"Oh, finitela adesso! Non c'è niente da guardare!".
L'urletto piccato di Swan fece subito distogliere lo sguardo di Eagle, che si fissò la punta delle Sneakers con imbarazzo. Raven, al contrario, piantò i pugni sui fianchi e rimase provocatoriamente a osservare i maldestri tentativi della ragazza di scavalcare il vecchio muro di cinta della villa senza perdere i vestiti e la dignità.
"Come faccio a prenderti, se non guardo?", rise.
Un attimo dopo rinunciò alla sua posa da spettatore compiaciuto, si tese verso di lei e le fece cenno con la mano. Swan sospirò: aveva sempre avuto paura di salire fin lassù e ancor più paura di saltare da quell'altezza. Tuttavia, per le loro sortite notturne e proibite non esisteva un'altra via, e lei non aveva nessuna migliore soluzione per togliersi da quell'impaccio se non affidarsi a Raven. Serrò le ciglia e si lasciò scivolare.
Due braccia l'afferrarono con sicurezza e lei si sentì come avvolta in qualcosa di caldo, accogliente. Aprì gli occhi lentamente. Nella caduta, il cappotto le si era aperto, rivelando il suo abitino nero strizzato e le gambe nude. Le iridi di acciaio del ragazzo stavano scandagliando la preda che serrava tra gli artigli, studiandola con vivo interesse da capo a piedi.
"Il resto del vestito dov'è?", domandò aggrottando le sopracciglia indispettito.
Swan si divincolò dalla sua stretta, atterrò e si affrettò a tirare giù la stoffa quanto più possibile.
"Hai detto che andavamo a divertirci, Raven", ribatté risentita. "È un po' tardi per fare il guastafeste".
Si allacciò il cappotto fino al collo con un gesto nervoso, quindi girò i tacchi e si avviò decisa in direzione della metro, ondeggiando impettita sui suoi stivaletti di pelle nera.
Raven e Eagle si lanciarono un'occhiata rassegnata, quindi le andarono dietro senza una parola.
⸩ↂ⸨
I ragazzi ammassati davanti la porta d'ingresso si agitavano nervosi, un po' per il freddo, un po' perché la pazienza cominciava a esaurirsi, un po' per l'eccitazione al pensiero di riuscire finalmente a entrare.
Raven superò l'intera fila senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
"Sei davvero odioso", gli sussurrò Swan all'orecchio, incrociando le occhiate della piccola folla in attesa.
Lui sfoderò un sorriso tagliente e un biglietto che mostrò al buttafuori dall'aria incazzata, pagò le "75 sterline, consumazione esclusa" con la nonchalance di un principe ereditario e un attimo dopo i tre stavano già salendo verso il roof-garden affollato di luci e suoni. D'altra parte, come lui stesso aveva cura di ricordare in ogni occasione, i soldi non erano affatto un problema. Loro erano i Custodi, i Prescelti.
Donare un Prescelto alla Congrega era un sacrificio che veniva pagato a peso d'oro e le loro famiglie si erano offerte di farlo per secoli, accumulando nel tempo titoli, terre e benefici. Quanto a loro, rinunciare a se stessi, a ogni possibile legame di sangue, alla libertà e perfino al proprio nome era di certo un atto che richiedeva una lauta ricompensa. Erano speciali, erano preziosi, e quella caratteristica garantiva loro un'esistenza che avrebbe fatto invidia a molti. Soggiornavano nella sfarzosa dimora londinese di Fulham, ricevevano l'educazione migliore, avevano accesso a teatri, club esclusivi, circoli sportivi e, in generale, a tutto ciò che potesse riempire loro la vita. Fino alla fine della Missione. Un termine che per gli uomini corrispondeva alla morte naturale, ma per le Swan era diverso.
Alla base di qualsiasi decisione della Congrega vi era la Profezia.
Quell'antico testo medievale era la fonte di ogni preoccupazione e di ogni azione intrapresa da quel consesso di uomini dotti e influenti che si muoveva oltre la cultura e il potere ufficiali da più di settecento anni.
Nonostante l'impegno profuso nel tempo da menti eccelse, non tutti gli aspetti di quella previsione sembravano essere stati chiariti. L'interpretazione di quei quattordici versi impegnava ancora i Maestri, coloro che occupavano i vertici di quella società segreta e ne stabilivano regole e comportamenti.
Una delle questioni più dibattute della Profezia era il riferimento che essa conteneva alla generazione di un qualcosa non ben definito. Per quanto oscure potessero essere le parole, era legge indiscussa della natura che la capacità di donare la vita fosse un attributo esclusivamente femminile. Era sempre stato parere comune della Congrega, quindi, che anche le donne potessero contribuire alla Grande Missione, sebbene in percentuale minore ed esclusivamente durante l'età fertile. Concluso il loro incarico, si ritiravano in una località sconosciuta, concludendo la propria esistenza in un esilio dorato e, sovente, solitario.Quell'amara prospettiva futura era uno dei tanti buoni motivi per cui Swan era sempre così incline a sposare le idee di Raven. Vivendo nella continua coscienza che un giorno non avrebbe avuto nulla cui aggrapparsi, era più che decisa a godersi la vita al massimo delle sue possibilità.
"Se dovrò finire la mia vita da vecchia zitella", diceva sempre, "tanto vale approfittarne adesso".
In fondo aveva vent'anni. Aveva ancora tempo.
Fece il suo ingresso nella terrazza coperta, lasciò vagare lo sguardo su quello spettacolo che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi e non riuscì a nascondere un sorriso.
I corpi si muovevano tra le luci e il verde. Sembravano lunghe alghe che si agitavano in libertà, creando nell'insieme un moto armonico. L'aria era sulfurea e infiammata da quell'onda di ritmo e calore. Il respiro ansante della giovinezza sfidava la notte invernale che sferzava Londra oltre le grandi pareti di vetro.
Swan si tuffò in quel mare, lasciandosi avvolgere dalle correnti musicali, e un attimo dopo vi si lasciò annegare, cancellando ogni pensiero se non quello inebriante di essere viva in quel momento.
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Opera [Great Work #1]
Fantasi"Ehi, Raven... tu pensi mai a come sarebbe una vita normale?". "Che cosa intendi con normale, Swan?". "Intendo la vita com'è là fuori. Senza addestramenti, senza segreti, senza orari impossibili e regole da rispettare". "Senza mistero e senza bellez...