Capitolo 9 (1^parte)

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capitolo 9

E LA MORTE NON AVRÀ PIÙ DOMINIO

Isabelle aveva detto la verità: l'Istituto era completamente deserto. O meglio, quasi completamente. Al loro arrivo, trovarono Max addormentato sul divano rosso dell'ingresso. Aveva gli occhiali leggermente sbilenchi ed era chiaro che non aveva avuto la minima intenzione di addormentarsi: sul
pavimento c'era un libro aperto che doveva essergli caduto, e i piedi nelle scarpe da ginnastica penzolavano dal bordo del divano in maniera piuttosto scomoda. Il cuore di Clary corse subito a lui. Le ricordava Simon a nove o dieci anni, quando non faceva che sbattere le palpebre ed era tutto occhiali e orecchie.
«Max è come un gatto. È capace di dormire ovunque.» Jace allungò la mano, gli tolse gli occhiali e li posò su un basso tavolino intarsiato lì accanto. Aveva un'espressione che Clary non gli aveva mai visto... un'intensa espressione tenera e protettiva che la sorprese.
«Oh, lascia stare la sua roba... la sporcherai solo di fango» disse Isabelle con aria seccata sbottonandosi il soprabito bagnato. Il vestito aderiva al suo busto snello e l'acqua aveva scurito la spessa cintura di cuoio. Lo scintillio della frusta arrotolata era appena visibile nel punto in cui il manico sporgeva dalla cintura. Era accigliata. «Sento che mi sta venendo il raffreddore. Vado a fare una doccia calda.» Jace la guardò sparire lungo il corridoio con una sorta di ammirazione riluttante. «A volte mi ricorda la poesia "Isabelle, Isabelle non si preoccupava. Isabelle non correva
e non gridava...".»
«A te viene mai voglia di gridare?» gli chiese Clary.
«Qualche volta.» Jace si tolse la giacca bagnata e la appese al gancio accanto a quello di Isabelle. «Ma quanto alla doccia calda ha ragione. Potrei decisamente farmene una.»
«Io non ho niente per cambiarmi» disse Clary, a un tratto desiderosa di qualche momento tutto per sé. Le dita le prudevano dalla voglia di fare il numero di Simon sul cellulare per scoprire se era tutto okay. «Ti aspetto qui.»
«Non fare la sciocca. Ti presto una maglietta.» Aveva i pantaloni zuppi e abbassati sulle ossa del bacino, che lasciavano vedere una striscia di pelle chiara tatuata tra la stoffa jeans e il bordo della camicia. Clary distolse lo sguardo. «Non credo...»
«Vieni.» Il tono di Jace era fermo.
«Comunque, c'è qualcosa che voglio mostrarti.» Clary controllò di nascosto lo schermo del cellulare mentre seguiva Jace in corridoio verso la sua stanza. Simon non aveva provato a chiamarla. Sembrò che del ghiaccio le si cristallizzasse nel petto. Fino a due settimane prima, per anni, lei e Simon non avevano mai litigato. Adesso era come se lui ce l'avesse sempre con lei. La stanza di Jace era esattamente come la ricordava: immacolata e nuda come la cella di un monaco. Non conteneva nulla di rivelatore sul suo occupante: niente manifesti alle pareti, niente libri ammucchiati sul comodino. Perfino il piumino sul letto era di un bianco disadorno. Jace andò alla cassettiera e tirò fuori una maglia a maniche lunghe blu. La gettò a Clary. «Questa si è ristretta nel lavaggio» disse. «Probabilmente ti starà grande,ma...» Fece spallucce. «Vado a farmi la doccia. Chiama se hai bisogno di qualcosa.» Clary annuì, tenendo la maglia come se fosse uno scudo. Sembrò che Jace stesse per dire qualcosa, ma evidentemente ci ripensò; con un'altra alzata di spalle scomparve nel bagno, chiudendo la porta dietro di sé. Clary si lasciò cadere su
l letto stringendo al petto la maglia e tirò fuori di tasca il telefono. Fece il numero di Simon. Dopo
quattro squilli scattò la segreteria. «Salve, avete chiamato Simon. O sono lontano dal telefono o vi sto evitando. Lasciate un messaggio e...»
«Cosa fai?» Jace stava sulla porta aperta del bagno. L'acqua scorreva rumorosamente nella doccia alle sue spalle e la stanza si stava riempiendo di vapore. Era
scalzo e a petto nudo, i jeans bagnati bassi sui fianchi
che rivelavano due profonde rientranze sopra le ossa del bacino, come se qualcuno vi avesse premuto le dita.
Clary chiuse di scatto il telefono e lo lasciò cadere sul letto. «Niente. Controllavo l'ora.»
«C'è un orologio accanto al letto» osservò Jace. «Telefonavi al mondano, vero?»
«Si chiama Simon.» Clary appallottolò la maglia di Jace tra i pugni. «E non devi fare sempre lo stronzo con lui. Ti ha aiutato più di una volta.» Jace aveva le palpebre pesanti, gli occhi pensierosi. Il bagno era pieno di
vapore, che gli arricciava ancor di più i capelli. Disse: «E adesso ti senti in colpa perché è scappato via. Non dovresti darti la pena di chiamarlo. Ti sta evitando.»
Clary non si preoccupò di nascondere la rabbia. «E tu lo sai, perché tu e lui siete amiconi,no?»
«Lo so perché ho visto la sua faccia prima che se ne andasse» disse Jace. «E tu no. Non lo guardavi. Ma io sì.» Clary si scostò i capelli ancora bagnati dagli occhi. Là dove i vestiti aderivano alla pelle si sentiva pizzicar
e, aveva il sospetto di puzzare come il fondo di uno stagno e non riusciva a togliersi dalla mente l'espressione di Simon quando l'aveva guardata alla Corte Seelie... come se la odiasse. «È colpa tua» disse a un tratto, mentre la rabbia le stringeva il cuore in una morsa. «Non avresti dovuto baciarmi così.» Jace, che era appoggiato alla cornice della porta, si raddrizzò. «E come avrei dovuto baciarti? C'è un altro modo in cui ti piace?»
«No.» Le mani le tremavano in grembo. Erano fredde, bianche, raggrinzite dall'acqua. Intrecciò le dita per
mettere fine al tremito. «È che non voglio essere baciata da te.»
«Mi è sembrato che nessuno dei due avesse voce in capitolo.»
«È questo che non capisco!» Clary esplose. «Perché mi ha fatto baciare da te? La Regina, voglio dire. Perché costringerci a fare... quello? Quale piacere può averne tratto?»
«Hai sentito che cosa ha detto. Pensava di farmi un favore.»
«Non è vero.»
«È vero. Quante volte devo dirtelo? Il Popolo Fatato non mente.» Clary pensò a ciò che aveva detto Jace a casa di Magnus. Scopriranno ciò che vuoi più di ogni altra cosa al mondo e te lo offriranno... nascondendoci dentro un'insidia che ti farà rimpiangere di averlo mai desiderato.
«Allora si sbagliava.»
«Non si sbagliava.» Il tono di Jace era amaro. «Ha visto come ti guardavo e come tu guardavi me, e come Simon guardava te, e ci ha suonato come gli strumenti che siamo per lei.»
«Io non ti guardo» sussurrò Clary.
«Che cosa?»
«Ho detto: Io non ti guardo.» Allentò le mani che aveva tenuto agganciate in grembo. Nei punti in cui le dita erano state avvinghiate c'erano dei segni rossi. «O almeno ci provo.» Gli occhi di Jace erano socchiusi, attraverso le ciglia si intravedeva solo un bagliore d'oro, e Clary ricordò la prima volta che l'aveva visto e come le aveva ricordato un leone, dorato e implacabile. «Perché no?»
«Tu che pensi?» Le parole le uscirono quasi prive di suono, un semplice sussurro.
«Allora perché?» Gli tremava la voce. «Perché tutta la storia con Simon, perché tenermi lontano, non permettermi di starti vicino...» «Perché è impossibile» rispose Clary, e nonostante gli sforzi per controllarsi, l'ultima parola suonò come un lamento. «Lo sai come lo so io!»
«Perché sei mia sorella?» disse Jace. Clary annuì senza parlare.
«Già» disse Jace. «Per questo hai deciso che il tuo vecchio amico Simon può essere un'utile distrazione?»
«Non è così. Io voglio bene a Simon.»
«Come a Luke. Come a tua madre.»
«No.» La voce di Clary era fredda e pungente come un
ghiacciolo. «Non dirmi cosa sento.» Un piccolo muscolo si contrasse al lato della bocca di Jace. «Non ti credo.»
Clary si alzò. Non poteva incrociare il suo sguardo, perciò si concentrò sulla piccola cicatrice a forma di stella che aveva sulla spalla, ricordo di una vecchia ferita. Questa vita di cicatrici e morte,aveva detto una volta Hodge. Tu non ne fai parte. «Jace» disse. «Perché mi fai questo?»
«Perché mi stai mentendo. E stai mentendo a te stessa.» Gli occhi di Jace fiammeggiavano e, anche se aveva le mani infilate in tasca, Clary vedeva che erano chiuse a pugno. Qualcosa dentro di lei si incrinò e si spezzò e le parole si riversarono fuori. «Che cosa vuoi che ti dica? La verità? La verità è che voglio bene a
Simon come dovrei voler bene a te e vorrei che fosse lui mio fratello, e non tu, ma non posso farci niente, e neanche tu! O hai un idea migliore, visto che sei così dan
natamente in gamba?» Jace trattenne il fiato, e Clary si rese conto che non lui si aspettava - mai e poi mai - che lei potesse dire quello che aveva appena detto. Era evidente anche dall'espressione del suo viso. Clary cercò di recuperare il controllo di sé. «Jace, mi dispiace, non volevo...»
«No, non ti dispiace. Non dispiacerti.» Avanzò verso di lei, quasi inciampando nei propri piedi... Jace, che non incespicava mai, non inciampava mai in niente, non
faceva mai un movimento sgraziato. Le sue mani si alzarono e le presero il viso; Clary sentì il calore della punta delle sue dita a pochi millimetri dalla pelle; sapeva che avrebbe dovuto scostarsi, ma rimase lì immobile, lo sguardo alzato sudi lui. «Tu non capisci» disse Jace. Gli tremava la voce. «Non ho mai provato certi sentimenti per nessuno. Non credevo di esserne capace. Pensavo... il modo in cui sono cresciuto... mio padre...»
«Amare vuol dire distruggere» disse Clary stordita.
«Me lo ricordo.»
«Pensavo che quella parte del mio cuore fosse infranta» continuò Jace, e mentre parlava aveva un'espressione come di sorpresa per essersi sentito dire quelle parole, del mio cuore.
«Per sempre. Ma tu...»
«Jace. Basta.» Clary sollevò la mano e la mise su quella di Jace, chiudendogli le dita tra le proprie. «È inutile.»
«Non è vero.» C'era una punta di disperazione nella sua voce. «Se tutti e due proviamo la stessa cosa...»
«I nostri sentimenti non contano. Non possiamo farci niente.» Sentì la propria voce come se fosse un'estranea a parlare:remota, infelice. «Dove dovremmo andare per stare insieme? Come vivremmo?»
«Potremmo tenerlo segreto.»
«Lo scoprirebbero. Io non voglio mentire alla mia famiglia, e tu?» La risposta del ragazzo fu amara.
«Quale famiglia? I Lightwood mi odiano comunque.»
«Non è vero. E non potrei mai dirlo a Luke. E mia madre, se si sveglia, cosa le diremmo? Questo, anche se fosse ciò che vogliamo, farebbe stare male tutti quelli a cui teniamo...»
«Stare male?» Jace lasciò ricadere le mani dal suo viso come se lo avesse spinto via. Sembrava sbalordito. «Quello che proviamo... quello che provo... ti fa stare male?» Nel vedere la sua espressione, Clary trattenne il fiato. «Forse» disse in un sussurro. «Non lo so.»
«Allora avresti dovuto dirlo subito.»
«Jace...» Ma lui si era allontanato da lei, l'espressione chiusa e impenetrabile come un muro. Era difficile
credere che l'avesse mai guardata in un altro modo. «Mi dispiace di averne parlato, allora.» La sua voce era rigida, formale. «Non ti bacerò più. Puoi contarci.»
Il cuore di Clary fece una capriola lenta, inutile, mentre Jace si scostava da lei, prendeva un asciugamano da sopra la cassettiera e si avviava nuovamente verso il bagno. «Ma... Jace, che cosa fai?»
«Vado a finire la mia doccia. E se mi hai fatto rimanere senza acqua calda sarò molto seccato.» Entrò in bagno e si chiuse la porta alle spalle con un calcio.
Clary crollò sul letto come una marionetta a cui avessero tagliato i fili e alzò lo sguardo al soffitto. Era inespressivo come la faccia di Jace prima di voltarle le spalle. Rotolando su un fianco, si rese conto di essere stesa sulla maglia blu di lui: aveva il suo odore, un misto di sapone, fumo e sangue dal sapore di rame. Si raggomitolò intorno ad essa come una volta, quando
era molto piccola, si raggomitolava intorno alla sua coperta preferita, poi chiuse gli occhi. Nel sogno, abbassava lo sguardo sull'acqua scintillante distesa ai suoi piedi come uno specchio sconfinato che rifletteva il cielo notturno. E come uno specchio era solido e duro, e poteva camminarci sopra. Camminò annusando l'aria notturna e l'odore della città che scintillava in lontananza come un castello di fate avvolto dalle luci... e là dove camminava, crepe simili a ragnatele si irradiavano dalle sue orme e schegge di ghiaccio
schizzavano su come spruzzi d'acqua. Il cielo cominciò a rischiararsi. Era illuminato da punti infuocati simili a capocchie di fiammiferi che cadevano giù, una pioggia di carboni ardenti dal cielo. Clary si acquattò, alzando le braccia. Uno precipitò proprio davanti a lei, ma quando toccò terra divenne un ragazzo: era Jace, tutto
vestito di oro ardente, con i suoi occhi dorati e i capelli dorati, e dalla schiena gli spuntavano ali bianco-dorate più grandi e più fitte di piume che quelle di qualsiasi altro uccello. Sorrise come un gatto e indicò un punto dietro di lei, e quando si girò, Clary vide un ragazzo dai capelli neri - Simon! - con lo stesso aspetto di sempre... a parte le ali, che spuntavano anche dalla sua schiena, con piume nere come la notte, ognuna con le punte sporche di sangue.Clary si svegliò boccheggiando, le mani strette sulla maglia di Jace. Era buio nella stanza, l'unica luce proveniva dalla finestrella accanto al letto. Si mise a sedere. Si sentiva la testa pesante e le doleva la nuca. Esaminò lentamente la stanza e sussultò quando vide un punto luminoso come un occhio di gatto nel buio. Jace sedeva in una poltrona accanto al letto. Portava i jeans e un maglione grigio e aveva i capelli quasi asciutti. Aveva in mano qualcosa che mandava bagliori metallici. Un'arma? Clary non riusciva a immaginare da cosa Jace potesse stare in guardia, lì all'Istituto.
«Hai dormito bene?» Lei annuì. Si sentiva la bocca impastata. «Perché non mi hai svegliato?»
«Pensavo che avessi bisogno di riposo. E poi dormivi come un ghiro. Hai perfino sbavato» aggiunse «sulla mia maglia.» La mano di Clary volò alla bocca. «Scusa.»
«Non capita spesso di vedere qualcuno che sbava» osservò Jace. «Soprattutto con un abbandono così totale. La bocca spalancata e tutto.»
«Oh, stai zitto.» Cercò a tastoni sul copriletto finché non individuò il telefono e lo controllò di nuovo, anche se sapeva cosa avrebbe visto. Nessuna chiamata.
«Sono le tre del mattino» osservò costernata. «Pensi che Simon stia bene?»
«Penso che è un tipo bislacco» disse Jace. «Ma questo ha poco a che fare con l'ora.» Clary si ficcò il telefono nella tasca dei jeans. «Vado a cambiarmi.» Il bagno bianco di Jace non era più grande di quello di Isabelle, ma decisamente più ordinato. Non c'era una grande varietà, tra le stanze dell'Istituto, pensò Clary chiudendosi la porta alle spalle, ma almeno c'era la
privacy. Si sfilò la maglietta bagnata e la appese al portasciugamani, si spruzzò dell'acqua sul viso e si passò un pettine tra i ricci ribelli. La maglia di Jace le andava decisamente troppo grande, ma era morbida
sulla pelle. Si arrotolò le maniche e tornò nella st
anza, dove trovò Jace seduto esattamente dov'era prima, lo sguardo accigliato sull'oggetto luminoso che aveva tra le mani. Clary si sporse oltre la spalliera della poltrona.

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