Capitolo 15 (2^parte)

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Quando fu la volta della terza spada, Sandalphon, Jace si rese conto di cosa stava facendo. La prima era stata
infilata nel pavimento a sud, rispetto a lui, quella dopo a est e la terza a nord. L'Inquisitrice stava segnando i
punti cardinali. Cercò di ricordare cosa potesse significare, ma invano. Era chiaramente un rituale del Conclave, che esulava da tutto ciò che gli era stato insegnato. Quando l'Inquisitrice prese la quarta spada, Taharial, Jace aveva i palmi sudati e irritati nei punti in cui sfregavano l'uno contro l'altro. L'Inquisitrice si raddrizzò con aria soddisfatta di sé. «Ecco.»
«Ecco cosa?» chiese Jace, ma lei alzò una mano.
«Non ancora, Jonathan. Non ho ancora finito.» Si
spostò accanto alla spada più a sud e ci si inginocchiò davanti. Con un rapido movimento tirò fuori uno stilo e tracciò una runa scura sul pavimento, appena sotto la lama. Quando si rialzò, nella stanza echeggiò uno scampanio dolce, penetrante e delicato. La luce si riversò dalle quattro spade angeliche, talmente
accecante che Jace distolse il viso e socchiuse gli occhi. Quando, un attimo dopo, li riaprì, vide che si trovava in
una gabbia le cui pareti sembravano intessute di filamenti di luce. Non erano ferme, ma vibravano simili a cortine di pioggia illuminata. Ora l'Inquisitrice gli appariva quasi sfocata, dietro la parete scintillante.
Quando la chiamò, perfino la sua voce sembrò tremula e sorda, come se parlasse sott'acqua. «Che cos'è questo? Che cosa hai fatto?» Lei rise. Infuriato, Jace fece un passo avanti e poi un altro;le sue spalle sfiorarono la parete scintillante. Come se avesse toccato un recinto elettrificato, fu attraversato con la violenza di una bastonata da una scossa pulsante che gli tagliò le gambe. Ruzzolò goffamente sul pavimento, incapace di servirsi delle mani per attutire la caduta.
L'Inquisitrice rise di nuovo. «Se provi ad attraversare
la parete, riceverai altre scosse. Il Conclave chiama questa particolare punizione Configurazione Malachi. Queste pareti non possono essere infrante finché le spade angeliche rimangono dove sono. Io non lo farei» aggiunse quando Jace, in ginocchio, fece un movimento verso la spada più vicina. «Tocca la spada e morirai.»
«Ma tu puoi toccarle» disse Jace, incapace di tenere l'odio fuori dalla sua voce.
«Posso, ma non voglio farlo.»
«Ma... il cibo? L'acqua?»
«Tutto a suo tempo, Jonathan.» Jace si alzò. Attraverso la parete tremolante, la vide girarsi come per andarsene.
«Ma le mie mani...» Abbassò lo sguardo sui polsi legati. Il metallo ardente gli penetrava nella carne come un acido. Il sangue sgorgava intorno alle manette di fuoco.
«Avresti dovuto pensarci prima di andare da Valentine.»
«Non stai facendo in modo che io tema la vendetta del Consiglio. Peggio di te non potrà essere.»
«Oh, non andrai davanti al Consiglio» disse l'Inquisitrice. Nella sua voce c'era una calma imperturbabile che a Jace non piacque affatto.
«Che cosa significa che non andrò davanti al Consiglio? Sbaglio o avevi detto che domani mi avresti portato a Idris?»
«No. Sto pensando di restituirti a tuo padre.» Per poco lo shock provocato da queste parole non gli tagliò di nuovo le gambe. «Mio padre?»
«Tuo padre. Sto pensando di scambiarti con gli Strumenti Mortali.» Jace la fissò. «Stai scherzando.»
«Neanche per sogno. È più semplice di un processo. Naturalmente sarai bandito dal Conclave» aggiunse, come per un ripensamento. «Ma suppongo che te l'aspettassi.» Jace fece di no con la testa. «Tu non hai capito con chi hai a che fare. Spero che te ne renda conto.» Un'espressione di fastidio balenò sul volto dell'Inquisitrice. «Credevo che avessimo liquidato la questione della tua presunta innocenza, Jonathan.»
«Non parlavo di me. Parlavo di mio padre.» Per la prima volta da quando la conosceva, Imogen sembrò confusa. «Non capisco cosa vuoi dire.»
«Mio padre non scambierà mai gli Strumenti Mortali con me.» Le parole di Jace erano amare, ma non il tono. Era realistico.«Lascerebbe che tu mi uccidessi davanti a lui pur di non cederti la Spada o la Coppa.» L'Inquisitrice scosse la testa. «Non capisci» disse con una sfumatura di risentimento nella voce. «I figli non capiscono mai l'amore di un genitore... Al mondo non c'è nulla di simile. Nessun amore è così travolgente. Nessun
padre, neppure Valentine, sacrificherebbe suo figlio per un pezzo di metallo, per quanto potente esso sia.»
«Non lo conosci. Ti riderà in faccia e ti offrirà dei soldi per spedire il mio corpo a Idris.»
«Non dire assurdità...»
«Hai ragione» disse Jace. «A pensarci bene, probabilmente farà pagare a te le spese di spedizione.»
«Vedo che sei sempre il figlio di tuo padre. Tu non vuoi che lui perda gli Strumenti Mortali... significherebbe una perdita di potere anche per te. Non vuoi vivere la tua vitacome il figlio disonorato di un criminale, quindi dirai qualsiasi cosa pur di farmi cambiare idea. Ma non ci riuscirai.»
«Senti.» Nonostante il cuore che martellava, Jace cercò di parlare con calma: lei doveva credergli. «So che mi odi. So che mi credi un bugiardo come mio padre. Ma ora sto dicendo la verità. Mio padre crede  ciecamente in ciò che fa. Tu pensi che lui sia malvagio. Lui invece pensa di essere nel giusto. Pensa di compiere l'opera di Dio. Non rinuncerà a tutto questo per me. Se mi stavi seguendo quando sono andato da lui, devi avere sentito cos'ha detto...»
«Ti ho visto parlare con lui» disse l'Inquisitrice. «Ma non ho sentito nulla.» Jace imprecò sottovoce. «Ascolta, sono pronto a giurare su tutto quello che vuoi per dimostrarti che non sto mentendo. Si sta servendo della Spada e della Coppa per invocare i demoni e controllarli. Più tempo perdi con me, più sarà in grado di creare un suo esercito. Quanto ti renderai conto che non accetterà lo scambio, non avrai più alcuna possibilità di sconfiggerlo...» L'Inquisitrice distolse lo sguardo con un lamento di disgusto. «Sono stanca delle tue menzogne.» Vedendola dargli le spalle e avanzare a grandi passi verso la porta, Jace trattenne il fiato incredulo. «Ti prego!» gridò. L'Inquisitrice si fermò davanti alla porta e si voltò a guardarlo. Jace distingueva soltanto le ombre spigolose del suo viso, il mento appuntito e le scure cavità delle orbite. I suoi abiti grigi si fondevano con l'oscurità, facendola apparire un teschio fluttuante privo di corpo. «Non credere» disse  «che restituirti a tuo padre sia quello che voglio fare. Valentine merita qualcosa di meglio.»
«Cosa merita?»
«Di tenere tra le braccia il cadavere di suo figlio. Di vedere suo figlio morto e sapere che non c'è nessuna magia, nessun incantesimo, nessun patto con l'inferno in grado di restituirglielo...» L'Inquisitrice si interruppe
«Dovrebbe sapere che cosa significa» aggiunse in un sussurro, e spinse la porta, grattando con le mani sul legno. L'uscio si chiuse alle sue spalle con uno scatto, lasciando Jace, i polsi in fiamme, con lo sguardo turbato. Clary attaccò il telefono con aria accigliata. «Non risponde.»
«Chi stai chiamando?» Luke era alla quinta tazza di caffè e Clary cominciava a preoccuparsi per lui. Esisteva sicuramente una cosa come l'avvelenamento da caffeina, no? Non sembrava prossimo a un colpo apoplettico o qualcosa del genere, ma tornando al tavolo, Clary, per ogni evenienza, tolse furtivamente la spina del percolatore. «Simon?»
«No. Mi fa strano svegliarlo durante il giorno, anche se ha detto che non lo disturba, purché non veda la luce
del sole.»
«Allora...»
«Chiamavo Isabelle. Per sapere cosa succede a Jace.»
«Non risponde?»
«No.» Lo stomaco di Clary brontolò. Andò al frigorifero, prese uno yogurt alla pesca e lo mangiò macchinalmente, senza sentirne il sapore. Era a metà vasetto quando si ricordò qualcosa. «Maia. Dovremmo controllare se è okay.» Mise giù lo yogurt. «Vado io.»
«No, io sono il suo capobranco. Si fida di me. Posso calmarla, se è sconvolta» disse Luke. «Torno subito.»
«Non dirlo» lo pregò Clary.
«È una cosa che odio!» Luke fece un sorriso storto e imboccò il corridoio. Nel giro di pochi minuti fu di ritorno con un'espressione inquieta.
«È andata.»
«Andata? Andata come?»
«Voglio dire che se l'è filata alla chetichella. Ha lasciato questo.» Gettò sul tavolo un pezzo di carta ripiegato. Clary lo prese e lesse con la fronte
aggrottata le frasi che vi erano scarabocchiate. Scusa per tutto. Vado a mettere una pezza. Grazie per quello che hai fatto. Maia.
«Vado a mettere una pezza? Che significa?» Luke sospirò. «Speravo che lo sapessi tu.»
«Sei preoccupato?»
«I demoni Raum sono cani da riporto» disse Luke. «Trovano le persone e le consegnano a chiunque li abbia invocati. Quel demone potrebbe essere ancora sulle sue tracce.»
«Oh» fece Clary sottovoce. «Be', suppongo che volesse dire che andava da Simon.» Luke sembrò sorpreso. «Sa dove abita?»
«Non lo so» ammise Clary. «Per certi versi sembrano intimi. Forse sì.» Si frugò in tasca e tirò fuori il telefono. «Lo chiamo.»
«Pensavo che ti facesse uno strano effetto.»
«Non quanto tutto il resto che sta succedendo.» Clary fece scorrere la rubrica in cerca del numero di Simon.
Il telefono squillò tre volte prima che il ragazzo rispondesse con l'aria intontita.
«Pronto?»
«Sono io.» Parlando, Clary voltò le spalle a Luke, più per abitudine che per il desiderio di non fargli sentire la conversazione. «Sai che adesso vivo di notte» disse Simon con un mugugno. Lei lo sentì rivoltarsi nel letto. «Questo significa che dormo tutto il giorno.»
«Sei a casa?»
«Sì, dove altro vuoi che sia?» La sua voce si fece più
acuta, mentre il sonno svaniva. «Che c'è, Clary, qualcosa non va?»
«Maia è scappata. Ha lasciato un biglietto... per dire che forse sarebbe venuta a casa tua.» Simon sembrò perplesso. «Be', non l'ha fatto. O se vuole farlo non è ancora arrivata.»
«C'è qualcuno in casa oltre a te?»
«No, mia madre è al lavoro e Rebecca a scuola. Perché, penso davvero che si farà viva qui?»
«Be', se lo fa, chiamaci...» Simon la interruppe. «Clary.» Il tono era ansioso. «Aspetta un secondo. Credo che qualcuno stia cercando di entrare con la forza in casa mia.» Nella prigione il tempo passava, e Jace guardava la terribile pioggia argentea che cadeva intorno a lui con un interesse distaccato. Avevano cominciato a intorpidirglisi le dita e temeva che fosse un brutto segno, ma non se ne curava più di tanto. Si chiese se i Lightwood sapessero che era lassù o se chiunque fosse entrato nella sala addestramento sarebbe rimasto stupito, nel trovarlo chiuso lì dentro.
Ma no, l'Inquisitrice non era così sbadata. Sicuramente aveva detto che la sala era inaccessibile, per poter disporre del prigioniero come le sembrava più opportuno. Pensò di dover essere furioso, o magari impaurito, ma non riusciva a curarsi neanche di questo. Niente sembrava più reale: né il Conclave, né l'Alleanza, né la Legge, e neppure suo padre. Un sommesso rumore di passi lo avvertì della presenza di qualcun altro nella sala. Jace era steso sulla schiena e fissava il soffitto. Ora si mise a sedere e fece correre lo sguardo nel locale. Al di là della cortina di pioggia lucente scorse una sagoma scura. Dev'essere l'Inquisitrice,pensò. Tornata a farsi ancora beffe di lui. Si tenne forte... poi, con un sussulto, vide i capelli scuri e il volto familiare. Forse, dopotutto, c'era ancora qualcosa di cui si curava. «Alec?»
«Sono io.» Alec si inginocchiò dall'altro lato della parete scintillante. Era come guardare qualcuno attraverso l'acqua limpida increspata dalla corrente. Adesso Jace lo vedeva chiaramente, ma di tanto in tanto i suoi tratti sembravano ondeggiare e dissolversi, mentre la pioggia luminosa scintillava tremolando.
Bastava a far venire il mal di mare, pensò Jace.
«Che cos'è questa roba, in nome dell'Angelo?» Alec allungò una mano verso la parete.
«Fermo.» Jace tese la mano, poi la ritirò in fretta
prima di sfiorare la parete. «Potrebbe darti una bella scossa, e anche ucciderti, se proverai ad attraversarla.» Alec ritrasse la mano con un fischi o sommesso. «L'Inquisitrice fa sul serio.»
«Eh, già. Sono o non sono un pericoloso criminale? Come, non lo sapevi?» Jace sentì il tono acido della propria voce e,mentre Alec indietreggiava, per un istante fu invaso da una gioia meschina.
«Non ti ha chiamato esattamente "criminale"...»
«No, sono solo un ragazzo mooolto cattivo. Combino ogni tipo di carognate. Prendo a calci i gattini. Faccio gestacci volgari alle suore.»
«Non scherzare, questa è una faccenda seria.» Gli occhi di Alec erano cupi. «Che cosa diavolo pensavi di fare, andando da Valentine? Voglio dire, sul serio, che cosa ti passava per la testa?» A Jace venne in mente un'infinità di battute pungenti, ma scoprì di non volerne fare neanche una. Era troppo stanco. «È mio padre, in fondo.» Alec sembrò contare fino a dieci per conservare la calma. «Jace...»
«E se fosse stato il tuo, di padre? Che cosa avresti fatto?»
«Il mio? Mio padre non farebbe mai le cose che Valentine...» Jace alzò la testa di scatto. «Ma tuo padre le ha fatte! Era nel Circolo con il mio! E anche tua madre! I nostri genitori erano uguali. L'unica differenza è che i tuoi sono stati catturati e puniti, il mio no!» Il viso di Alec si irrigidì, ma si limitò a dire: «L'unica differenza?» Jace abbassò lo sguardo. Le manette ardenti non erano fatte per essere tenute così a lungo. Sotto, la pelle era punteggiata di gocce di sangue tenute così a lungo.

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