«Fuori, mondano» disse Jace, indicando la porta. Simon fece un gesto con la mano. «Non c'è problema. Aspetterò in corridoio.» Uscì evitando di sbattersi la porta alle spalle, anche se Clary era sicura che ne avrebbe
avuto una gran voglia. Si girò verso Jace. «Devi proprio essere così...» cominciò, ma si fermò nel vedere la sua faccia. Sembrava
denudata, stranamente vulnerabile.
«Sgradevole?» Jace finì la frase al posto suo. «Sì,ma solo nei giorni in cui mia madre adottiva mi sbatte fuori di casa intimandomi di non rimetterci più piede. Di solito sono straordinariamente cortese. Mettimi alla prova, nel giorno poi dell'anno mai.»
Luke aggrottò le sopracciglia. «I Lightwood non sono tra le persone che amo di più al mondo, ma non posso credere che Maryse abbia fatto una cosa del genere.» Jace sembrò sorpreso. «Li conosci, i Lightwood?»
«Maryse e Robert Lightwood erano con me nel Circolo» disse Luke. «Sono rimasto stupito quando ho saputo che dirigevano l'Istituto qui a Manhattan. A quanto pare, dopo la Rivolta hanno fatto un patto con il
Conclave assicurandosi un trattamento
indulgente, mentre Hodge... be', sappiamo cosa gli è successo.» Rimase un istante in silenzio. «Maryse ha spiegato perché ti ha... esiliato?» «Secondo lei io sapevo di non essere figlio di Michael Wayland. E mi ha
accusato di essere stato per tutto il
tempo complice di Valentine... e di averlo aiutato a fuggire con la Coppa Mortale.»
«E allora perché saresti qui?» chieseClary. «Perché non saresti scappato con lui?»
«Non l'ha detto, ma temo che pensi che io sia rimasto per fare la spia. Una serpe in seno. Non che abbia usato la parola "seno", ma l'idea era quella.»
«Una spia di Valentine?» Luke sembrava costernato.
«Maryse sostiene che Valentine contava sull'affetto che lei e Robert nutrivano per me e che, per questo, potessero bersi qualsiasi cosa dicessi loro. Così ha deciso di risolvere la faccenda smettendo di nutrire affetto per me.»
«L'affetto non funziona così.» Luke scrollò la testa. «Non puoi chiuderlo come un rubinetto. Soprattutto se sei un genitore.»
«Loro non sono davvero i miei genitori.»
«Non è solo il sangue a fare un genitore. Per sette anni i Lightwood sono stati i tuoi genitori a tutti gli effetti. Maryse è solo ferita》.
«Ferita?» Jace sembrò incredulo. «Lei sarebbe ferita?»
«Voleva bene a Valentine, ricorda» disse Luke. «Come tutti noi. Lui l'ha ferita profondamente. E lei ha paura che suo figlio
faccia lo stesso. Si preoccupa che tu possa avere mentito. Che la persona che ha creduto tu fossi in tutti questi anni possa essere una maschera, un inganno. Devi rassicurarla.»
L'espressione di Jace era un misto di
cocciutaggine e stupore. «Maryse è un'adulta! Non dovrebbe avere bisogno di essere rassicurata da me.»
«Oh, avanti,Jace» disse Clary. «Non puoi
aspettarti che tutti si comportino in modo perfetto. Anche gli adulti fanno casino. Torna all'Istituto e parlale in maniera ragionevole. Sii uomo.» «Non voglio essere uomo» ribatté Jace. «Voglio essere un adolescente angosciato che non riesce ad affrontare i suoi demoni interiori e preferisce rifarsi insultando il prossimo.»
«Bene» disse Luke. «In tal caso stai facendo un lavoro fantastico.»
«Jace» si affrettò a dire Clary prima che cominciassero a litigare sul serio «devi tornare all'Istituto. Pensa a Alec e Izzy,
pensa a che effetto avrà tutto ciò su di loro.»
«Maryse escogiterà qualcosa per tranquillizzarli. Magari dirà che sono
scappato.»
«Non funzionerà» obiettò Clary. «Isabelle sembrava stravolta al telefono.»
«Isabelle sembra sempre stravolta» disse Jace, ma aveva l'aria contenta. Si appoggiò allo schienale della sedia. I lividi sulla mascella e sullo zigomo spiccavano sulla pelle come marchi scuri e informi. «Non tornerò in
un posto dove non si ha fiducia in me. Non ho più dieci anni. Sono in grado di badare a me stesso.» Luke non ne sembrava tanto convinto. «Dove andrai? Dove vivrai?»
Gli occhi del ragazzo scintillarono. «Ho diciassette anni. Sono quasi un adulto. Qualsiasi Cacciatore adulto ha il diritto di...»
«Qualsiasi adulto. Ma tu non lo sei. Non puoi
ricevere uno stipendio dal Conclave perché sei troppo giovane. E infatti i Lightwood sono obbligati dalla Legge a prendersi cura di te. In caso contrario,l'incarico sarà dato a
qualcun altro o...»
«O cosa?» Jace saltò su dalla sedia. «Andrò in un orfanotrofio a Idris? Sarò affibbiato a una famiglia che non ho mai visto? Posso rimediare un lavoro nel mondo dei mondani per un anno, vivere come uno di loro...»
«No, non puoi» disse Clary. «E io dovrei saperlo, Jace, io ero una di loro. Sei troppo giovane per avere un vero lavoro. E poi le tue capacità... be', in genere i killer professionisti sono più grandi di te. E sono dei criminali.»
«Io non sono un killer.»
«Se vivessi nel mondo dei mondani» disse Luke «è quello che saresti.» Jace si irrigidì, le sue labbra si serrarono, e Clary comprese che le parole di Luke avevano colpito nel segno. «Non capite» disse Jace con un'improvvisa disperazione nella voce. «Non posso tornare. Maryse vuole che dica che odio Valentine. E io non posso farlo.» Sollevò il mento, la mandibola rigida, gli occhi puntati su Luke come se si aspettasse dall'adulto una reazione beffarda o perfino inorridita. Dopotutto, Luke aveva più motivi di chiunque altro per odiare Valentine.
«Lo so» disse Luke. «Anch'io gli volevo bene, una volta.» Jace espirò, il suo fu quasi un moto di sollievo, e a un tratto Clary pensò:
È per questo che è venuto qui, in questo posto. Non solo per attaccar briga, ma per arrivare a Luke. Perché Luke avrebbe capito.
Non tutto quello che Jace faceva era folle e suicida, rammentò a se stessa. Lo sembrava soltanto.
«Non dovresti essere tenuto a dichiarare che odi tuo padre» disse Luke.
«Neppure per rassicurare Maryse. Dovrebbe capirlo.» Clary osservò attentamente Jace cercando di decifrarne il volto. Era come un libro scritto in una lingua straniera studiata da troppo poco tempo.
«Ha detto davvero che non voleva che tu
tornassi?» chiese Clary. «O hai solo immaginato che l'avesse detto e così te ne sei andato?»
«Mi ha detto che avrei fatto meglio a trovare un altro posto dove stare per un po'» rispose Jace.
«Non ha detto dove.»
«Le hai dato la possibilità di farlo?» chiese Luke. «Senti, Jace, puoi stare con me finché ne hai bisogno. Voglio che tu lo sappia.» Clary si sentì stringere lo stomaco. Il pensiero di Jace nella stessa casa in cui abitava lei, sempre vicino, la riempiva di un misto di esultanza e terrore.
«Grazie» disse Jace. La sua voce era uniforme, ma gli occhi, non c'era stato niente da fare, erano corsi immediatamente a Clary, che vi scorse lo stesso terribile miscuglio di emozioni che provava lei. Luke, pensò. A volte vorrei che non fossi così
generoso. O così cieco.
«Però credo» continuò Luke «che do
vresti tornare all'Istituto almeno il tempo necessario per parlare con Maryse e scoprire cosa sta davvero succedendo. Mi sembra che ci sia dell'altro, oltre a quel che ti ha detto. O a quello che tu vuoi sentire Jace staccò lo sguardo da Clary. «Va bene» fece in tono brusco. «Ma a una condizione: non voglio andarci da solo.»
«Io verrò con te» si affrettò a dire Clary.
«Lo so.» La voce di Jace era sommessa
. «E io voglio che tu lo faccia. Ma voglio che venga anche Luke.» Luke sembrò sorpreso. «Jace... vivo qui da quindici anni e non ho mai
messo piede all'Istituto. Nemmeno una volta. Non credo che Maryse nutra ancora dell'affetto per me...»
«Ti prego» disse Jace, e, malgrado la voce piatta e la calma con cui parlava, Clary poté percepire,come fosse qualcosa di tangibile, l'orgoglio che aveva dovuto soffocare per pronunciare quelle due parole.
«Va bene.» Luke fece un cenno con la testa, il cenno di un capobranco abituato a fare quello che doveva, che gli piacesse o meno. «Vuol dire che verrò con te.» Simon era appoggiato al muro del corridoio fuori dall'ufficio di Pete e cercava di non compiangersi. La giornata era cominciata bene. Insomma, piuttosto bene. Prima c'era
stato quello spiacevole episodio del film
Dracula in TV che gli aveva fatto venire la nausea, portando a galla tutte le emozioni
e i desideri che aveva cercato di reprimere e dimenticare. Poi, in qualche modo, il malessere gli aveva calmato i nervi, e si era ritrovato a baciare Clary come voleva fare
da tanti anni. La gente diceva sempre che le cose non sono mai come le abbiamo immaginate. La gente si sbagliava. E lei aveva restituito il bacio... Ma adesso era là dentro con Jace, e Simon si sentiva annodare e contorcere lo stomaco come se avesse trangugiato una scodella di vermi. Era un
senso di nausea a cui si era abituato negli ultimi tempi. Non era sempre stato così, anche dopo che si era reso conto di quello che provava per Clary. Non le aveva mai fatto pressioni, non le aveva mai fatto pesare i
propri sentimenti. Era sempre stato certo
che un giorno si sarebbe riscossa dai suoi sogni di principi dei cartoni animati ed eroi del kung fu e si sarebbe accorta di ciò che era chiaro come il sole: che loro due appartenevano l'uno all'altra. E se non aveva mostrato interesse per lui, almeno non l'aveva mostrato per nessun altro. Fino a Jace. Si rivide seduto sui gradini della veranda della casa di Luke intento a guardare Clary che gli spiegava chi era Jace e che cosa faceva, mentre Jace si esaminava le unghie con aria di superiorità. Simon non l'aveva quasi sentita. Era stato troppo occupato a osservare come guardava il ragazzo biondo con gli strani tatuaggi e il bel viso spigoloso. Troppo bello, aveva pensato Simon, ma Clary evidentemente non era della stessa opinione: lo guardava come se fosse uno dei suoi eroi dei cartoni animati che aveva preso vita. Non l'aveva mai vista prima guardare qualcuno in quel modo e aveva sempre pensato che, se mai l'avesse fatto, avrebbe guardato lui. Ma non era andata così, e questo faceva più male di quanto avesse mai immaginato. Scoprire che Jace era il fratello di Clary era stato come trovarsi davanti a un plotone di esecuzione e vedersi offrire la grazia all'ultimo momento. Di colpo il mondo era sembrato nuovamente pieno di possibilità. Adesso non ne era più così sicuro.
«Ciao.» Una figura stava avanzando lungo il corridoio, una persona non molto alta che procedeva con cautela tra le macchie di sangue. «Stai aspettando di vedere Luke? È là dentro?»
«Non esattamente.» Simon si allontanò dalla porta.
«Cioè, più o meno. È là dentro con una persona di cui sono amico.» La figura, che nel frattempo lo aveva raggiunto, si fermò e lo fissò. Simon vide che era una ragazza sui sedici anni con la pelle liscia di un bruno
chiaro. Aveva capelli castani acconciati in decine di treccine e il viso a forma di cuore. Il corpo era sodo e formoso, con i fianchi larghi e la vita sottile. «Chi, il tizio del bar? Il Cacciatore?» Simon scrollò le spalle.
«Be', mi spiace dirtelo» disse la ragazza «ma il tuo amico è un idiota.»
«Non è mio amico» ribatté Simon. «E non potrei essere più d'accordo con te, davvero.»
«Ma mi pareva che avessi detto...»
«È sua sorella che sto aspettando» disse Simon. «È la mia migliore amica.»
«E adesso è là dentro con lui?» La ragazza indicò la porta con il pollice. Aveva anelli a ogni dito, fascette di bronzo e oro battuto dall'aspetto primitivo. Portava jeans consumati ma puliti e quando girò la testa Simon vide la cicatrice che le correva lungo il collo, poco sopra la scollatura della maglietta. «Be'» disse con aria guardinga «io ne so qualcosa di fratelli idioti. Suppongo che lei non ne abbia alcuna colpa.»
«Già» fece Simon. «Ma forse è l'unica persona a cui lui darà ascolto.»
«Non mi ha dato l'idea del tipo che ascolta» gli disse la ragazza, che lo sorprese a guardarla con la coda dell'occhio. Un'espressione divertita le guizzò sul viso. «Stai osservando la mia cicatrice. È dove sono stata morsa.»
«Morsa? Vuoi dire che sei...?»
«Una lupa mannara» disse la ragazza.
«Come tutti gli altri qui. Tranne te e l'idiota. E la sorella dell'idiota.»
«Ma non sei sempre stata una lupa mannara. Voglio dire, non sei nata così.»
«Come la maggior parte di noi» spiegò la ragazza.
«È questo che ci differenzia dai tuoi amichetti Cacciatori.»
«Che cosa?»
Lei sorrise di sfuggita. «Il fatto che una volta eravamo umani.» Simon non replicò. Dopo un momento la ragazza allungò la mano. «Sono Maia.»
«Simon.» Le strinse la mano. Era asciutta e morbida. Maia alzò lo sguardo su di lui e lo fissò attraverso le ciglia castano chiaro, il colore dei toast imburrati. «Come fai a sapere che Jace è un idiota?» domandò. «O
forse dovrei dire, come l'hai scoperto?» Maia ritirò la mano. «Ha fatto a pezzi il bar. Ha pestato il mio amico Bat. Ha perfino messo fuori combattjmento alcuni membri del branco.»
«Stanno bene?» Simon era allarmato. Jace non gli era sembrato turbato, ma conoscendolo non aveva dubbi che fosse capace di uccidere parecchie persone in una sola mattina e subito dopo andarsi a compra
re delle cialde.
«Hanno visto un dottore?»
«Uno stregone» disse la ragazza. «Quelli come noi non hanno molto a che fare con i dottori mondani.»
«I Nascosti?»
Maia sollevò le sopracciglia. «Si sono presi la briga di insegnarti il gergo, vero?»
Simon si irritò. «Come fai a sapere che non sono uno di loro? O di voi? Un Cacciatore o un Nascosto, o...» La ragazza scosse la testa facendo sobbalzare le trecce. «È che salta agli occhi» disse con una lieve amarezza «la tua umanità.» L'intensità nella sua voce lo fece quasi rabbrividire. «Potrei bussare alla
porta» suggerì, sentendosi a un tratto
impacciato. «Se vuoi parlare con Luke.»
Lei scrollò le spalle. «Digli solo che Magnus è arrivato e sta ispezionando la scena nel vicolo.» Simon doveva avere un'aria sorpresa, dato che lei aggiunse: «Magnus Bane. È uno stregone.» Lo so,avrebbe voluto dire Simon, ma non lo fece. Tutta la conversazione era già stata abbastanza strana. «Okay.» Maia si girò per andarsene, ma, fatto un passo, indugiò con una mano sullo stipite della porta. «Pensi che sarà capace di farlo ragionare?» chiese. «Sua sorella?»
«Se c'è una persona a cui darà ascolto, è lei.»
«Che cosa tenera» osservò Maia. «Che voglia tanto bene a sua sorella.»
«Già» disse Simon. «Una vera delizia.》