcolare che ora fosse. Di solito la controllava
sul cellulare, ma era sparito. Gli era caduto quando Valentine aveva fatto irruzione nella sua stanza. Ma adesso aveva preoccupazioni più serie. Aveva la bocca secca e rasposa, la gola dolorante. Aveva una sete che era come tutta la sete e la fame che avesse mai provato, mescolate a formare una sorta di raffinata tortura. E non poteva che peggiorare. Era di sangue che aveva bisogno. Pensò al sangue nel frigorifero accanto al suo letto, a casa, e le vene gli bruciarono come fili d'argento bollente che correvano sotto la pelle. «Simon?» Era Maia, che stava sollevando stordita la testa. Era stata appoggiata al tubo bitorzoluto, che le aveva lasciato sulla guancia piccole
impronte bianche. Mentre la guardava, il bianco trascolorò in rosa con il riaffluire del sangue alla guancia. Sangue. Simon si passò la lingua secca sulle labbra. «Sì?»
«Quanto ho dormito?»
«Tre ore. Forse quattro. Ormai deve essere pomeriggio.»
«Oh. Grazie per aver fatto la guardia.» In realtà Simon non l'aveva fatta. Si sentì vagamente vergognoso nel dire: «Naturalmente. Non c'è problema.»
«Simon...»
«Sì?»
«Spero che tu capisca che cosa intendo quando dico che mi spiace che tu sia qui e anche che sono contenta.» Simon sentì la faccia creparsi in un sorriso. Il labbro inferiore secco si spaccò e lui avvertì in bocca il sapore del sangue. Gli brontolò lo stomaco.
«Grazie.» Maia si chinò verso di lui e la giacca le scivolò dalle spalle. Aveva gli occhi di un grigio ambrato che cambiavano sfumatura quando si muoveva.
«Arrivi a toccarmi?» chiese allungando la mano. Simon allungò il braccio. Lo tese più che poté, facendo tintinnare la catena che gli fissava la caviglia a terra. Maia sorrise quando le punte delle loro dita si sfiorarono... «Davvero commovente.» Simon ritirò
bruscamente la mano, spalancando gli occhi. La voce che aveva parlato dall'ombra era fredda, raffinata e
vagamente straniera, ma Simon non seppe collocarla con precisione. Maia lasciò cadere la mano e si girò. Il colorito le defluì dal viso quando fissò l'uomo sulla soglia. Era entrato talmente piano che nessuno dei due l'aveva sentito. «I figli della Luna e della Notte che vanno finalmente d'amore e d'accordo.»
«Valentine» mormorò Maia. Simon rimase in silenzio. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Dunque era questo il padre di Clary e Jace. Con il suo baschetto di capelli bianchi e gli ardenti occhi scuri non assomigliava granché a nessuno dei due, sebbene ci fosse qualcosa di Clary nella struttura ossea spigolosa del volto e nella forma degli occhi e qualcosa di Jace nell'insolenza indolente con cui si muoveva. Era un uomo grosso, con le spalle larghe e una corporatura robusta che non assomigliava a quella di nessuno dei suoi figli. Avanzò nella stanza rivestita di metallo verde a passi felpati, come un gatto, sebbene fosse appesantito da quelle che sembravano armi sufficienti a e qui paggiare un intero plotone. Intorno al petto aveva spesse cinghie di cuoio nero con fibbie argentate che gli fissavano alla schiena una spada d'argento dalla larga elsa. Un'altra robusta cinghia gli circondava la vita: vi era infilato un assortimento, degno di un macellaio, di coltelli, pugnali e lame scintillanti simili a grandi aghi.
«Alzati» disse a Simon. «Tieni la schiena contro la parete.» Simon alzò il mento. Vide che Maia lo guardava, pallida e spaventata, e si sentì invadere da un violento impulso protettivo. Avrebbe impedito a
Valentine di farle del male, fosse stata l'ultima cosa che faceva. «E così tu sei il padre di Clary» disse. «Senza offesa, ma ora capisco perché ti odia.» Il viso di Valentine era impassibile, quasi immobile. Le sue labbra si mossero appena quando disse: «Perché?»
«Perché» rispose Simon «sei chiaramente uno psicopatico.» Adesso Valentine sorrideva. Era un sorriso che non muoveva nessun'altra parte del viso, oltre alle labbra, e anche quelle si contrassero solo lievemente. Poi alzò il pugno. Era serrato: per un momento Simon pensò che lo avrebbe colpito. Ma
Valentine non gli sferrò un pugno. Invece aprì le dita, rivelando al centro del palmo un mucchietto di una
sostanza luccicante simile a glitter. Girandosi verso Maia inclinò la testa e soffiò la polvere verso di lei, nella grottesca parodia di chi lancia un bacio. La polvere le si depositò sopra come uno sciame di api scintillanti. Maia gridò. Ansimando e dibattendosi selvaggiamente, si muoveva da una parte e dall'altra come se potesse sgusciare via dalla polvere, mentre la
sua voce saliva in un grido singhiozzante.
«Che cosa le hai fatto?» urlò Simon balzando in piedi. Corse contro Valentine, ma la catena fissata alla
gamba lo trattenne bruscamente. «Che cosa hai fatto?» Il sottile sorriso di Valentine si allargò. «Polvere d'argento» rispose. «Brucia i licantropi.»
Maia aveva smesso di contorcersi e siera raggomitolata in posizione fetale sul pavimento, piangendo piano. Il sangue le scorreva da brutti graffi rossi sulle mani e sulle braccia. Simon si sentì di nuovo lo stomaco sottosopra e ricadde contro la parete, nauseato da se stesso e da tutto. «Bastardo» disse, mentre Valentine spazzolava via pigramente i residui di polvere dalle dita. «È solo una ragazza, non ti avrebbe fatto alcun male, è incatenata,per...» Si sentì soffocare, la gola in fiamme. Valentine rise. «Per l'amor di Dio?» chiese. «È questo che stavi per dire?» Simon tacque. Valentine allungò una mano al di sopra della spalla ed estrasse dal fodero la pesante Spada d'argento. La luce giocò lungo la lama come acqua che scivola lungo una parete d'argento, come un raggio di sole riflesso. Simon distolse il viso con gli occhi che gli bruciavano.
«La Spada dell'Angelo ti brucia, proprio come il nome di Dio ti soffoca» disse Valentine, la voce gelida e tagliente come cristallo. «Dicono che quelli che muoiono trafitti dalla sua punta raggiungano le porte del paradiso. Nel qual caso, morto vivente, ti sto facendo un favore.» Abbassò la lama, in modo da toccare con la punta la gola di Simon. Gli occhi di Valentine avevano il colore dell'acqua sporca e in essi non c'era nulla: nessuna rabbia, nessuna compassione, e neppure odio. Erano vuoti come una tomba appena scavata.
«Ultime parole?» Simon sapeva cosa avrebbe dovuto dire. Shema Israel, Adonai elohenu, Adonai ehad. Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno. Cercò di pronunciare le parole, ma aveva la gola in fiamme. «Clary» sussurrò invece. Un'espressione seccata attraversò il viso di Valentine, come se il suono
del nome della figlia in bocca a un vampiro lo irritasse. Con un rapido guizzo del polso sollevò la spada e con un unico movimento fluido squarciò la gola a Simon.

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