Lo stilo si sfilò dalla cintura e cadde a terra tintinnando. Clary sussultò per la paura e il dolore improvviso, il collo della maglietta le strinse la gola, soffocandola. Un attimo dopo, cadde pesantemente al suolo, urtando le ginocchia sul metallo con un clangore sordo. Senza fiato, rotolò sulla schiena e guardò su, sapendo già cosa avrebbe visto. Valentine era sopra di lei. In una mano teneva una spada angelica che emanava un'intensa luce bianca. L'altra mano, che le aveva agguantato la maglietta, era chiusa a pugno. Il viso scavato, pallido, era atteggiato a un sogghigno sprezzante. «Sei sempre figlia di tua madre, Clarissa. Che cosa hai combinato, adesso?» Clary si mise dolorosamente in ginocchio. Aveva la bocca piena del sangue salato uscito dal labbro spaccato. Mentre guardava Valentine, la rabbia che la faceva fremere le sbocciò in petto come un fiore velenoso. Quest'uomo, suo padre, aveva ucciso Simon e l'aveva lasciato morto sul pavimento come immondizia gettata via.Clary credeva di avere odiato delle persone, nella sua vita. Si era sbagliata. Questo era odio.
«La lupa mannara» continuò Valentine aggrottando le ciglia «dov'è?» Clary si piegò in avanti e gli sputò la
boccata di sangue sulle scarpe. Con un'acuta esclamazione di disgusto e sorpresa Valentine fece un passo indietro, sollevando la spada che aveva in mano e per un momento Clary vide la furia incontrollata nei suoi occhi e pensò che l'avrebbe fatto davvero, che l'avrebbe davvero uccisa lì sul posto, accucciata ai suoi piedi, per avergli sputato sulle scarpe. Lentamente, Valentine abbassò la spada. Senza una parola oltrepassò la figlia e guardò nel buco che aveva aperto nella parete. Lentamente Clary si girò e i suoi occhi scrutarono il pavimento, finché non lo vide. Lo stilo di
sua madre. Allungò la mano per prenderlo, trattenendo il fiato... Valentine si girò e se ne accorse. Con un solo passo attraversò la stanza e allontanò lo stilo con un calcio; l'arnese rotolò sul pavimento metallico e cadde nel buco nella parete. Clary socchiuse gli occhi... perdere lo stilo fu come perdere di nuovo sua madre.
«I demoni troveranno la tua amica Nascosta» disse Valentine con la sua voce fredda, tranquilla, facendo scivolare nuovamente la spada angelica nel fodero appeso alla vita. «Non può fuggire da nessuna parte. Nessuno di voi può scappare da nessuna parte.E adesso alzati, Clarissa.» Clary si alzò adagio. Aveva tutto il
corpo dolorante per i colpi presi. Un momento dopo rimase senza fiato per la sorpresa, quando Valentine l'afferrò per le spalle e la girò, in modo che gli desse la schiena. Fischiò: un suono acuto, aspro, sgradevole. L'aria sopra di lei si agitò e Clary sentì lo sbattere minaccioso di ali coriacee. Cercò di divincolarsi con un lamento, ma Valentine era troppo forte. Le ali li circondarono entrambi, e poi si ritrovarono a volare insieme, con Valentine che la teneva tra le braccia come se fosse davvero suo padre. Jace aveva pensato che a quel punto lui e Luke dovessero essere bell'e morti. Non era certo che non lo fossero.Il ponte della nave era scivoloso di sangue. Jace era ricoperto di sudiciume. Aveva i capelli flosci e appiccicosi di pus, gli occhi che gli bruciavano per il sangue e il sudore. Un profondo taglio gli solcava la parte superiore del braccio destro e lui non aveva il tempo di incidere nella pelle una rune di Guarigione. Ogni volta che alzava il braccio, un dolore lancinante gli attraversava il fianco.
Erano riusciti ad appostarsi in una rientranza nella parete metallica della nave e da quel rifugio combattevano contro i demoni che avanzavano oscillando verso di loro. Jace aveva usato tutti e due i suoi chakram e non gli rimanevano che l'ultima spada angelica e il pugnale che aveva preso a Isabelle. Non era granché... non avrebbe potuto affrontare neanche pochi demoni, armato così miseramente, e adesso ne aveva davanti un'orda. Avrebbe dovuto essere spaventato, lo sapeva, ma non provava quasi nulla... solo disgusto per i demoni, che non appartenevano a questo mondo, e rabbia per Valentine, che ce li aveva chiamati. Freddamente, si disse che la mancanza di paura non era una cosa del tutto positiva. Non aveva neanche
paura di quanto sangue stava perdendo dal braccio. Un demone-ragno gli corse incontro stridendo e spruzzando veleno giallo. Jace si scostò, ma non abbastanza alla svelta da impedire che qualche goccia di veleno gli schizzasse la camicia. Il liquido mangiò la stoffa sibilando; Jace sentì la trafittura quando gli bruciò la pelle come una decina di minuscoli aghi surriscaldati. Il demone-ragno schioccò la lingua soddisfatto e spruzzò un altro getto di veleno. Jace si scansò e il veleno colpì il demone Oni, che gli si stava
avvicinando di fianco; questo urlò dal dolore e si scagliò scompostamente verso il demone-ragno con gli artigli sfoderati. Le due creature si avvinghiarono e rotolarono sul ponte. I demoni intorno balzarono via dal
veleno versato, che formava una barriera tra loro e il Cacciatore. Jace approfittò della pausa momentanea per girarsi verso Luke. Era quasi irriconoscibile. Le orecchie gli si erano allungate in punte aguzze, da lupo; le labbra si erano ritirate scoprendo i denti ed erano atteggiate a un rictus fisso, le mani artigliate erano nere di pus demoniaco.
«Dobbiamo raggiungere i parapetti.» La voce di Luke era quasi un ringhio. «E lasciare la nave. Non possiamo ucciderli tutti. Forse Magnus...»
«Non credo che ce la stiamo cavando tanto male.» Jace roteò la spada angelica... e fu una cattiva idea: aveva la mano bagnata di sangue e quasi perse la presa sull'elsa. «Tutto sommato.» Luke fece un verso che poteva essere un ringhio o una risata, o una combinazione delle due. Poi qualcosa di grande e informe cadde dal cielo sbattendoli entrambi a terra. Jace colpì il suolo con violenza e la spada angelica gli volò via di mano. Cadde sul ponte e schizzò sulla superficie di metallo e oltre il bordo della nave, scomparendo. Jace impecò e si alzò barcollando. La creatura che era atterrata su di loro era un demone Oni. Era stranamente grosso, per la sua razza... nonché stranamente furbo, visto che aveva pensato bene di arrampicarsi sul tettoe piombare loro addosso dall'alto.
Adesso era seduto sopra Luke e lo straziava con le zanne acuminate che gli spuntavano dalla fronte. Luke si difendeva alla meglio con gli artigli, ma era già zuppo di sangue; il suo kindjal era sul ponte, a una trentina di centimetri da lui. Luke fece per prenderlo e l'Oni gli afferrò una gamba con una mano grande quanto una vanga e se la fece ricadere con forza sul ginocchio come un ramo d'albero. Jace sentì l'osso spezzarsi con uno schianto secco mentre Luke gridava.
Il Cacciatore si tuffò verso il kindjal, lo afferrò e si alzò in piedi, lanciandolo con violenza verso la nuca del demone Oni. Vi penetrò con forza sufficiente a decapitare la creatura, che si curvò in avanti, mentre dal moncone del collo gli sgorgava un fiotto di sangue nero. Un momento più tardi era scomparsa. Il
kindjal ricadde con un tonfo sul ponte accanto a Luke.
Jace corse da lui e si inginocchiò. «La tua gamba...»
«È rotta.» Luke si mise seduto a fatica. Aveva il viso
contorto dal dolore. «Ma voi guarite presto.» Luke si guardò intorno, l'espressione cupa. L'Oni sarà stato anche morto, ma gli altri demoni avevanonimparato la lezione e si stavano affollando sul tetto. Alla luce fioca della luna Jace non avrebbe saputo dire quanti fossero... Decine? Centinaia? Da un certo numero in poi non aveva più importanza. Luke chiuse la mano
intorno all'elsa del kindjal.
«Non abbastanza presto.» Jace sfilò il pugnale di Isabelle dalla cintura. Era la sua ultima arma e a un tratto gli parve pateticamente piccola. Fu trafitto da un'acuta emozione... non era paura, a quella non era ancora arrivato, ma era dolore. Vide Alec e Isabelle come se gli stessero di fronte sorridendogli e poi vide Clary con le braccia aperte come per dargli il benvenuto a casa. Si alzò in piedi mentre le creature piombavano giù dal tetto come un'ondata, una marea d'ombra che oscurò la luna. Si mosse per cercare di coprire Luke, ma invano; i demoni li avevano già circondati. Uno gli si impennò davanti. Era uno scheletro alto circa un metro e ottanta che ghignava
con i denti rotti. Dalle ossa marce gli pendevano brandelli di bandiere rituali tibetane dai colori sgargianti. Nella mano ossuta stringeva una spada katana,cosa strana, dato che per lo più i demoni non erano armati. La lama, nella quale erano incise rune demoniache, era più lunga del braccio di Jace, ricurva, acuminata e letale. Jace lanciò il pugnale. Questo colpì l'ossuta gabbia toracica del demone e vi rimase conficcato. Il mostro sembrò a malapena accorgersene; continuò a muoversi, inesorabile come la morte. L'aria intorno a lui puzzava di morte e cimiteri. Sollevò la
katana nella mano artigliata... Un'ombra grigia lacerò
l'oscurità davanti a Jace, un'ombra che avanzava con un'andatura turbinante, precisa e micidiale. Il fendente della katana produsse il lacerante clangore del metallo sul metallo; la sagoma scura ricacciò la
katana contro il demone, trafiggendolo al contempo dal basso in alto con l'altra mano, tanto rapidamente che l'occhio di Jace riuscì a seguirla a stento. Il mostro cadde all'indietro e il suo cranio andò in frantumi per
poi dissolversi nel nulla. Intorno a sé Jace sentì le grid
a di demoni che ululavano di dolore e sorpresa. Piroettando su se stesso, vide dozzine di forme
umane - arrampicarsi sui parapetti, balzare a terra e correre a dare battaglia alla massa di creature che
si trascinavano carponi, strisciavano, sibilavano e volavano sul ponte. Portavano spade di luce e indossavano gli abiti scuri, robusti dei...
«Cacciatori?» disse Jace, talmente stupito che parlò ad alta voce.
«E chi altri?» Un sorriso balenò nelle tenebre.
«Malik? Sei tu?» Malik piegò la testa. «Scusami per prima. Eseguivo degli ordini.» Jace stava per dirgli che avergli appena salvato la vita compensava ampiamente il suo precedente divieto di lasciare l'Istituto, quando un gruppo di demoni Raum si scagliò contro di loro fendendo l'aria con i tentacoli. Malik roteò e corse ad affrontarli con un grido, la spada angelica che gli
ardeva come una stella tra le mani. Jace stava per seguirlo, quando una mano lo afferrò per il braccio e lo tirò da una parte. Era un Cacciatore tutto vestito di nero, il cappuccio calato a nascondergli la faccia. «Vieni con me.» La mano gli tirava insistentemente la manica. «Devo raggiungere Luke. È ferito.» Jace ritirò violentemente il braccio. «Lasciami.»
«Oh, per l'amor dell'Angelo...» La figura lo lasciò e alzò la mano per tirare indietro il cappuccio del lungo mantello, rivelando un viso stretto e bianco e occhi grigi che brillavano come scaglie di diamanti. «Adesso farai quanto ti si dice, Jonathan?» Era l'Inquisitrice. Nonostante la velocità vorticosa a cui volavano attraverso l'aria, Clary avrebbe preso a calci Valentine, se avesse potuto. Ma lui la teneva come se
avesse delle bande di ferro al posto delle braccia. I piedi le penzolavano liberi, ma, per quanto si divincolasse, non sembrava in grado di combinare
niente. Quando il demone virò e cambiò improvvisamente direzione, Clary lanciò un urlo. Valentine rise. Poi si ritrovarono a sfrecciare in uno stretto tunnel di metallo che portava a una stanza molto più vasta. Invece di lasciarli cadere senza tanti riguardi, il demone volante li depose delicatamente a terra. Con grande sorpresa di Clary, Valentine la lasciò. Si staccò da lui e si trascinò incespicando in
mezzo alla stanza, guardandosi freneticamente intorno. Era uno spazio ampio, che un tempo doveva essere stato la sala macchine. I macchinari erano ancora allineati lungo le pareti, lasciando un ampio spazio centrale. Il pavimento era di spesso metallo scuro, chiazzato qua e là di macchie nere. In mezzo a quello spazio vuoto c'erano quattro bacinelle abbastanza grandi da lavarci un cane. La parte interna delle prime due era macchiata di rosso ruggine scuro. La terza era piena di un liquido rosso cupo. La quarta era vuota. Dietro alle bacinelle c'era una cassapanca. Era coperta da una stoffa scura. Avvicinandosi, Clary vide che sulla stoffa era adagiata una spada d'argento che emanava una luce nerastra, una sorta di
non-luce: un'oscurità luminosa. Clary ruotò su stessa e fissò Valentine, che la guardava tranquillamente.
«Come hai potuto farlo?» domandò.
«Come hai potuto uccidere Simon? Era solo un ragazzo, un... essere umano...»
«Non era umano» rispose Valentine con la sua voce melliflua. «Era diventato un mostro. Tu non te ne accorgevi, Clarissa, perché aveva un viso amico.»
«Non era un mostro.» Clary si avvicinò un altro po' alla Spada. Era enorme, pesante. Si chiese se sarebbe
stata in grado di sollevarla... e anche in quel caso, avrebbe saputo brandirla? «Era sempre Simon.»
«Non credere che non capisca la tua situazione» disse Valentine. Stava ritto immobile, nell'unico fascio di
luce che scendeva dalla botola del soffitto. «Anch'io l'ho vissuta, quando Lucian è stato morso.»
«Me l'ha raccontato» gli disse bruscamente. «Gli hai dato un pugnale e gli hai suggerito di uccidersi.»
«Quello è stato un errore.»
«Almeno lo ammetti...»
«Avrei dovuto ucciderlo con le mie mani. Così avrei dimostrato di tenere a lui.» Clary scosse la testa.
«Ma non l'hai fatto. Non hai mai tenuto a nessuno,
tu. Nemmeno a mia madre. Nemmeno a Jace. Erano solo cose che ti appartenevano.»
«Ma non è questo l'amore, Clarissa? Possesso? "Il mio diletto è per me e io per lui" recita il Cantico dei cantici.»
«No. E non starmi a citare la Bibbia. Non credo che tu
possa capirla.» Adesso era molto vicina alla cassapanca, l'elsa della spada a portata di mano. Aveva le dita bagnate di sudore e se le asciugò di nascosto sui jeans. «Le cose non stanno così. Non è che qualcuno, semplicemente, ti appartiene, è che tu gli doni te stesso. Dubito che tu abbia mai donato qualcosa a qualcuno. Tranne forse degli incubi.»
«Donare te stesso?» Il sorriso sottile non vacillò. «Come tu hai donato te stessa a Jonathan?» La mano di Clary, che si stava sollevando verso la Spada, si chiuse di scatto a pugno. Lei la portò di nuovo al petto. «Che cosa?»
«Pensi che non abbia visto il modo in cui vi guardate? Il modo in cui pronuncia il tuo nome? Puoi anche credere che io non abbia sentimenti, ma ciò non significa che non sia capace di vederli negli altri.» Il tono di Valentine era gelido, ogni parola una scheggia di ghiaccio che le trafiggeva le orecchie. «Immagino che dobbiamo incolpare solo noi stessi, tua madre e io; tenuti separati così a lungo, non avete mai sviluppato la repulsione reciproca che sarebbe più naturale tra fratelli.»