WINTER 6 - Il rosso e il nero

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La neve smise di cadere da un giorno all'altro, così com'era arrivata. Quando quel bizzarro fenomeno si placò, arrivarono le tempeste. Enormi cumuli di nuvole si arricciavano nei cieli e i tornado iniziarono a flagellare le coste e i deserti. Eagle rimase fosco e scontroso per un'intera settimana, irrequieto tanto quanto i venti che roteavano senza controllo a chilometri e chilometri di distanza da lui.

Appena l'aria si quietò, la terra tremò una volta ancora. Non si trattò, però, di un movimento percepibile dai miliardi di uomini indaffarati nelle proprie attività e affannati dietro la vita quotidiana. Lo avvertirono i cani, i gatti e molti altri animali. E Raven.

Rimase disteso sul proprio letto per ore. A una prima occhiata, chiunque avrebbe pensato che stesse solo dormendo. Immerso a occhi chiusi nel buio della stanza, invece, seguiva interiormente le oscillazioni segrete delle masse. La sua perfetta immobilità esteriore sembrava bilanciare le rivoluzioni che avvenivano in profondità inimmaginabili.

Solo il suo cuore tremava, ma nessuno poteva vederlo.


⸩ↂ⸨


Dopo il terremoto ci fu solo silenzio. Immobilità e silenzio.

Raven scartabellò tra la pila di quotidiani internazionali che si era fatto consegnare quella mattina, poi afferrò il cellulare e cominciò a compilare ricerche in tutte le lingue che conosceva. Mancava ancora il Fuoco all'appello ma, apparentemente, in nessun luogo del mondo era accaduto qualcosa di particolare che potesse suggerire un'attività straordinaria di quell'Elemento. Il ciclo di fenomeni era iniziato ed era cessato in quel modo inconcludente e banale.

Nessuno di loro era riuscito ad avvertire più nulla nei giorni successivi e, alla fine, tutti avevano concordato sul fatto che si fosse trattato solo di una coincidenza o, più probabilmente, dei primi risultati dei drammatici cambiamenti climatici indotti dalla follia dell'uomo.

Gettò di lato giornali e cellulare, e cominciò a compilare un foglio incolonnando ordinatamente una stringa di date, orari e numeri. Quando ebbe finito, ripassò uno sguardo attento sulle cifre, sfogliò a ritroso il quaderno scorrendo pagine riempite allo stesso modo, poi lo richiuse con un colpo secco.

Un altro cerchio imperfetto, un'altra scintilla senza significato.

Il mondo sembrava aver ripreso il proprio naturale moto come se niente fosse accaduto.

Perché, in verità, al mondo non interessa nulla di noi. Siamo noi, semmai, a doverlo costringere a guardare nella nostra direzione.


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Eagle fissò la materia rossa e viscosa che gli imbrattava la mano. Era una tempera densa e pastosa. Se la strofinò tra i polpastrelli, poi sollevò le dita e cominciò a tracciare dei segni sulla tela ruvida. Quella pasta umida e la resistenza che gli opponeva il canovaccio gli trasmisero una sensazione di appagamento. Rimase a fissare lo strano disegno astratto che risaltava sul bianco, poi prese a passare e ripassare il colore sulle stesse linee, ancora e ancora, finché il rosso cominciò a colare, non più trattenuto dalla trama del quadro.

Un sottile rivolo brillante scivolò fino al bordo e lì rimase sospeso per un tempo infinito, poi una goccia rotolò giù. Eagle osservò quella caduta come un bambino segue un'ape. La stilla precipitò sul cespuglio di rose bianche che cresceva ai suoi piedi e il colore si insinuò tra i petali candidi, macchiandoli irrimediabilmente. Il ragazzo pensò che era un vero peccato, ma che ormai era troppo tardi per rimediare a quel danno, mentre le rose lentamente si tingevano di carminio.

Quando anche l'ultimo petalo brillò come sangue, i fiori sembrarono andare a fuoco. Le fiamme li consumarono in un istante e, dalla base al bordo più estremo, li ridussero in cenere. Eagle vide la polvere nera precipitare al suolo e perdersi nel terreno, e iniziò a gridare.

"Phoenix!".

Spalancò gli occhi e si ritrovò seduto sul letto, i muscoli contratti, il sudore che gli imperlava la fronte.

"Phoenix!", esclamò di nuovo, realizzando solo in quel momento di essersi svegliato di soprassalto urlando quel nome.

Una strana ansia si impadronì di lui e della sua mente attanagliandogli lo stomaco, mentre una fulminea fitta di dolore gli serpeggiava lungo le fibre del corpo. Non era la solita nausea o il senso di vertigine che lo assalivano ogni volta che avvertiva qualche mutamento importante nel suo Elemento d'elezione. Somigliava piuttosto a uno strappo, ma viscerale, profondo, interno. 

Senza nemmeno pensare, balzò giù dal letto e si precipitò nel corridoio deserto. Attraversò a piedi nudi i pochi metri che lo separavano dalla stanza in cui il vecchio signore riposava. Si trattenne un istante di fronte alla porta, come se stesse riconsiderando le proprie azioni, poi prese a bussare. Lievemente all'inizio, poi con colpi sempre più energici.

"Phoenix, aprimi, per favore", scandì a un millimetro dalla superficie di legno.

Quando la sua voce si spense nel silenzio della notte, udì dei passi che si avvicinavano dalla parte opposta. La porta si aprì con uno scatto metallico e Eagle si trovò di fronte l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere.

Gli occhi freddi del Secondo Maestro lo squadrarono da capo a piedi. La durezza di quello sguardo, però, durò appena un attimo. Quando l'uomo si rese conto che si trattava di Eagle, l'espressione sul suo viso parve mutare, come se avesse realizzato di colpo di avere di fronte qualcosa di altrettanto urgente di cui preoccuparsi.

Lo fissò in silenzio un istante ancora, mentre il ragazzo, senza un vero motivo, sentiva che il fiato gli veniva meno e che la gola gli si era fatta arida, al punto da non poter più parlare.

"Eagle", scandì il Maestro con voce vuota, "Phoenix è morto".


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