Capitolo 8 (4^parte)

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«E non si fermerà» aggiunse Isabelle. «Ha bisogno di altro sangue.» Le sopracciglia già arcuate della Regina si alzarono ancora di più. «Altro sangue del Popolo Fatato?»
«No» rispose Jace, lanciando a Isabelle un'occhiata che Clary non riuscì a decifrare. «Sangue di Nascosto. Gli
serve il sangue di un lupo mannaro e di un vampiro...» Gli occhi della Regina brillarono di luce riflessa. «Non mi pare che ci riguardi.»
«Ha ucciso uno dei vostri» disse Isabelle. «Non vuoi vendicarti?» Lo sguardo della Regina la sfiorò come l'ala di una falena. «Non subito. Noi siamo un popolo paziente, perché abbiamo tutto il tempo del mondo.
Valentine Morgenstern è un nostro vecchio nemico... ma abbiamo nemici ancora più vecchi. Siamo disposti ad
aspettare e a stare a guardare.»
«Sta evocando i demoni» disse Jace. «Sta creando un esercito...»
«Demoni» ripeté la Regina in tono lieve, mentre alle sue spalle i cortigiani chiacchieravano. «Dei demoni vi occupate voi, non è vero, Cacciatori? Non è forse per questo che avete autorità su tutti noi? Perché siete quelli che uccidono i demoni, giusto?»
«Io non sono qui per darti ordini in nome del Conclave.
Siamo venuti su tua richiesta. E pensavamo che, se avessi saputo la verità, ci avresti aiutato.»
«È questo che pensavate?» La Regina si sporse in avanti sulla sedia, i lunghi capelli fluttuanti, animati. «Ricorda, Cacciatore, tra noi c'è chi mal sopporta l'autorità del Conclave. Può anche darsi che siamo stanchi di combattere per le vostre guerre.»
«Ma non è solo la nostra guerra» disse Jace. «Valentine odia i Nascosti più che i demoni. Se ci sconfigge, i prossimi che perseguiterà sarete voi.» Gli occhi della Regina si conficcarono nei suoi.
«E quando lo farà» continuò Jace «rammenta che era stato un Cacciatore ad avvertirti di cosa stava per succedere.» Calò il silenzio. Anche la Corte era piombata nel silenzio. Tutti avevano gli occhi fissi sulla loro Signora. Alla fine, la Regina si appoggiò ai cuscini
e bevve un sorso da un calice d'argento. «Mettermi in guardia da tuo padre» disse. «Ritenevo voi mortali capaci almeno di affetto filiale, ma, a quanto pare, tu non senti la minima devozione nei confronti del tuo genitore.» Jace non disse nulla. Una volta tanto sembrava a corto di parole. La Regina continuò in tono mellifluo:
«O forse questa vostra ostilità è solo una messinscena. L'amore rende bugiardi quelli della tua razza.»
«Noi non amiamo nostro padre» disse Clary, mentre Jace manteneva un silenzio inquietante. «Lo odiamo.»
«Davvero?» La Regina sembrava quasi annoiata.
«Sai come sono i vincoli familiari, Regina» disse Jace,
ritrovando la voce. «Si avvinghiano più strettamente dei tralci. E a volte, come i tralci, si avvinghiano tanto da ucciderti.» Le ciglia della Regina tremolarono.
«Tradireste vostro padre per il bene del Conclave?»
«E se anche fosse, Regina?» La Regina rise, un suono limpido e gelido come ghiaccioli. «Chi avrebbe mai pensato» disse «che i piccoli esperimenti di Valentine gli si sarebbero ritorti contro?» Clary guardò Jace, ma dalla sua espressione capì che non aveva idea di cosa intendesse dire la Regina. Fu Isabelle a parlare. «Esperimenti?» La Regina non la guardò neppure. I suoi occhi, di un azzurro luminoso, erano fissi su Jace. «Il Popolo Fatato sa mantenere i segreti. I nostri e quelli degli altri. La prossima volta che lo vedi, Jonathan, chiedi a tuo padre quale sangue scorre nelle tue vene.»
«Non mi ero proposto di chiedergli alcunché, la prossima volta che lo vedrò» disse Jace. «Ma se tu lo desideri, lo farò.» Le labbra della Regina si piegarono in un sorriso. «Credo che tu sia un bugiardo. Ma molto affascinante. Abbastanza affascinante perché io ti faccia questo giuramento: rivolgi la domanda a tuo padre e ti prometto tutto l'aiuto che potrò darti, se ma
i combatterai contro Valentine.» Jace sorrise. «La tua generosità è straordinaria quanto la tua bellezza, Signora.» Clary fece un verso soffocato, ma la Regina sembrò contenta.
«Be', credo che abbiamo finito» aggiunse Jace alzandosi dai cuscini. In precedenza aveva posato la sua bevanda intatta accanto a quella di Isabelle. Tutti lo imitarono. Isabelle stava già parlando con Meliorn in un angolo, accanto alla cortina di tralci. Lui aveva un'aria
vagamente insofferente.
«Un momento.» La Regina si alzò. «Uno di voi deve rimanere.» Jace si fermò a metà strada verso la porta e si voltò a guardarla. «Cosa vuoi dire?» Lei allungò una mano a indicare Clary. «Una volta che il nostro cibo o le nostre bevande oltrepassano le labbra di un mortale, quel mortale è nostro. Lo sai, Cacciatore.»
Clary era stordita. «Ma io non ho bevuto niente!» Si girò verso Jace. «Sta mentendo.»
«Le fate non mentono» disse lui mentre la confusione e l'ansia crescente si rincorrevano sul suo viso. Si rivols
e di nuovo alla Regina. «Temo che ti sbagli, Signora.»
«Guardale le dita e dimmi se non le ha leccate per pulirle.» Ora Simon e Isabelle erano tutt'occhi. Clary abbassò lo sguardo sulla propria mano. «Sì, ma dal sangue» disse. «Un folletto mi ha morso il di-
to... sanguinava...» Ricordò il sapore dolce del sangue mescolato al succo che aveva sul dito. In preda al panico, si mosse verso la cortina di tralci ma si sentì sospingere di nuovo nella stanza da mani invisibili. Si rivolse a Jace, affranta. «È vero.» Jace era paonazzo. «Immagino che avrei dovuto aspettarmi un simile
trucco» disse alla Regina abbandonando il tono accatti
vante di poco prima. «Perché lo fai? Cosa vuoi da noi?» La voce della Regina era morbida e suadente. «Forse sono solo curiosa» rispose. «Non mi capita spesso di avere sottomano dei giovani Cacciatori. Come noi, voi fate risalire il vostro lignaggio al cielo; e questo mi intriga molto.»
«Ma diversamente da voi» ribatté Jace «in noi nulla ha origine dall'inferno.»
«Siete mortali, invecchiate, morite» disse la Regina in tono sprezzante.
«Se questo non è l'inferno, dimmi, ti prego, che cos'è?»
«Se vuoi soltanto studiare un Cacciatore, non ti servirò granché» intervenne Clary. Le doleva la mano nel punto in cui il folletto l'aveva morsa e cercava di reprimere l'impulso a urlare o a scoppiare in lacrime. «Non so niente dei Cacciatori. E non ho avuto alcun addestramento. Non sono la persona giusta da prendere.» Di mira,aggiunse in silenzio. Per la prima volta la Regina la guardò in faccia. Clary ebbe voglia di farsi piccola piccola. «In verità, Clarissa Morgenstern, tu sei proprio la persona giusta.» I suoi occhi brillarono
nel vedere la confusione della ragazza.
«Grazie ai cambiamenti che tuo padre ha operato in te, tu non sei come gli altri Cacciatori. I tuoi doni sono differenti.»
«I miei doni?» Clary era sconcertata.
«Il tuo è il dono delle parole che non possono essere pronunciate» le spiegò la Regina «e quello di tuo
fratello è il dono dell'Angelo. Tuo padre se li assicurò quando tuo fratello era un bambino e tu non eri ancora nata.»
«Mio padre non mi ha mai dato niente» disse Clary. «Neppure un nome.» Jace sembrava assente, come la sorella. «Voi del Popolo Fatato non mentite» osservò «ma a voi si può mentire. Credo che tu sia stata vittima di un inganno o di uno scherzo, mia signora. Non c'è niente di speciale in me o in mia sorella.»
«Sei bravo a minimizzare il tuo fascino» disse la Regina con una risata.
«Eppure, tu sai che voi non appartenete al novero dei normali ragazzi umani, Jonathan...» Lasciò scivolare lo
sguardo da Clary a Jace, poi a Isabelle, che chiuse di scatto la bocca che aveva spalancato, e di nuovo a Jace.
«Possibile che non lo sappiate?»
«Io so che non lascerò mia sorella qui nella Corte» disse Jace. «E dal momento che non c'è nulla che tu possa imparare da lei o da me, perché non ci fai il favore di liberarla?» Adesso che ti sei divertita?
dicevano i suoi occhi, sebbene la sua voce fosse garbata e fredda come acqua. Il sorriso della Regina era largo e terribile. «E se ti dicessi che potrebbe essere liberata da un bacio?»
«Vuoi che Jace ti baci?» domandò Clary, perplessa.
La Regina scoppiò in un'allegra risata, subito imitata dai cortigiani. La risata era un miscuglio bizzarro e inumano di schiamazzi e squittii, come le grida di un animale che soffre.
«Nonostante il suo fascino» le disse la Regina «quel bacio non ti libererebbe.» I quattro si scambiarono delle occhiate stupite. «Potrei baciare io Meliorn» suggerì Isabelle.
«Non lui. E nessun altro della mia Corte.» Meliorn si allontanò da Isabelle, che guardò i suoi compagni e alzò le mani. «Okay, non bacerò nessuno di voi» disse recisamente.
«Non sarà necessario» disse Simon. «Se non serve che un bacio...»  Si mosse verso Clary, che rimase paralizzata dalla sorpresa. Quando la prese per i gomiti, lei dovette reprimere l'impulso di spingerlo via. L'aveva già baciato, ma sarebbe stato imbarazzante farlo in questa situazione, anche se per lei baciarlo fosse stata la cosa più naturale del mondo, il che non
era. Eppure era la risposta logica, no? Non poté fare a meno di gettare una rapida occhiata a Jace al di sopra
della spalla e lo vide accigliarsi.
«No» disse la Regina con una voce simile a cristallo tintinnante. «Non è neanche questo che voglio.» Isabelle alzò gli occhi al cielo. «Oh, per amor dell'Angelo. Sentite, se non c'è altro modo per uscirne,
bacerò io Simon. L'ho già fatto, e non è stato così male.»
«Grazie» disse Simon. «È molto lusinghiero.»
«Ahimè» fece la Regina della Corte Seelie. La sua espressione era resa maligna da una specie di piacere crudele.Clary si chiese se fosse non tanto il bacio che desiderava, quanto semplicemente il vederli tutti sulle spine per l'imbarazzo. «Temo che non vada bene neanche quello.»
«Be', io non ho alcuna intenzione di baciare il mondano» disse Jace.
«Piuttosto rimango a marcire quaggiù.»
«Per sempre?» chiese Simon. «Per sempre è un tempo terribilmente lungo.»
Jace inarcò le sopracciglia. «Lo sapevo. Hai voglia di baciarmi, non è vero?» Simon alzò le mani esasperato.
«Certo che no. Ma se...»
«Credo che sia vero quello che si dice» osservò Jace. «Che non ci sono veri uomini in trincea.»
«Atei,idiota» replicò Simon furioso. «Non ci sono atei in trincea.»
«Tutto questo è molto divertente» disse la Regina in to
no gelido piegandosi in avanti. «Ma il bacio che libererà
la ragazza è quello che lei desidera di più.» Il piacere crudele sul suo volto e nella sua voce si era accentuato, e le sue parole trafissero le orecchiedi Clary come aghi. «Solo questo, e niente di più.» Fu come se Simon fosse stato schiaffeggiato dalle sue parole. Clary avrebbe voluto allungare una mano verso di lui, ma rimase immobile dov'era, troppo atterrita per muoversi.
«Perché lo fai?» chiese Jace.
«Ma come, pensavo di farti un favore.» Jace avvampò, ma rimase zitto. Evitò di guardare Clary.
Simon disse: «È assurdo. Sono fratello e sorella.» La regina scrollò delicatamente le spalle. «Non sempre il desiderio è diminuito dal disgusto. E neppure può essere elargito a chi più lo merita. E siccome le mie parole vincolano la mia magia, siate certi che, se non desidera il suo bacio, non sarà libera.» Simon disse qualcosa in tono iroso, ma Clary non lo sentì: le ronzavano le orecchie, come se avesse uno sciame di api furiose intrappolato nella testa. Simon si girò con ar
ia furibonda e disse: «Non devi farlo,Clary, è un
trucco...»
«Non un trucco» lo corresse Jace. «Una prova.»
«Be', non so tu, Simon» disse Isabelle con voce tesa. «Ma io vorrei far uscire Clary di qui.»
«Vuoi dire che baceresti tuo fratello Alec solo perché te lo chiede la Regina della Corte Seelie?» domandò Simon.
«Certo che lo farei» Isabelle sembrava irritata «se l'alternativa fosse rimanere bloccati per sempre nella Corte. E comunque,che importa? È solo un bacio.»
«È vero.» Era Jace. Clary lo vide, ai margini sfocati del suo campo visivo, muoversi verso di lei, metterle una
mano sulla spalla e girarle la faccia verso di lui. «È solo un bacio» disse,e malgrado il tono aspro, le sue mani
erano inspiegabilmente delicate. Lasciò che la girasse e lo guardò. I suoi occhi erano scurissimi, forse perché laggiù nella Corte c'era così poca luce, forse per qualcos'altro. Vedeva il proprio riflesso in ognuna delle sue pupille dilatate, una minuscola immagine di sé nei su
oi occhi. Jace disse:
«Puoi chiudere gli occhi e pensare ai numeri primi, se vuoi.»
«Non sono mai stata troppo brava in matematica» disse Clary, ma chiuse le palpebre. Sentiva i vestiti appesantiti dall'acqua freddi e pungenti sulla pelle e l'aria dolciastra e nauseante della caverna, ancora più fredda, e il peso delle mani di Jace - le uniche cose calde - sulle spalle. Poi lui la baciò. Sentì il tocco delle labbra di Jace, all'inizio leggero, e le sue che si aprivano automaticamente sotto la pressione. Quasi contro la sua volontà, si sentì diventare molle e flessuosa e allungarsi verso l'alto per intrecciargli le braccia intorno al collo come un girasole si volta verso la luce. Le braccia di Jace la circondarono, le sue mani si unirono tra i capelli di lei, e il bacio smise di essere delicato e divenne ardente, in un solo istante, come un'esca che divampa in una fiammata. Clary sentì un suono simile a un sospiro correre per la Corte, tutt'intorno a loro, un'ondata di rumore, ma non significava niente, si perdeva nel flusso del suo sangu
e nelle vene, nel vertiginoso senso di assenza di peso nel suo corpo. Le mani di Jace si allontanarono dai suoi capelli, le scivolarono lungo la schiena; sentì la pressione dei suoi palmi sulle scapole... poi il ragazzo si
scostò, staccandosi delicatamente, ritraendo le mani dal suo collo e facendo un passo indietro. Per un istante Clary pensò di cadere; le sembrava che le fosse stato strappato qualcosa di fondamentale, un braccio o una gamba, e fissò Jace in preda a una vacua sorpresa... Che cosa provava? Non provava nulla? Il tal caso, non pensava di poterlo sopportare. Jace le restituì lo sguardo, e nello scorgere l'espressione del suo viso
Clary rivide i suoi occhi a Renwick, quando aveva guardato il Portale che lo separava dalla sua casa frantumarsi irreparabilmente in mille pezzi. Jace
sostenne il suo sguardo per una frazione di secondo, poi lo distolse, coi muscoli della gola che si contraevano. Aveva le mani chiuse a pugno lungo i fianchi. «È stato abbastanza bello?» gridò girando il viso verso la Regina e i cortigiani alle sue spalle. «Ti sei divertita?»
La Regina si era portata una mano alla bocca, coprendo a metà un sorriso. «Sì, ci siamo divertiti» disse. «Ma non tanto, credo,quanto voi due.»
«Suppongo» disse Jace «che le emozioni dei mortali vi divertano perché non ne possedete di vostre.» A quelle parole il sorriso scivolò via dalla bocca della Regina.
«Calma, Jace» disse Isabelle. Si rivolse a Clary. «Puoi andartene adesso? Sei libera?» Clary andò verso l'uscita e non fu sorpresa di non trovarsi la strada sbarrata da alcuna forza ostile. Rimase lì, con le mani fra i tralci, e si girò verso Simon, che la fissava come se
non l'avesse mai vista prima. «Dovremmo andare» disse Clary.
«Prima che sia troppo tardi.»
«È già troppo tardi» ribatté Simon. Meliorn li condusse fuori dalla Corte Seelie e li depositò di nuovo nel parco, tutto senza aprire bocca. A Clary parve che la rigidità della sua schiena lasciasse trapelare disapprovazione. Dopo che furono sguazzati fuori dal laghetto, si girò senza neanche salutare Isabelle e scomparve nuovamente nel riflesso vacillante della luna. Isabelle lo guardò andare via tutta imbronciata. «Quanto è antipatico, certe volte...» Jace fece una specie di risata soffocata e si tirò su il colletto della giacca
bagnata. Tremavano tutti. La notte fredda sapeva di terra, piante e modernità... A Clary sembrava quasi di sentire nell'aria odore di ferro. L'anello della città intorno al parco scintillava di luci violente, blu elettrico, verde ghiaccio, rosso vivo, mentre l'acqua del laghetto
sciabordava piano contro le rive terrose. Il riflesso della luna si era spostato all'estremità opposta dello specchio d'acqua e tremava come se avesse paura di loro.
«Sarà meglio tornare.» Isabelle si avvolse più strettamente nel soprabito ancora bagnato. «Prima che moriamo congelati.»
«Ci vorrà un'eternità per tornare a Brooklyn» disse Clary. «Forse dovremmo prendere un taxi.
«O magari potremmo andare all'Istituto» suggerì Isabelle. Vedendo l'espressione di Jace, si affrettò a dire:
«Tanto non c'è nessuno... sono tutti alla Città di Ossa a cercare indizi. Ci vorrà un secondo per fare una capatina, prendere i tuoi vestiti e mettersi qualcosa di asciutto. E poi, l'Istituto è pur sempre casa tua, Jace.»
«Va bene» disse Jace, con evidente sorpresa di Isabelle. «Devo comunque recuperare qualcosa nella mia stanza.» Clary esitò. «Non so. Potrei prendere
un taxi insieme a Simon.» Forse, se avessero passato un
po' di tempo insieme, avrebbe potuto spiegargli che
cosa era successo alla Corte Seelie e che non era come pensava. Jace stava esaminando il suo orologio per vedere che l'acqua non l'avesse danneggiato. Ora la guardò, le sopracciglia sollevate. «È piuttosto difficile, visto che se n'è andato.»
«Se n'è cosa?» Clary girò sui tacchi e guardò. Simon era sparito; c'erano solo loro tre in riva al laghetto. Corse su per un tratto della collina e gridò il suo nome. Lo vide in lontananza che camminava a grandi passi con aria risoluta sul sentiero dicemento che conduceva fuori dal parco, sulla 5th Avenue. Lo chiamò di nuovo, ma lui non si voltò.

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