Capitolo 19 (2^parte)

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Ti sei messo su proprio un bel posticino, padre,pensò Jace. I disadorni interni industriali della nave mal si accordavano con il Valentine che lui conosceva, meticoloso perfino sul tipo di cristallo di cui dovevano essere fatte le sue caraffe. Jace si guardò attorno. Era un labirinto, laggiù; non c'era verso di capire in quale direzione andare. Si girò per scendere anche la
scala successiva e notò una macchia rosso scuro sul pavimento di metallo. Sangue. Ci strofinò sopra la punta dello stivale. Era ancora umido, leggermente appiccicoso. Sangue fresco. Il battito gli accelerò. Mentre avanzava sulla passerella notò un'altra chiazza di sangue, e poi un'altra un po' più in là, come la pista di briciole di pane delle favole. Jace seguì il sangue facendo echeggiare sonoramente gli stivali sulla passerella di metallo. La disposizione degli schizzi di sangue era particolare, non come se ci fosse stata una lotta, ma piuttosto come se qualcuno fosse stato trasportato, sanguinante, lungo la passerella... Raggiunse una porta. Era fatta di metallo nero, punteggiata qua e là da ammaccature e scheggiature argentee. Intorno al pomello c'era un'impronta
insanguinata. Stringendo più forte lo spuntone dentellato, Jace spinse la porta e la aprì. Un'ondata di aria ancora più fredda lo colpì e lo fece rimanere senza fiato. La stanza era vuota, fatta eccezione per un tubo di metallo che correva lungo una parete e quel che sembrava un fagotto di tela da sacco nell'angolo. Una luce fievole entrava da un oblò,in alto sulla parete. Mentre Jace avanzava guardingo, la luce colpì il fagotto informe nell'angolo e lui si rese conto che non si trattava di rifiuti, ma di un corpo. Il cuore cominciò a battergli violentemente, come una porta aperta durante una tempesta di vento. Il pavimento metallico era appiccicoso di sangue. Gli stivali se ne staccavano con uno sgradevole risucchio mentre Jace attraversava la stanza e si curvava accanto alla figura gettata nell'angolo. Era un ragazzo dai capelli castani con indosso dei jeans e una maglietta azzurra zuppa di sangue. Jace prese il corpo per la spalla e lo sollevò. Quello si rovesciò, floscio e molle, gli occhi castani fissi all'insù incapaci di vedere. A Jace si bloccò il fiato in gola. Era Simon. Era bianco come un cencio. Aveva un brutto squarcio alla base della gola ed entrambi i polsi tagliati, solcati da due ferite aperte con i bordi irregolari. Jace crollò in ginocchio continuando a tenere Simon per la spalla. Pensò disperatamente a Clary, al suo dolore quando lo avrebbe scoperto, al modo in cui aveva stretto le sue mani nelle proprie, a quanta forza c'era in quelle piccole dita. Trova Simon. So che lo farai.
E l'aveva fatto. Ma era troppo tardi. Quando Jace aveva dieci anni, suo padre gli aveva spiegato tutti i modi per uccidere i vampiri. Impalarli. Tagliare loro le teste e incendiarle, come bizzarre lanterne di zucca. Lasciarli bruciare e ridurre in cenere dal sole. Oppure dissanguarli. Avevano bisogno di sangue per vivere, ne erano alimentati, come le auto dalla benzina. Guardando la ferita frastagliata nella gola di Simon, non era difficile capire che cosa aveva fatto Valentine.
Jace allungò la mano per chiudere gli occhi a Simon. Se Clary doveva vederlo morto, meglio che non lo vedesse così. Abbassò la mano verso il colletto della maglietta per sollevarlo in modo dacoprire lo squarcio. Simon si mosse. Le sue palpebre tremolarono e si aprirono, gli occhi si rovesciarono mostrando il bianco. Poi lui emise un fievole suono gutturale, le labbra ritratte a mostrare le punte delle zanne da vampiro. Il respiro risuonò nella gola recisa. La nausea montò in fondo alla gola di Jace, la sua mano si strinse sul colletto della maglietta. Non era morto. Ma, Dio, il dolore doveva essere incredibile. Non poteva guarirlo, non poteva rigenerarlo, non senza... Non senza sangue. Jace lasciò la maglietta di Simon e si rimboccò la manica destra con i denti. Servendosi dell'estremità dentellata dello spuntone rotto, si praticò un profondo taglio sul polso nel senso della lunghezza. Il sangue sgorgò sulla superficie della pelle. Jace lasciò cadere lo spuntone, che rotolò tintinnando sul pavimento di metallo, e sentì nell'aria l'odore acuto, come di rame, del proprio sangue. Abbassò lo sguardo su Simon, che non si era mosso. Adesso il sangue gli scorreva lungo la mano, il polso gli bruciava. Lo protese sul viso del ragazzo a terra, lasciando che il sangue gli gocciolasse dalle dita e si versasse sulla bocca di Simon. Nessuna reazione. Simon non si muoveva. Jace si avvicinò; adesso era in ginocchio sopra di lui, il fiato che formava sbuffi bianchi nell'aria gelida. Si curvò, premette il polso sanguinante contro la bocca di Simon. «Bevi il mio sangue, idiota» sussurrò. «Bevilo.» Per un attimo non successe niente. Poi gli occhi di Simon tremolarono e si schiusero. Jace sentì un'intensa fitta al polso, una specie di strappo, una forte pressione... poi la mano destra di Simon si alzò di scatto e gli agguantò il braccio subito sopra il gomito. La schiena di Simon si inarcò sul pavimento, la pressione sul polso di Jace aumentò mentre le zanne si conficcavano più a fondo. Il dolore gli guizzò su per il braccio. «Okay» disse Jace. «Okay, basta.» Simon aprì gli occhi. Il bianco non si vedeva più, le iridi marrone scuro misero a fuoco Jace. Aveva un po' di colore sulle guance, un rossore intenso, come se avesse la febbre. Le labbra erano leggermente socchiuse, le zanne bianche macchiate di sangue.
«Simon?» fece Jace. Simon si alzò. Si mosse con incredibile velocità, spingendo di lato Jace e rotolandogli sopra. Jace sbatté la testa sul pavimento di metallo e si sentì ronzare le orecchie mentre i denti di Simon gli affondarono nel collo. Cercò di divincolarsi, ma le braccia dell'altro ragazzo erano come sbarre di
ferro e lo inchiodavano a terra, le dita conficcate nelle spalle. Simon però non gli stava facendo male, non proprio: il dolore inizialmente acuto si ridusse a una sorta di debole bruciatura, gradita come poteva esserlo la bruciatura di uno stilo. Un sonnolento senso di pace si insinuò nelle vene di Jace, che sentì i muscoli
rilassarsi; le mani, che un attimo prima provavano a spingere via Simon,ora lo stringevano a sé. Percepiva
il battito del proprio cuore, lo sentiva rallentare, mentre i colpi si attutivano ed echeggiavano più sommessamente. Un'oscurità scintillante gli scivolò agli angoli degli occhi, bella e strana. Jace chiuse gli occhi...
Il dolore gli trafisse il collo. Lui ansimò e spalancò gli occhi: Simon gli sedeva sopra, fissandolo con sguardo stupito, la mano sulla bocca. Le sue ferite erano scomparse, ma il sangue fresco gli macchiava il davanti della maglietta. Jace avvertiva di nuovo il dolore delle
spalle contuse, del taglio sul polso, della gola trafitta. Non si sentiva più pulsare il cuore, ma sapeva che gli
batteva violentemente nel petto. Simon si tolse la mano dalla bocca. Le zanne erano scomparse. «Avrei potuto ucciderti» confessò. Aveva un tono di supplica nella voce.
«Te l'avrei lasciato fare» disse Jace. Simon abbassò lo sguardo su di lui, poi emise un verso dal profondo della gola. Rotolò via e atterrò sul pavimento con le ginocchia. Jace scorgeva lo scuro disegno delle sue vene attraverso la pelle sottile della gola, linee ramificate azzurrine e violacee. Vene piene di sangue. Il mio sangue. Jace si alzò a sedere. Cercò a tastoni lo stilo. Passarselo sul braccio fu come trascinare un tubo di piombo attraverso un campo da calcio. Quando terminò l'iratze,appoggiò la testa alla parete dietro di sé respirando affannosamente, mentre il dolore lo
abbandonava via via che la runa guaritrice faceva effetto. Il mio sangue nelle sue vene.
«Mi dispiace» disse Simon. «Mi dispiace tanto.» Grazie alla runa, la testa di Jace cominciò a schiarirsi e i colpi violenti nel petto rallentarono. Lui si alzò in piedi, con cautela, aspettandosi un'ondata di vertigini, ma si
sentiva solo un po' debole e stanco. Simon era ancora in ginocchio e si guardava le mani. Jace allungò un braccio, lo afferrò per la maglietta e lo sollevò. «Non scusarti» disse, lasciandolo andare. «E adesso muoviamoci. Valentine ha Clary e non ci resta molto tempo.» Nell'attimo in cui le sue dita si chiusero intorno all'elsa di Mellartach, Clary sentì un dardo ardente sfrecciarle su per il braccio. Valentine la guardava con un'espressione di moderato interesse mentre lei rimaneva senza fiato per il dolore e le si intorpidivano le dita. Strinse disperatamente la spada, che però le scivolò dalle dita e cadde rumorosamente a terra ai suoi piedi. Vide a malapena Valentine muoversi.
Un attimo dopo se lo ritrovò di fronte con la Spada in pugno. Clary aveva delle fitte alla mano. Abbassò lo
sguardo e si accorse che lungo il palmo si stava formando una piaga rossa e bruciante.
«Credevi davvero» disse Valentine con una sfumatura di disgusto nella voce «che ti avrei lasciato avvicinare a un'arma di cui pensavo tu potessi servirti?» Scosse la testa. «Non hai capito neanche una parola di quello che ho detto, vero? A quanto pare dei miei due figli solo uno sembra in grado di capire la verità.» Clary chiuse la mano ferita a pugno, salutando il dolore quasi con gioia.
«Se alludi a Jace, anche lui ti odia.» Valentine brandì la Spada, portandone la punta all'altezza della clavicola
di Clary. «Ora basta» disse. La punta della Spada era acuminata;quando Clary respirò le punse la gola e un rivoletto di sangue le colò sul petto. Il tocco di Mellartach sembrò riversarle del gelo nelle vene, mandandole frammenti di ghiaccio pungente attraverso le braccia e le gambe, facendole intorpidire le mani.
«Sei stata rovinata dall'educazione che hai ricevuto» disse Valentine.
«Tua madre è sempre stata una donna cocciuta. All'inizio era una delle cose che amavo in lei. Pensavo che sarebbe rimasta fedele ai suoi ideali.» Strano, pensò Clary con una sorta di orrore distaccato, come la prima volta che l'aveva visto, a Renwick, suo padre avesse fatto sfoggio del suo notevole carisma a beneficio di Jace. Adesso non se ne curava, e senza la sua patina superficiale di fascino, Valentine sembrava... vuoto. Come una statua cava, gli occhi ritagliati a mostrare solo l'oscurità al suo interno.
«Dimmi, Clarissa... tua madre ti ha mai parlato di me?»
«Mi ha detto che mio padre era morto.» Non dire altro,
si ammonì, ma era sicura che lui le avrebbe letto negli occhi il resto della frase. E vorrei che avesse detto la verità.
«E non ti ha mai detto che eri diversa? Speciale?» Clary deglutì e la punta della lama affondò un po' di più. Altro sangue le gocciolò sul petto. «Non mi ha ma
i detto che ero una Shadowhunter.»
«Sai perché» chiese Valentine percorrendo con lo sguardo la Spada fino a lei «tua madre mi ha lasciato?» Le lacrime bruciavano la gola di Clary. Lei emise un suono soffocato.
«Vuoi dire che è stato per una sola ragione?»
«Mi ha detto» continuò Valentine come se lei non avesse parlato «che avevo trasformato il suo primo figlio in un mostro. E che mi lasciava prima che facessi lo stesso con la seconda. Con te. Ma era troppo tardi.»
Il gelo in gola e negli arti era così intenso che Clary ormai non tremava neanche più. Era come se la Spada la stesse trasformando in ghiaccio.
«Non può averlo detto» sussurrò. «Jace non è un mostro. E nemmeno io.» La botola sopra di loro si spalancò e due sagome scure si lasciarono cadere dall'apertura, atterrando proprio dietro a Valentine. La prima, notò Clary con una viva sensazione di sollievo, era Jace, che fendette l'aria come una freccia scoccata da un arco, sicuro di quale fosse il suo bersaglio. Atterrò con una leggerezza priva di incertezze. In una mano stringeva uno spuntone di acciaio macchiato di sangue,la cui estremità spezzata si era trasformata in una punta micidiale. La seconda figura atterrò accanto a Jace, se non con la stessa grazia, con la stessa leggerezza. Clary scorse il contorno di un ragazzo snello con i capelli scuri e pensò:
Alec. Fu solo quando lui si raddrizzò e lei riconobbe il viso familiare che si rese conto di chi era. Dimenticò la Spada, il freddo, la gola dolorante, dimenticò tutto.
«Simon!» Simon la guardò attraverso la stanza. I loro occhi si incontrarono solo per un attimo e Clary sperò che potesse leggerle in viso il sollievo assoluto e travolgente. Le lacrime incombenti arrivarono e le rigarono le guance. Non si mosse per asciugarle. Valentine voltò la testa per guardarsi alle spalle e la sua bocca si curvò nella prima espressione di sorpresa
sincera che Clary avesse mai visto sul suo volto. Si girò per affrontare Jace e Simon. Nell'istante in cui la punta della Spada lasciò la gola di Clary, il gelo defluì da lei, trascinando con sé tutta la sua forza. Si accasciò sulle ginocchia tremando in maniera incontrollabile. Quando alzò le mani per asciugarsi le
lacrime dal viso, vide che aveva le punte delle dita bianche per un inizio di congelamento. Jace la fissò inorridito, quindi guardò il padre. «Che cosale hai fatto?»
«Niente» rispose Valentine, riacquistando il controllo di sé. «Per ora.» Con sorpresa di Clary, Jace impallidì, come se le parole del padre lo avessero colpito.
«Sono io che dovrei chiederti che cosa hai fatto, Jonathan» continuò Valentine e, sebbene parlasse al figlio, teneva gli occhi puntati su Simon.
«Perché è ancora vivo? I morti viventi possono rigenerarsi, ma non se non hanno abbastanza sangue in corpo.»
«Parli di me?» chiese Simon. Clary fece tanto d'occhi. Simon sembrava diverso. Non sembrava un ragazzino che faceva lo strafottente con un adulto, ma qualcuno che sentiva di poter affrontare Valentine Morgenstern da pari a pari. Qualcuno che era degno di affrontarlo da pari da pari. «Ah, giusto, mi hai lasciato come morto. Be', diciamo ancora più morto.»
«Zitto.» Jace gli lanciò un'occhiata assassina; i suoi occhi erano scurissimi. «Lascia che sia io a rispondere.» Si rivolse al padre. «Ho fatto bere a Simon il mio sangue. Per non lasciarlo morire.» Il viso già severo di Valentine assunse dei lineamenti ancora più duri, come se le ossa spingessero attraverso la pelle.«Hai fatto bere il tuo sangue a un vampiro di tua spontanea volontà?» Jace sembrò esitare un momento... lanciò un'occhiata a Simon, che fissava Valentine con un'espressione di intenso odio. Poi rispose con cautela: «Sì.»
«Tu non hai idea di che cosa hai fatto, Jonathan» disse Valentine con una voce terribile.
«Nessuna idea.»
«Ho salvato una vita» ribatté il figlio. «Una vita che tu
avevi provato a distruggere. Questo è quello che so.»
«Non una vita umana» ribatté Valentine. «Hai resuscitato un mostro che non farà che uccidere per nutrirsi ancora. Quelli della sua razza sono sempre affamati...»
«Anche adesso ho fame» disse Simon,e sorrise scoprendo le zanne che erano scivolate fuori dalle loro guaine. Scintillarono bianche e appuntite contro il labbro inferiore. «Non mi dispiacerebbe un altro po' di sangue. Il tuo probabilmente mi farebbe strozzare, si capisce, velenoso pezzo di...»
Valentine si mise a ridere. «Vorrei proprio vederti provare a farlo, morto vivente. Quando la Spada dell'Anima ti colpirà,morirai bruciato.» Clary vide gli occhi di Jace posarsi sulla Spada e quindi su di lei. Contenevano una tacita domanda. Disse svelta: «La Spada non è stata trasformata. Non del tutto. Non ha preso il sangue di Maia, perciò non ha terminato la cerimonia...» Valentine si girò verso di lei, la Spada in pugno, e Clary lo vide sorridere. La lama sembrò guizzare nella sua mano, e poi qualcosa la colpì... fu come essere travolta da un'onda, spinta giù e poi sollevata contro la propria volontà e lanciata in aria. Ruzzolò sul pavimento senza potersi fermare finché non colpì brutalmente la paratia. Si raggomitolò a terra, ansimando per l'affanno e il dolore. Simon si lanciò di corsa verso di lei. Valentine brandì la Spada dell'Anima, facendo sollevare una cortina di puro fuoco ardente il cui calore lo travolse e lo fece indietreggiare barcollando. Clary si sforzò di alzarsi sui gomiti.Aveva la bocca piena di sangue. Intorno a lei il mondo vacillava e si chiese quanto forte avesse battuto la testa e se stesse per svenire. Si augurò di rimanere cosciente. Il fuoco si era ritirato, ma Simon era ancora accovacciato
sul pavimento. Valentine lanciò una rapida occhiata a
lui e poi a Jace. «Se adesso uccidi il morto vivente, sei ancora in tempo a disfare quello che hai fatto.»
«No» sussurrò Jace.
«Basta che usi l'arma che tieni in mano e gliela conficchi nel cuore.» La voce di Valentine era dolce. «Un semplice gesto. Nulla che tu non abbia già fatto.»
Jace incrociò gli occhi del padre con sguardo tranquillo. «Ho visto Agramon. Aveva le tue sembianze.»
«Hai visto Agramon?» La Spada dell'Anima scintillò mentre Valentine avanzava alla volta del figlio. «E sei sopravvissuto?»
«L'ho ucciso.»
«Hai ucciso il Demone della Paura, ma ti rifiuti di uccidere un vampiro, e perfino su mio ordine?» Jace rimaneva immobile e fissava Valentine senza espressione. «È un vampiro, è vero. Ma si chiama Simon.» Valentine si fermò davanti al figlio. La Spada dell'Anima ardeva di una violenta luce nera. Per un istante terribile Clary si chiese se intendesse trafiggere Jace sul posto e se Jace intendesse lasciarglielo fare. «Allora devo arguire» disse Valentine «che non hai cambiato idea? Quello che mi hai detto la prima volta che sei venuto qui era la tua ultima parola, o ti penti di avermi disobbedito?» Jace scosse adagio la testa. Una mano stringeva ancora lo spuntone rotto, ma l'altra, la destra, era alla vita e sfilava qualcosa dalla cintura. I suoi occhi, però, non si staccavano da Valentine, e Clary non poteva dire se
questo vedesse o meno cosa stava facendo. Sperava di no. «Sì» disse Jace «mi pento di averti disobbedito.»
No! pensò Clary, con un tuffo al cuore. Stava mollando, pensava che fosse l'unico modo per salvare lei e Simon?
Il viso di Valentine si addolcì. «Jonathan...»
«Soprattutto» continuò Jace «perché conto di rifarlo. Proprio adesso.» La sua mano si mosse veloce come un lampo di luce e qualcosa sfrecciò in aria verso Clary e cadde a pochi centimetri da lei, tintinnando e rotolando sul metallo. Clary spalancò gli occhi. Era lo stilo di sua madre. Valentine scoppiò a ridere. «Uno
stilo? Jace, è uno scherzo? O hai finalmente...?» Clary non sentì il resto della frase; si issò in piedi ansimando per il dolore che le trafiggeva la testa. Le lacrimavano gli occhi, aveva la vista annebbiata; allungò la mano tremante verso lo stilo... e quando le sue dita lo toccarono, si sentì in testa una voce, chiara come se su
a madre fosse lì accanto. Prendi lo stilo, Clary. Usalo. Sai cosa fare.Le sue dita si chiusero spasmodicamente
intorno al cilindretto. Lei si mise a sedere, ignorando l'ondata di dolore che le attraversò la testa e le scese
lungo la spina dorsale. Era una Cacciatrice, e il dolore era qualcosa con cui doveva convivere. Sentì vagamente Valentine che la chiamava per nome, sentì i suoi passi avvicinarsi... e si gettò contro la paratia, spingendo lo stilo in avanti con tale forma che, quando la sua punta toccò il metallo, le parve di sentire lo sfrigolio di qualcosa che bruciava. Cominciò a disegnare. Come succedeva sempre quando lo faceva, il
mondo si allontanò e rimasero solo lei, lo stilo e il metallo su cui disegnava. Si ricordò di quando era fuori della cella di Jace sussurrando tra sé e sé: Apriti apriti, apriti,e capì che aveva impiegato tutte le sue forze per creare la runa che ne aveva spezzato i vincoli. E capì an
che che la forza che aveva messo in quella runa non equivaleva a un decimo né a un centesimo della forza che stava mettendo in questa. Si sentì le mani bruciare e gridò, mentre faceva scorrere lo stilo sulla parete di metallo, lasciandosi dietro una spessa linea simile a una cicatrice. Apriti.Tutta la sua frustrazione, tutta la sua delusione, tutta la sua rabbia passarono dalle sue dita allo stilo e alla runa. Apriti. Tutto il suo amore, tutto il
suo sollievo nel vedere Simon vivo, tutta la sua speranza che potessero ancora sopravvivere. Apriti!La mano le cadde in grembo continuando a stringere lo stilo. Per un istante regnò un silenzio assoluto, mentre tutti Jace, Valentine, perfino Simon  fissavano insieme a lei la runa che ardeva sulla paratia della nave. Fu Simon a parlare, rivolto a Jace: «Che cosa dice?» Ma fu Valentine a rispondere, senza staccare gli occhi dalla parete. Aveva sul viso un'espressione... non era affatto l'espressione che Clary si aspettava, un'espressione in cui si mescolavano trionfo e orrore, disperazione e gioia. «Dice: Mene mene tekel upharsin.» Clary si alzò barcollando. «Non è vero» sussurrò. «Dice: Apriti.»
Valentine incrociò il suo sguardo. «Clary...» Lo stridore del metallo soffocò le sue parole. La parete su cui Clary aveva disegnato, una parete fatta di lastre di solido acciaio, si flesse e tremò. I bulloni si strapparono dai loro alloggiamenti e la sala fu invasa da getti di
acqua. La ragazza sentì Valentine gridare, ma  la sua voce fu soffocata dal rumore assordante del metallo divelto da altro metallo, mentre ogni bullone, ogni vite e ogni ribattino che teneva insieme l'enorme nave cominciava a strapparsi dalla propria sede. Provò a correre verso Jace e Simon, ma cadde in ginocchio, mentre un'altra ondata di acqua si riversava dalla falla che si allargava nella parete. Questa volta l'onda la travolse, l'acqua gelida la trascinò sotto. Da qualche parte Jace la chiamò, la voce alta e disperata al di sopra del cigolio della nave. Clary gridò il suo nome prima di essere risucchiata fuori dalla falla sbrecciata della paratia ed essere trascinata nel fiume. Si rigirò e scalciò nell'acqua nera. Fuinvasa dal terrore, terrore delle tenebre cieche e delle profondità del fiume, dei milioni di tonnellate di liquido che la circondavano e la
schiacciavano, togliendole l'aria dai polmoni. Non capiva dov'era il sopra e dov'era il sotto e in che direzione nuotare. Non poté più trattenere il fiato. Aspirò una boccata di acqua sporca, il petto che le scoppiava dal dolore, le stelle che le esplodevano dietro gli occhi. Nelle sue orecchie il suono delle acque impetuose fu sostituito da un canto sonoro, dolce, incredibile. Sto morendo,pensò meravigliata. Due mani pallide si protesero nell'acqua nera e la attirarono a sé. Lunghi capelli le fluttuarono intorno. Mamma,pensò Clary, ma prima che potesse vedere con chiarezza il viso della madre, l'oscurità le chiuse gli occhi.

Shadowhunters- città di Cenere Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora