SPRING 3 - Una festa di comuni mortali

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Raven bussò rumorosamente ed entrò senza attendere una risposta. Phoenix era disteso sopra un letto disordinato, jeans comodi e maglione oversize. Sollevò appena lo sguardo e tolse dalle orecchie gli auricolari nuovi di zecca che Eagle gli aveva regalato come gesto di pace.

"Che vuoi?", domandò laconico.

"Datti una mossa", fu la risposta altrettanto sbrigativa che ricevette. "Stasera andiamo a una festa di comuni mortali".

Raven fece per andarsene, ma si bloccò sulla soglia. Forse, rimuginò in quell'istante, toccava anche a lui fare la propria parte. Tornò a rivolgersi al ragazzo, che non sembrava molto interessato alla notizia appena ricevuta.

"Se ti serve qualcosa di estremamente figo da indossare, il mio armadio è a disposizione".

Phoenix fece una smorfia, indeciso se ringraziarlo per il grande sforzo fatto o mandarlo direttamente a quel paese.

"Grazie, mi basto da solo", rispose.

Raven si strinse nelle spalle.

"Alle nove alla rimessa delle auto", gli lanciò mentre si allontanava.

"Ricevuto, Peacock".

"Raven!", gli urlò l'altro dal corridoio. "Mi chiamo Raven!".

Peacock ti calzerebbe a pennello, pensò Phoenix tra sé. Poi non riuscì a pensare più a niente. 

Rimase a fissare il soffitto. La playlist era finita, ma lui non se n'era neanche accorto. La sua testa tornava continuamente a un'idea fissa: cosa avrebbe fatto quella sera, se solo fosse stato altrove, se solo non fosse stato lì? Il solito pub, i soliti amici e sempre, sempre lei. Quel solo ricordo bastò a fargli tornare in mente persino il suo profumo, una coltellata che lo colpì in pieno petto.

Tu sei morto.

Le parole di Raven lo perseguitavano da quella sera. Cosa le avevano raccontato? E, soprattutto, come glielo avevano detto? Quanto l'avevano fatta piangere? E per cosa, poi? Chiuse gli occhi per non sentire il dolore.

"Andiamo... Phoenix!", esclamò cercando di incoraggiare se stesso. 

Almeno a quella festa avrebbe potuto bere gratis fino allo stordimento.


⸩ↂ⸨


La villa di Diane era un'elegante costruzione di mattoni rossi ad Hampstead che, con il suo giardinetto ben curato, i tetti a punta e le mansarde, avrebbe potuto figurare in qualsiasi soap-opera o rivista di case cool. I suoi genitori, sufficientemente ricchi e sufficientemente distratti, partivano spesso per affari o per qualche week-end mondano nelle "location dov'era indispensabile farsi vedere almeno una volta l'anno". Diane, quindi, aveva acquisito la nomea di grande organizzatrice di feste fin dal liceo, e al college non aveva fatto altro che aumentare la propria fama. Nonostante le premesse, non era stronza come molte altre ragazzine ricche, e non era impicciona come molte altre ragazzine stupide, per questo Swan l'aveva scelta come amica praticamente da subito.

Quando arrivarono, c'erano già un paio di ragazzi appollaiati nel piccolo porticato e un folto gruppo di giovani nel salone centrale. La musica accompagnava i movimenti frenetici delle ragazze fasciate in abitini luccicanti, e birra e alcol circolavano liberamente tra gli scherzi e le risate. Erano per la maggior parte universitari, anche se c'era qualcuno appena più grande.

Swan ignorò platealmente Eagle e Raven - Vi conoscono già, non siete interessanti! - e afferrò Phoenix per un braccio, trascinandolo dalla padrona di casa.
Lo presentò come un lontano cugino di Eagle appena trasferitosi a Londra per lavoro e, con sua enorme sorpresa, Phoenix si mostrò disinvolto e sorridente di fronte alle sue amiche, cancellando ogni timore di possibili disastri e incidenti diplomatici. Al contrario, il nuovo arrivato le guadagnò una menzione speciale.

"Hai appena vinto il primo premio come migliore spacciatrice di maschietti del nostro club, Swan", ridacchiò Diane appena il ragazzo si fu allontanato a cercare gli altri due, lasciandole da sole.

"E hai letteralmente sbaragliato la concorrenza", osservò Caroline senza staccare gli occhi dalle spalle di Phoenix.

Con Diane focalizzata sulla conquista di Eagle, si stava di certo chiedendo se avrebbe avuto qualche possibilità con quell'affascinante ragazzo dai capelli rossi.

"Raven, ovviamente, è fuori gara", precisò la padrona di casa abbassando appena la voce e lanciando una strizzata d'occhio complice all'indirizzo di Swan.

Lei, però, non rispose con l'entusiasmo che le amiche si sarebbero aspettate, e che sarebbe stato più in tono con l'atmosfera leggera che le circondava. Cercò Raven con lo sguardo senza riuscire a trovarlo tra la folla, sistemò dietro l'orecchio una ciocca argentata che era sfuggita alla sua acconciatura piena di forcine brillanti e sospirò lievemente. Non voleva pensare a lui e non riusciva a non farlo. La sua mente oscillava tra quelle due posizioni dal giorno in cui l'aveva baciata, e quell'atteggiamento schizoide la stava facendo diventare matta.

Negli anni, Swan aveva affinato alla perfezione quella tecnica di autocontrollo che le permetteva di apparire calma quando non lo era affatto. Talvolta riusciva a convincere perfino se stessa della propria indifferenza. Gliel'aveva insegnato il vecchio Phoenix, quando era ancora una ragazzina impaurita. Le aveva spiegato che doveva imparare a non esibire troppo la paura e le emozioni più care, perché qualcuno avrebbe potuto approfittarne e usarle contro di lei. Doveva scegliere con cura le persone su cui riversare tutti i pensieri compressi e, fin quando Phoenix le era rimasto accanto, Swan aveva avuto in lui la valvola di sfogo perfetta. Dal momento che era morto, chi sarebbe mai potuto diventare il destinatario delle sue confessioni? Alle sue amiche concedeva solo ciò che poteva essere detto, con Eagle non poteva parlare di certe cose e con Raven... be', con Raven non aveva parlato affatto, anche se una parte del suo cervello insisteva che avrebbe dovuto.

D'altronde lui aveva ripreso a comportarsi in modo del tutto normale dopo quel bacio. Normale, ovviamente, alla maniera di Raven, che significava danzare perennemente sul filo dell'ammiccamento e dello scherzo, senza mai affrontare un discorso serio. Se solo si fosse sentita libera di farlo, Swan lo avrebbe sommerso di domande, gli avrebbe chiesto il significato di quel gesto, e se magari poteva avere un senso, un valore simile per entrambi. Dal momento che lui non aveva più accennato al fatto, però, l'aveva automaticamente obbligata a tacere. Non voleva fare la figura della ragazzina, non voleva che lui la deridesse per la sua ingenuità, non voleva passare per una romanticona che, con un bacio, si immagina già con l'anello al dito. Non voleva che lui potesse fraintendere i suoi sogni e il suo cuore. Non l'avrebbe sopportato. 

Allora meglio tacere e far finta di niente. Tenersi Raven accanto per quello che era, senza aspettarsi nulla. Tra i due dolori, le sembrava il più accettabile.

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SOUNDTRACK:

Avete provato a immaginare l'ultima canzone che Phoenix stava ascoltando prima di perdersi tra i suoi pensieri?

Per me è Caravan di Passenger ❤️


"And you follow the blackbird home
Through the early winter snow
Your footprints track you through the grass
And you ache just to smell her clothes
And her cooking down on the stove
You see her face in everyone you pass

'Cause you search for years but you lose everything you find
There's braille for the deaf and a signpost for the blind
There's heaven for the cruel but the devil waits for the kind".

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